6.10.78, muore Claudio Miccoli. Un compagno non un poeta

La lapide per Claudio Miccoli

Claudio Miccoli (Napoli, 3 agosto 1958 – Napoli, 6 ottobre 1978) è stato un poeta e ambientalista italiano, morto in seguito all‘aggressione avvenuta ad opera di picchiatori neofascisti la sera del 30 settembre 1978 in Piazza Sannazaro a Napoli. La sera del 30 settembre 1978 Claudio Miccoli, consigliere regionale del WWF campano, si ritrovò ad assistere presso Piazza Sannazaro all’aggressione di un giovane militante comunista da parte di una squadra di neofascisti armati di bastoni.

Il ferimento mortale di Claudio Miccoli

Assistendo allo scompiglio generato dall’aggressione, Miccoli cercò da solo di dirigersi verso un gruppo di quattro neofascisti cercando di riportarli alla ragione. Tuttavia egli fu immediatamente raggiunto da un colpo di bastone alla testa scagliato dal militante di estrema destra Ernesto Nonno, il quale poi infierì sul corpo di Miccoli caduto a terra esanime fracassandogli il cranio. La sera stessa Claudio Miccoli, trasportato in ospedale, entrò in coma. Morì il 6 ottobre 1978, dopo aver espresso la volontà di donare i propri organi. 

I 9 imputati

Per l’assassinio di Claudio Miccoli furono fermati 9 imputati tra i neofascisti protagonisti della spedizione punitiva del 30 settembre 1978 a Piazza Sannazaro. Alla fine del processo, durato 30 mesi, furono effettivamente condannati l’autore materiale dell’assassinio, Ernesto Nonno (14 anni di carcere), e Pietro Romano (6 anni di carcere, condannato per concorso anomalo in omicidio volontario). Gli altri 7 imputati dell’aggressione fascista (Rosario Lasdica, Antonio Torre, Giancarlo De Marco, Davide Savino, Antonio Todaro, Antonio Appierto) nel frattempo avevano già scontato la pena o erano stati graziati.

La sentenza in nove punti

La ricostruzione di Wikipedia è molto approssimativa e, come vedremo poi, decisa a rimuovere l’identità politica della vittima. La sentenza della Corte d’Assise di Napoli fissa così in estrema sintesi la sequenza dei fatti:

 1) tutti gli imputati mossero da piazza Vanvitelli (notoriamente nera) verso piazza Sannazzaro (notoriamente rossa) il 30 settembre, anniversario dell’uccisione di un “camerata” da parte di un gruppo di “compagni”, per commemorare con una spedizione punitiva il luttuoso avvenimento; [in realtà era l’anniversario dell’omicidio di Walter Rossi, un compagno, per mano di Cristiano Fioravanti e Alessandro Alibrandi, ndb]
2) dopo il ferimento di Aversa, il gruppo degli squadristi si sparpagliò per rendere più agevole la fuga e solo per questa ragione il Miccoli ne incontrò solo una parte;
3) l’incontro tra Miccoli e gli squadristi avvenne a poche decine di metri dal luogo dove Aversa era stato bastonato;
4) l’incontro avvenne pochi minuti dopo questa aggressione (come si desume anche dall’orario di ricovero dei due);
5) l’incontro avvenne mentre gli squadristi tentavano di sottrarsi alle reazioni e alle indagini conseguenti alla prima aggressione;
6) l’incontro avvenne mentre costoro avevano ancora con sé uno degli strumenti con il quale avevano aggredito Aversa;
7) l’incontro avvenne dopo che il Miccoli aveva manifestato l’intenzione di andare a denunziare alla polizia l’aggressione subita da Aversa;
8) l’incontro si trasformò in aggressione dopo che gli squadristi ebbero riconosciuto in Miccoli un avversario politico;
9) gli squadristi riconobbero in costui un avversario quando egli osò chiedere loro chiarimento sul ferimento di Aversa.

La dinamica dell’omicidio di Claudio Miccoli

I giudici descrivono poi nel dettaglio la dinamica dell’omicidio:

 E’ pacifico che Lasdica, De Marco, Torre e Savino, raggiunti i binari della metropolitana, ne discesero subito dopo e si incontrarono nel sottopassaggio con Claudio Miccoli, che arrivava in quel momento insieme a Stella ed a Salemme. L’inganno o la minaccia, non si può né interessa accertarlo, consentì ai primi quattro di raggiungere lo scopo di evitare ogni scontro e di allontanarsi di corsa verso la strada che li condusse direttamente al Vomero.

Gli altri tre, gabbati o intimiditi, ritornarono allora sui propri passi e si diressero lentamente verso piazza Sannazzaro, dimostrando così con i fatti di aver rinunziato a perseguire quegli scopi che li avevano spinti ad allontanarsene. Fatti pochi metri, incrociarono e sorpassarono Nonno, Romano e Matacena, che attraversavano piazza Piedigrotta con opposta direzione. Si fermarono perplessi, si girarono, incontrarono gli sguardi degli altri tre, che avevano fatto altrettanto, e mossero loro incontro.

Dopo un breve dialogo, Nonno brandì il tronchetto che aveva conservato e, come dimostra un’ineccepibile e completa perizia medico legale, colpì il capo del Miccoli con almeno quattro colpi di bastone, tutti vibrati posteriormente, uno dei quali gli sfondò la volta cranica, determinando una frattura pluriframmentata ed infossata della teca e cagionandone la morte.

La difesa dell’identità

Non manca però una inattesa polemica con gli amici che occultano e denegano l’identità politica di Claudio Miccoli:

Il proposito di mitizzare la civilissima figura del defunto e di enfatizzare la barbarie di chi l’uccise ha ridotto gli stessi “compagni” del Miccoli a negarne l’appartenenza all’area della sinistra, quasi che fosse una vergogna o una colpa da nascondere, senza avvedersi nemmeno che le sue idee politiche, qualunque fossero, dovevano essere certamente più nobili di quelle dei suoi avversari, se non altro perché non avviticchiate a un bastone.

Così come molto più nobili appaiono i suoi sentimenti al cospetto di quelli delle sue indegne ed isteriche prefiche, le quali, con servile conformismo, preferiscono la mistificazione diffamatoria di un Miccoli in fuga alla ben diversa realtà di un suo coraggioso impegno civile, pur di non concedere ai “fascisti” l’illusorio vantaggio psicologico di un inseguimento. Ed invero, risulta provato in maniera inconfutabile che costui, armato soltanto del suo coraggio e della sua generosa indignazione per il proditorio assalto cui aveva assistito, si alzò dal tavolo con alcuni amici e si mise sulle tracce dei fuggitivi gaglioffi.

La circostanza è dimostrata non solo dalle significative reticenze del Salemme e dello Stella, che tentano invano di dare una spiegazione plausibile dei loro movimenti e delle loro intenzioni, ma anche dalla considerazione logica che, se davvero costoro si fossero spaventati per la vile incursione teppistica, si sarebbero potuti limitare a non muoversi dalla piazza amica, che gli aggressori ormai abbandonavano precipitosamente; o avrebbero potuto scappare, come dice di aver fatto il Brillante, in direzione opposta alla loro; ma non li avrebbero certamente sfuggiti correndo loro dietro lungo la salita Piedigrotta.

Che poi Miccoli abbia avuto davvero l’intenzione di denunziare i fatti alla polizia, o quella di identificare lui stesso i fuggiaschi, o perfino di dar loro una lezione, ha, per la verità, pochissima rilevanza pratica perché ciò che interessa stabilire è quale fu in concreto la sua condotta quando si imbatté in essi, e come ne fu ricambiato.

Ebbene, premesso che il rientro di alcune voci calunniose consente di definir pacifico che egli fosse disarmato, basta richiamare l’attenzione sul fatto che è lo stesso Romano ad ammettere, in perfetta consonanza con i racconti di Stella e Salemme, che Miccoli si avvicinò loro per chiedere conto della gratuita soperchieria della quale erano stati oggetto mentre mangiavano in santa pace; e che, quando vide il bastone in mano al Nonno e ne saggiò la durezza sulle carni, non ebbe altra reazione che quella di voltare le spalle all’antagonista cercando di sottrarsi alla sua furia scatenata.

E’ evidente, perciò, che Miccoli non è un vile e quindi non scappa, ma non è nemmeno un violento e per questo non provoca né aggredisce ma chiede spiegazioni e cerca di aprire un dialogo, e poi, minacciato con un bastone, si limita a difendersi e a fuggire per sottrarsi ai colpi

Una testimonianza personale

Una quindicina di anni fa intervenni in una delle tante discussioni chilometriche che animavano il blog di Luca Telese su Cuori neri. Si era partiti dalla campagna elettorale della Santanché e si era finito a discutere del delitto Miccoli. Nella pagina google non compaiono il primo scambio di battute. Miro (credo Renzaglia) mi chiede di alcune vaghezze e io gli rispondo testualmente così:

Faccio il vago su Miccoli perché ho sempre rispettato la ferrea regola che di quello che so per trascorsi militanti NON PARLO. E io quel pomeriggio a piazza Sannazzaro c’ero. Solo che per una fortunata coincidenza (l’incontro con un vecchio compagno-amico del Pci) invece che alla birreria mi ero seduto in pizzeria.
La piazza era stata “nostra” fino all’estate 77. Poi, un altro segno della crisi del movimento, a settembre la trovammo piena di spacciatori di eroina. Con la logica militante di allora avremmo potuto pensare anche di riprendercela a colpi di hazet, ma i primi da picchiare sarebbero stati i clienti, che erano poi molti amici e compagni.
Non mi risulta che Nonno possa essere definito un anziano. La storia di Miccoli è un buon esempio di falsificazione che si fa storia condivisa: il gruppetto dei fasci venne a provocare e attaccò rissa per poi ritirarsi, i compagni contrattaccarono e Miccoli (il pacifico attivista del Wwf) era in prima fila e infatti si scontrò ed ebbe la peggio, davanti alla chiesa di Piedigrotta, sul marciapiede del cinema, a 60-70 metri dalla birreria della prima rissa.

Il meccanismo del falso ricordo

La mia era una risposta sincera e onesta. Ma a sua volta falsificante. Anzi, esemplare di una modalità di come può costruirsi un falso ricordo. Io ero uscito dalla pizzeria e avevo visto la fase finale del pestaggio ai tavoli, la fuga degli aggressori lungo la rampa che dalla piazza porta alla chiesa di Piedigrotta, i compagni che si organizzano per l’inseguimento. Ma NON POTEVO aver visto “lo scontro” per un problema di angolazione.

Dalla ricostruzione giudiziaria emerge che davanti all’Odeon non ci fu uno scontro ma un secondo pestaggio. Io avevo visto i fascisti in fuga e la controcarica e conoscevo l’esito: e quindi una mia congettura era diventato un fatto. Perché diverse volte avevo partecipato a scontri in più puntate, con attacchi, inseguimenti e secondo tempo. E quindi avevo proiettato altre esperienze sulla tragedia, colmando il vuoto del ricordo con una certezza infondata…

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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