13 giugno 1984: i guerriglieri consegnano le armi al cardinale Martini
L’ episodio è un segnale esplicito, di un simbolismo spettacolare. Un’ area consistente di ex terroristi consegna le armi nelle mani della Chiesa, che in questi anni della post emergenza è vista come interlocutrice più attenta e aperta dello Stato. Una armistizio fuori dai binari giudiziari del pentimento “fattivo”, quasi a voler smentire chi nello Stato insiste a ribadire che il pericolo non è passato, che non bisogna abbassare la guardia. Non altro che questo è il significato di quel che è successo la mattina del 13 giugno scorso a Milano alle 9,30, e che la Curia racconta ora con qualche evidente reticenza.
Il mittente del borsone
Un giovane sui venticinque bussa alla porta dell’ Arcivescovado, con tre grosse borse nelle mani. Chiede di parlare con il segretario del cardinale Carlo Maria Martini, viene ricevuto. Mentre il sacerdote è distratto, il giovane gli lascia le borse sulla scrivania e se ne va. Dentro c’ è un impressionante arsenale: Kalashnikov, pistole, bombe a mano, perfino un razzo per bazooka. E’ la santabarbara dei CoCoRi, un gruppo terrorista sotto processo in questi tempi a Milano. Mittente della consegna è, probabilmente, Ernesto Balducchi, imputato detenuto: ma il segnale è collettivo, ed è certamente frutto di lunghi dibattiti.
Già alla fine di maggio Balducchi aveva scritto al cardinale Martini: “apprezziamo la vostra riflessione sulla fraternità, la vostra apertura al dialogo”. Della consegna s’ è saputo soltanto ieri. Qualche voce non confermata circolava già, la conferma è venuta proprio nell’ aula del processo a Prima Linea e ai CoCoRi. Il pubblico ministero Filippo Grisolia, che sostituiva il titolare Armando Spataro, s’ è alzato per chiedere alla Corte un rinvio. Dalla Procura era arrivato un fascicolo, ancora senza imputati, e bisognava interrogare Balducchi per chiedergli spiegazioni. La Corte si è riservata di decidere, e l’ udienza è così proseguita senza che queste spiegazioni arrivassero, sempre che Balducchi abbia intenzione di darle ai magistrati. (…) Il segnale è inequivocabile, clamoroso, senza precedenti.
Le precedenti consegne di armi
Altri terroristi, per chiarire i termini della “resa”, avevano già fatto ritrovare armi e munizioni. E non solo pentiti, il che rientra nei patti: anche alcuni “dissociati” che, al rifiuto di coinvolgere fino in fondo gli ex compagni denunciandoli, avevano voluto affiancare un gesto di “pacificazione”. Ma si era sempre trattato di consegne nelle mani dello Stato, interlocutore unico, dispensatore di attenuanti e sconti di pena. Questa volta il segnale è diverso: allo Stato, che non crede alla fine dell’ emergenza, noi preferiamo la Chiesa. La Chiesa che perdona senza contropartite, che ascolta, che si apre al confronto.
Lo spiegava bene proprio Ernesto Balducchi, il probabile mittente della “consegna”, nella lettera che ha spedito il 27 maggio al cardinale Martini. Balducchi, 31 anni, accusato di partecipazione a Prima Linea e di organizzazione della banda armata CoCoRi, indicato da un pentito come il “gestore” dell’ arsenale della formazione. Dopo il documento firmato da 36 magistrati che lanciavano l’ allarme “il terrorismo non è morto”, Balducchi sceglieva la Chiesa come portatrice di “fraternità” e di “segnali di apertura”. Poi, la consegna dell’ arsenale. Quasi completo, secondo la polizia: alla conta, basata sui rapporti dei pentiti, mancherebbero ancora due Kalashnikov.
I ricordi del cappellano
Così qualche giorno dopo il fatto lo ricostruisce la Repubblica. Alla morte del cardinale Martini i retroscena ce li offre lo sherpa dell’operazione. Il cappellano consegna all’Avvenire qualche ricordo sulla grandezza del sant’uomo
«Fu io stesso a farmi “profeta” di quel gesto clamoroso che tanta eco ebbe – rivela oggi –. A conclusione di una Messa celebrata all’inizio del 1980 nel carcere milanese gli dissi: “Vedrà eccellenza, (allora non era ancora cardinale, ndr) che un giorno tanti “Innominati” verranno da lei, si convertiranno alle sue parole e le consegneranno le armi”.
Un vero arsenale
Questa mia premonizione si avverò quattro anni più tardi: il 13 giugno del 1984 con la consegna delle armi, un vero arsenale, da parte dei terroristi delle Brigate Rosse in arcivescovado a Martini».Questo anziano sacerdote oggi vive «per un periodo di convalescenza» con sua sorella in Valsassina, in provincia di Lecco. Fu lui il principale tramite di quella scelta dirompente e artefice indiretto della lettera che anticipò la famosa “resa delle armi”. «Trasportai io stesso a bordo di una macchina con un “brigatista in libertà” quei 4 borsoni carichi di kalashnikov, bombe a mano e fucili…»)
«Ricordo che a convincere gli ex brigatisti come Ernesto Balducchi – è la confidenza del sacerdote salesiano di 84 anni – furono l’affabilità e la capacità di ascolto con cui Martini, molti anni prima di quel atto clamoroso, accettò di confrontarsi con loro, di recepire senza giudicare le loro storie. Si preoccupava addirittura dei loro bambini, spesso costretti a vivere lontani dai contesti familiari. Riuscì a “disarmarli” così. Io stesso annotavo e poi dattilografavo questi dialoghi che poi consegnavo a Martini. Loro rimasero colpiti dai gesti di attenzione del cardinale dentro il penitenziario. E soprattutto dal fatto che rispose alla loro lettera.
La lezione del cardinale
Un altro dettaglio che li indusse a vedere in Martini l’interlocutore giusto per questa mediazione furono le parole ascoltate attraverso la radio del cardinale durante una delle sue famose “lectio” – che diedero il là alla famosa Scuola della Parola – dedicata al salmo penitenziale del Miserere ». Un percorso non nuovo quello di Martini dentro un penitenziario – da “semplice gesuita e biblista” prima del suo ingresso come arcivescovo a Milano declinò l’opera di misericordia della visita ai carcerati assistendo il confratello napoletano Virginio Spicacci nel penitenziario di Nisida – ma che ebbe da subito risvolti inaspettati a San Vittore.
«Qui, nel carcere, poco tempo dopo il suo arrivo a Milano nel 1980 – racconta don Melesi – volle trascorrere ben quattro giorni e mi ricordo quanta resistenza ci volle per convincere l’allora direttore del carcere a permettere la visita di Martini negli angoli più remoti del luogo di detenzione. Rammento ancora il primo incontro con i terroristi e quel desiderio di alcuni di loro che, al momento del congedo, il cardinale recitasse con loro il Padre Nostro. Una richiesta che fu subito esaudita. O ancora il gesto singolare di Balducchi, da tutti chiamato l’Ernesto, che volle regalare a Martini una copia che teneva in tasca della Storia della Colonna infame di Alessandro Manzoni».
Il battesimo dei gemelli
Istantanee, quelle di don Melesi, che riportano a un altro episodio «che fece scalpore in quegli anni» del lungo episcopato di Martini: l’aver voluto amministrare il Battesimo, il 13 aprile 1984, dentro la sezione femminile del carcere milanese ai due gemelli Nicola e Lorenza «concepiti addirittura durante il periodo di detenzione ». Erano i figli dei due terroristi e «irriducibili » di Prima Linea Giulia Borelli e Enrico Galmozzi. «Fu quest’ultimo, ero testimone di quell’incontro a San Vittore, soprannominato da tutti “Chicco”, a fare la proposta.
La testimonianza di Balducchi
Questa invece è la ricostruzione dello stesso Balducchi:
«Noi avevamo già maturato un giudizio negativo sull’esperienza della lotta armata – racconta Balducchi -, però ci trovavamo di fronte un muro abbastanza compatto di opinione che non era disponibile a qualsiasi forma di dialogo, e quindi ad accettare anche questo giudizio critico e questa uscita ideologica dal campo della lotta armata». «Parlare con qualcuno – e di fatto, lui venne anche a Natale dell’83 a San Vittore – ci ha confortato in questo. Devo dire che poi ogni volta che lui toccava quegli argomenti – e che la cosa veniva riportata dalla stampa – notavamo che le nostre istanze erano ascoltate, erano recepite», prosegue.
Sul perchè della scelta proprio di Martini come interlocutore per un gesto così importante come la consegna delle armi, Balducchi spiega che «avevamo seguito un suo intervento ad un convegno – mi pare del 1983 – sulla dimensione sociale del peccato. Cioè, illuminava un po’ l’aspetto sociale, la dimensione sociale del peccato e quindi il suo legame con l’ingiustizia, fondamentalmente. Ecco. Allora scrissi una lettera a Martini. Mi rispose, non me l’aspettavo. E a quel punto ho incominciato a mettere a fuoco quello che avrebbe potuto essere un dialogo anche concreto».
Inoltre la Chiesa, in particolare la Chiesa milanese, «per noi era l’unica sponda che avevamo e a cui potevamo accedere – sottolinea l’ex terrorista rosso -. Il resto erano le Procure della Repubblica che però esigevano nomi, cognomi, dati e fatti, per poi accedere alla cosiddetta legge dei pentiti, ma non era questo che a noi interessava».
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