Cima Vallona, 25 giugno 1967. Strage dei neonazisti tedeschi o strategia della tensione?
La strage di Cima Vallona segna un salto di qualità nella guerriglia altoatesina. La strage, unica di fuoco fuori dai confini altoatesini, presenta caratteri originali: un tradizionale attentato contro un traliccio dell’alta tensione a Cima Vallona, praticamente al confine con il Tirolo, come attacco civetta per attirare militari italiani e farli saltare su mine antiuomo disseminate lungo i sentieri di collegamento.
Gli attacchi i tralicci erano una delle pratiche terroristiche più frequenti in Alto Adige, a partire dalla notte dei fuochi tra l’11 e il 12 giugno 1961 in cui per il sabotaggio di decine di tralicci la stessa Bolzano precipitò nel buio. Alle 3.40 del 25 giugno, una sentinella del distaccamento di Forcella Dignas, nel territorio del comune di San Pietro di Cadore, avvertì una forte esplosione in direzione del passo di Cima Vallona. Per accertare la causa della scoppio fu disposto l’invio di una pattuglia composta da alpini, artificieri e finanzieri. Giunti a circa 600 metri dal traliccio che appariva danneggiato, i militari, non potendo proseguire oltre con gli automezzi per la presenza di cumuli di neve, procedettero a piedi. Improvvisamente, a circa 70 metri dal traliccio, esplose una mina antiuomo collocata sotto un mucchio di ghiaia. Investito in pieno l’alpino radiofonista Armando Piva, 22 anni, morì nell’ospedale di San Candido 23 dello stesso giorno, dopo una straziante agonia.
A bordo di un elicottero decollato da Bolzano fu inviata una squadra Antiterrorismo, per raccogliere indizi utili all’indagine e per identificare gli autori dell’attentato, composta da un ufficiale e tre esperti sottufficiali dei carabinieri paracadutisti esperti artificieri. Dopo i rilievi sul luogo dell’esplosione, i quattro si avviarono incolonnati lungo lo stesso itinerario percorso all’andata ma inavvertitamente, uno di loro attivò una trappola esplosiva piazzata a circa 400 metri dal luogo dell’attentato, lungo il sentiero disponibile.
A seguito dell’esplosione il sottotenente Di Lecce, il capitano Gentile e il sergente Dordi morirono sul colpo.Il sergente Fagnani, colpito da oltre 40 schegge, rimase gravemente ferito. Sul luogo dell’esplosione furono trovate due tavolette di legno con incisa una rivendicazione a firma dell’organizzazione terroristica separatista altoatesina BAS (Befreiungsausschuss Südtirol). Il testo riportava: «Voi non dovrete avere mai più la barriera di confine al Brennero. Prima dovete ancora scavarvi la fossa nella nostra terra». Al capitano Gentile è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare mentre agli altri caduti e feriti di Cima Vallona è stata conferita la medaglia d’argento.
La strage di Cima Vallona non fu un attentato di attivisti sudtirolesi, ma probabilmente un‘azione dei servizi segreti italiani che stavano sperimentando la “strategia della tensione“. E’ la tesi esposta nel recente libro “Zwischen Porze und Roßkarspitz“ dello storico militare austriaco Hubert Speckner. Dopo lunghe ricerche negli archivi austriaci è giunto, sulla base di documenti ufficiali, a confutare la versione ufficiale dei fatti. Per conoscere i veri autori della strage secondo Speckner sarebbe adesso necessario aprire gli archivi italiani.
Nel processo di Firenze, che in Germania ed Austria a causa di gravi irregolarità viene ritenuto illegale, il cittadino austriaco Norbert Burger, presunto ideatore dell’attentato, e i cittadini tedeschi Peter Kienesberger, Erhard Hartung e Egon Kufner, presunti esecutori, furono condannati in contumacia all’ergastolo. Dopo forti pressioni diplomatiche italiane anche l’Austria processò Kienesberger, Hartung e Kufner, che furono però assolti per mancanza di prove. Nonostante questo i media ed anche la storiografia continuano a dare la colpa della strage di Cima Vallona ai „terroristi del BAS.
Hubert Speckner, esperto di storia militare, stava facendo delle ricerche sul servizio di vigilanza al confine austro-italico attuato dall’esercito austriaco negli anni delle bombe. Per puro caso ha trovato negli archivi dei documenti sulla strage di Cima Vallona. Così ha continuato le sue ricerche fino ad avere tutte le prove a dimostrazione che la versione ufficiale non può corrispondere alla realtà. Si può, secondo Speckner, escludere con assoluta certezza che gli attivisti del BAS siano responsabili della strage. Più difficile invece dire chi siano stati i veri responsabili. Si possono fare soltanto delle speculazioni, che per ovvi motivi vanno in direzione dei servizi segreti italiani. Si sa anche dalla commissione di indagini del Senato che i servizi segreti italiani in quegli anni in Sudtirolo stavano sperimentando la strategia della tensione. Secondo Hubert Speckner Aldo Moro aveva intuito che i servizi segreti erano sfuggiti al controllo del governo e stavano aumentando la tensione in Sudtirolo. Questo potrebbe spiegare la sua fretta di chiudere il pacchetto.
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