Il colonnello De Petrillo: Così misi le mani su Barbara Balzerani e l’arrestai
La storia della cattura di Barbara Balzerani la ricostruisce “Il lungo assedio”, il diario scritto dal comandante dell’Antiterrorismo dei Carabinieri a Roma, Domenico Di Petrillo (nella foto, al microfono). Tutto finisce là dove era cominciato, con la brigata Tiburtina. Sante Fatone, uno degli assassini di Torregiani, è catturato dopo un conflitto a fuoco nel giugno del 1984 e si pente. Tra le tante cose racconta del suo passaggio a Roma nel 1982: sciolti i Pac era passato in Prima linea. Tra i soggetti che segnala c’è anche “Martino”, un giovane di Casalbertone che lavora come portiere d’albergo all’Aurelia, già indicato da un altro pentito romano, militante nella brigata Tiburtina. I carabinieri arrivano a un “covo freddo”, utilizzato per le riunioni e frequentato anche da “Martino” ma le indagini languono. A sbloccarle arriva un fatto inatteso.
La resa di “Martino”
Il 23 aprile 1985 un giovane si presenta alla stazione dei carabinieri di Roma Giardinetti, sulla Casilina. Chiede di qualcuno che si occupi di terrorismo e si dichiara minacciato. Il maresciallo lo mette in contatto telefonico con Di Petrillo che, grazie alla descrizione fisica ricevuta, lo identifica subito come “Martino”.
A fare crollare Gustavo Salvati è stato l’arresto del suo amico di infanzia Maurizio Palermo, un brigatista catturato il 2 aprile. Non è servito ai carabinieri tenere nascosta alla stampa la notizia. A mettere in allarme “Martino” e gli altri compagni è l’ostinazione della famiglia a sostenere di non saperne nulla. Già in crisi ideologica, “Martino” vive come minacce le pressioni del capobrigata. Vittorio Antonini lo spinge a passare in clandestino o quanto meno a rendersi irreperibile, interrompendo i rapporti con la famiglia. “Martino” si è ormai arreso. Cerca di farsi arrestare bivaccando per due giorni sugli scalini di un edificio dell’Esquilino, vicino alla sede del Ros di Roma. Ma non se lo fila nessuno e alla fine si consegna.
La cattura di Antonini
“Martino” indica la base della brigata in una mansarda di San Vito Romano, un paesello dei monti Prenestini. De Petrillo decide per il blitz immediato. L’operazione porta alla cattura di Vittorio Antonini e altri tre militanti mentre gli altri componenti, tra cui Wilma Monaco, si sottraggono all’arresto.
L’arreso “Martino” indica tra i possibili brigatisti anche un giovane incontrato durante una manifestazione contro l’installazione dei missili Nato a Comiso, rappresentante sindacale ed esponente degli “autoconvocati” in una fabbrica di Pomezia. Fallito un tentativo di coinvolgere il Pci (l’avvocato Tarsitano informa il colonnello che “i tempi sono mutati”) i carabinieri avviano una massiccia indagine coinvolgendo pretestuosamente gli uffici personale del polo industriale di Pomezia. Tra duemila potenziali sospetti “Martino” identifica il sindacalista brigatista in un dipendente della Litton, Antonio De Luca.
Sulla pista del sindacalista
Parte quindi l’osservazione controllo pedinamento di de Luca. L’attività di ocp dà rapidi frutti. Il 10 giugno l’osservato incontra una persona, poi identificato come Gianni Pelosi: ai due si aggiunge dopo poco un giovane sopraggiunto in motorino. E’ uno studente universitario, Giorgio Vanzini. I controlli si spostano su Gianni Pelosi, che si sposta in metro a Ostia Lido, dove fa perdere le tracce. I controlli intensi in zona danno rapidi frutti. Dopo pochi giorni Pelosi è di nuovo intercettato, nella strada dove era scomparso. Sta uscendo dal numero civico 54 di via Diego Simonetti insieme a una donna. Si recano insieme a uno stabilimento balneare dove fanno a turno il bagno, non lasciando mai incustodite le borse. I controlli fotografici in serata permettono di identificare la donna. L’arresto è fissato per il giorno seguente.
La cattura
Verso le otto del mattino, Pelosi uscì di casa e non venne seguito. La Balzerani uscì intorno alle 11 indossando lo stesso abbigliamento del giorno precedente, compresa la borsa “attrezzata”. Detti l’ordine di procedere al suo arresto mentre si allontanava a piedi lungo via Simonetti. Quando raggiunse viale Galli della Mantica, dopo aver effettuato una manovra di avicinamento gradualle, procedemmo alla sua cattura. La donna reagì con violenza urlando la sua appartenenza alle Br. Le impedii di gridare ancora ponendole una mano sulla bocca. Fummo rapidissimi nel caricarla su un’auto di servizio sopraggiunta nel frattempo e trasferirla in caserma
E’ proprio De Petrillo il primo a immobilizzare la supericercata. I suoi ragazzi, racconta, rallentano i movimenti per lasciargli la “grande soddisfazione”.
Lascia un commento