26 settembre 1970: la misteriosa morte dei 5 anarchici di Reggio
Da un treno che deraglia per un esplosivo che nessuno ha fornito, a una Mini Minor rossa che due mesi dopo sbanda, si infila sotto un camion e uccide i suoi cinque occupanti. È la notte tra il 26 ed il 27 settembre 1970, siamo sull’Autostrada del Sole, tra Ferentino e Anagni. Stretti e impauriti, nell’utilitaria inglese, viaggiano verso nord cinque giovani anarchici, i calabresi Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e la moglie tedesca di Aricò, Annalise Borth, che gli stava per regalare il primo figlio.
Il dossier scomparso
Lasciando casa, Aricò aveva confessato alla madre di aver tra le mani qualcosa di esplosivo che avrebbe fatto tremare l’Italia. A Roma, ufficialmente, salgono per partecipare ad una manifestazione contro la guerra in Vietnam, ma nel vano del cruscotto c’è un dossier segreto che farebbe luce proprio sul deragliamento della Freccia del Sud. Sui Cinque anarchici del Sud Fabio Cuzzola ha scritto un libro dimostrando come quello che venne frettolosamente classificato come “incidente” abbia ancora troppi lati oscuri. Casile, Scordo e Lo Celso morirono sul colpo, Aricò poco dopo essere giunto in ospedale, la moglie Annalise Borth, con il bimbo che portava in grembo, dopo quindici giorni.
Tutti i dubbi di Giannuli
Ricostruisce la vicenda con dovizia di particolari e mettendo in luce la contraddizione delle fonti della controinformazione di estrema sinistra, Aldo Giannulli, nel suo Bombe a inchiostro. Non è vero ad esempio, come scritto, che i due camionisti che provocarono l’incidente, i fratelli Serafino e Ruggiero Aniello, fossero dipendenti di una ditta di estrema destra. Né è vero neanche che l’incidente avvenne nei pressi della tenuta di Junio Valerio Borghese. L’impatto fatale fu tra Anagni e Ferentino, mentre la dimora del principe era ad Artena a ventidue chilometri dall’incidente. Non è vero neanche che la moglie di Borghese, anche lei perita in un incidente stradale, fosse stata tamponata dallo stesso camion. La donna, Daria Wassilvevna Olsufieff, morì il 5 febbraio 1963, ma a Teano, a 158 chilometri da Roma, mentre agli anarchici ne mancavano una cinquantina per arrivare nella Capitale.
Due assassini seriali
I due incidenti vennero raffrontati perché si era sempre vociferato che Borghese avesse ripianato, grazie all’eredità lasciata dalla moglie, i suoi numerosi debiti. In verità, non se la passò bene economicamente fino alla morte giunta nel 1974. Per altro, i due camionisti, stando alle carte dell’UAAR (Ufficio affari riservati), sarebbero stati simpatizzanti del PSDI e non del Fronte nazionale. Certo che erano dei veri pirati della strada questi fratelli Aniello. Il camion da loro portato, targato SA 135371, il 28 ottobre sempre del 1970, causò un tamponamento, alle porte di Milano. Qui morirono 8 persone e ne restarono ferite 40.
I dubbi sulla morte
I dubbi sulla morte degli anarchici però persistono. Un colonnello, dirigente dei servizi di controspionaggio e braccio destro dell’allora capo del SID, che cura un’“informativa” sull’incidente, muore misteriosamente qualche anno dopo. Alle famiglie, poi, non vengono consegnati gli effetti personali dei giovani. Ad esempio, un agenda di Scordo o alcune foto scattata durante i “moti di Reggio”. Nessuna traccia nemmeno del dossier sul deragliamento del treno, sulla cui presenza non ha dubbi l’avvocato di Aricò e Casile, Eduardo Di Giovanni. Qualche anno dopo Paolo Mieli scrive su «L’espresso»:
«Qualche giorno prima della morte Aricò telefonò al suo avvocato a Roma, informandolo che l’inchiesta sul deragliamento era conclusa e che i risultati erano sconvolgenti, ed è probabile che quel viaggio nella capitale fosse stato programmato proprio per discutere con l’avvocato la conclusione dell’indagine».
L’indagine sulla misteriosa morte dei cinque, praticamente, non si aprì mai.
FONTE: M. Caprara -G. Semprini, Neri, la storia mai raccontata della destra radicale, eversiva e terrorista, Roma, Edizioni tascabili Newton, 2011.
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