Così Angelo Izzo si incista tra i prigionieri “neri”-2
E’ questa la seconda puntata del lungo reportage su Angelo Izzo. Qui potete leggere la prima puntata
Chi ricorda il nome di Doretta Graneris, protagonista di un clamoroso processo alla fine degli anni Settanta? Una studentessa d’arte, dal fisico esuberante e dalle molte voglie, che nella tranquilla provincia piemontese, insieme al fidanzato fascista, massacra l’intera famiglia (genitori, nonni e fratellino) per essere finalmente libera e godere le ricchezze dei suoi, avaramente amministrate da un padre occhiuto, il tipico padroncino proveniente dalla gavetta. Un incrocio, insomma, dei delitti di Pietro Maso e di Omar ed Erika, che migliaia di pagine (e centinaia di ore di televisione) hanno riempito.
Il massacro del Circeo
Eppure nella memoria collettiva resta, come delitto che incarna la violenza fascista di quegli anni, il massacro del Circeo. Perché c’è tutto allo stato puro: le ragazzine proletarie ingenue e innocenti, i figli di papà fascistoidi che le attraggono in trappola secondo uno schema di gioco già sperimentato (impunemente), una violenza feroce e inutile (che ha il segno dell’odio di classe e di una prepotenza di genere non immediatamente politica), il movimento nascente delle donne che cominciano a pigliarsela persino con i compagni decisi a tenerle sotto tutela. A maggior ragione, quindi, fanno del processo ai tre pariolini “la madre di tutte le battaglie”.
L’omicidio di Pier Paolo Pasolini
I fatti si consumano a fine settembre 1975, un mese prima della morte straziante di Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale che, a partire dal proprio vissuto, aveva per primo e meglio compreso la degenerazione antropologica prodotta dal consumismo. I tre ‘ragazzi bene’ attraggono le ‘popolane’ Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti nella villa al Circeo del padre di Andrea Ghira, un noto industriale campione olimpico di pallanuoto, con il pretesto di una ‘festa’ e lì le seviziano e le massacrano nel corso di un’infinita notte, con una ritualità sadica in cui la volontà di potenza tracima oltre il gioco sessuale più spinto. L’obiettivo è annichilire le due donne come persone.
La disperata resistenza di Donatella Colasanti
Nel corso delle sevizie ininterrotte, Maria Rosaria Lopez perde i sensi. La uccidono immergendole ripetutamente la testa nella vasca da bagno. Donatella Colasanti si salva perché, sottoposta a una bastonatura, si finge morta ingannando i torturatori. A quel punto i ‘mostri’ avvolgono i due corpi in buste di plastica, li caricano nel bagagliaio della 127 di Gianni Guido e tornano a Roma. Parcheggia sotto casa a via Pola e i tre si separano, pensando di sbarazzarsi dei cadaveri in un secondo momento.
Donatella Colasanti, accortasi che l’auto era stata abbandonata, comincia a lamentarsi, nel silenzio della notte, e attira l’attenzione di un vigilante che la salva. Guido, arrestato subito, confessa e accusa i complici: Izzo è catturato il giorno dopo, Ghira riesce a scappare. Lo segnalano in mezzo mondo, dall’Africa all’America latina, finanche a Roma. In realtà è ben presto riparato nella legione straniera spagnola, il Tercio, dove si distingue come mercenario capace ma indisciplinato. Muore d’overdose a metà anni Novanta, un segreto custodito a lungo dalla famiglia.
L’onda femminista sul processo
La politicizzazione imposta dalle femministe segna decisamente il processo. Il costante e aggressivo presidio delle donne scoraggia la presenza dei detenuti in udienza, ricorderà trent’anni dopo l’avvocato delle vittime Tina Lagostena Bassi. ma paradossalmente risolve la loro vita penitenziaria. Normalmente chi entra col marchio dello stupratore assassino patisce un supplemento di pena, l’isolamento nei braccetti riservati, per ragioni di sicurezza, a quanti la comunità prigioniera considera “infami”: confidenti, delatori, pedofili, magnaccia. Con il rischio di diventare il bersaglio per lo sfogo fisico di secondini frustrati o di detenuti vogliosi di “guadagnare punti”.
Angelo Izzo, da mostro a vittima del sistema
La grancassa mediatica fa sì che i “mostri del Circeo” siano percepiti come “vittime del sistema giudiziario”. Lo stesso Izzo, alla fine, di questa falsificazione farà un elemento costitutivo del suo vittimismo. Così quando Paolo Signorelli stigmatizza il “mostro” è il boss della mala milanese Francis Turatello a prenderne le difese:
“Un giorno, nel cortile dell’aria mi si fece incontro un giovane dalla testa rasata e dallo sguardo sfuggente e torvo:
- Lei è il professor Signorelli?
- Esatto. E tu chi sei?
- Sono Angelo Izzo
- Tu sei allora il massacratore del Circeo!
- Sì, ma sono anche un camerata. E mi dispiace per il male che ho fatto al nostro ambiente.
Fece per darmi la mano. Io mi voltai e raggiunsi gli altri detenuti. Rivolto a Turatello gli domandai come mai venisse tranquillamente accettato in sezione un personaggio impresentabile quale Izzo. La risposta fu disarmante:
- Noi non ci poniamo scrupoli morali. Non c’interessa la morale dei borghesi di merda. Angelo in carcere si è comportato comunque bene. Non ha fatto infamità e quando ha potuto dare una mano l’ha data. Insomma per noi è un bravo ragazzo”[1].
La durezza di Freda contro Angelo Izzo e C.
L’unico che non recede da una sprezzante condanna è Franco “Giorgio” Freda, l’editore padovano, all’epoca sotto processo (e condannato all’ergastolo in primo grado) per la strage di piazza Fontana. Per gli altri detenuti politici “neri”, destinati a lunghe carcerazioni, è sufficiente per sdoganare Izzo il coraggio da lui dimostrato nelle quotidiane scaramucce con i compagni.
Nella seconda metà degli anni Settanta, con il diffondersi di pratiche di violenza da parte dell’estrema sinistra le prigioni si riempiono di militanti comunisti. A questi spesso si aggregano delinquenti comuni promossi a vittime dell’oppressione. Un’analisi sociologica enfatizza il ruolo rivoluzionario del sottoproletariato nelle metropoli così come dei popoli del Terzo e Quarto mondo nella resistenza alle potenze imperiali. Spesso a offrirsi come prima linea dell’antifascismo militante siano quelli che le Brigate rosse hanno ribattezzato “proletari prigionieri”.
La spaccatura tra i prigionieri neri
I detenuti fascisti, al di là dell’unità imposta dalla necessità fisica di non farsi sopraffare, sono a loro volta divisi. Piccole fazioni si trascinano dentro le mura odi, pregiudizi e maldicenze maturati fuori. E’ consolidata la rivalità tra ordinovisti e avanguardisti (i due gruppi storici della destra extraparlamentare). Si accusano a vicenda di essere ammanicati con gli apparati di Stato. I primi con i servizi segreti militari, i secondi con il Viminale. I protagonisti dell’ultima stagione golpista, invece, attribuiscono i loro fallimenti proprio al tradimento e all’inaffidabilità dei gruppi storici. E anche a quelle frange del Msi che in qualche modo hanno tentato di gestire e utilizzare le ‘teste calde’.
Angelo Izzo approda a Quex
In questa nuova corrente, i cosiddetti “spontaneisti”, Izzo trova riparo. Comincia a scrivere per la rivista Quex che si presenta proprio l’organo che dà voce a quest’ultima generazione di prigionieri politici ‘neri’. Così ogni volta che arriva in un nuovo carcere Izzo può presentare le credenziali degli animatori del giornale, che sono rispettatissimi, come Mario Tuti e Maurizio Murelli, per l’impeccabile stile di detenzione e il rigore dell’impegno profuso. Il progetto spontaneista trae vigore dai tanti giovanissimi, soprattutto romani, che alla fine del decennio, senza neanche avere idea dell’esistenza della rivista, imboccano la via breve della “lotta armata”. Una scelta di vita, più che di prospettiva politica, che sarà liquidata nell’arco di pochi anni, come il ben più consistente fenomeno del terrorismo rosso.
Un ambiente in frantumi
Alla fine del 1982, infatti, non sono più di una decina i “guerriglieri neri” fuggiaschi. A ondate successive, a ogni nuovo pentimento è seguita una retata. Finiscono in galera decine di militanti, ma anche semplici simpatizzanti e talvolta amici dei latitanti. A differenza delle strutturatissime formazioni dell’estrema sinistra, le reti logistiche neofasciste hanno un forte connotato di solidarietà personale. Sono cioè frutto di una mentalità tipica di una tribù in permanente stato d’assedio: i camerati prima di tutto.
Della sindrome dell’accerchiamento e delle relative implicazioni psicologiche si avvantaggia Izzo che, grazie al suo talento camaleontesco, riesce ad entrare nelle grazie di numerosi detenuti “neri” e ad accumularne le preziose confidenze.
L’ambiente della lotta armata non è rimasto immune dalla pervasiva tendenza alla litigiosità interna. All’ostilità condivisa contro i vecchi gruppi si accompagnano faide e regolamenti di conti spesso feroci. Costruiamo l’azione contro i Nar. Questi a loro volta divisi in bande rivali.
Angelo Izzo si lega a Valerio Fioravanti
La più famosa di queste, che fa capo a Valerio Fioravanti, il primo baby divo della tv italiana (a fine anni ’60 fu il fortunato interprete di una serie televisiva, La famiglia Benvenuti), si rende protagonista di diversi omicidi ai danni di camerati accusati di slealtà e di tradimento. A sua volta arrestato Fioravanti si vedrà rivolgere le stesse accuse. Per aver accettato gli interrogatori. Per aver disegnato con gli investigatori una mappa ragionata dei vari gruppi. Per il sospetto diffuso di un inizio di collaborazione. A trattenerlo solo la fredda determinazione della sua compagna di vita e di lotta, Francesca Mambro.
Fioravanti è dotato di una vivace intelligenza e di un notevole carisma. Forte del suo prestigio militare, comunque indiscusso (ha compiuto almeno sei omicidi), Valerio Fioravanti si assume l’impegno di promuovere una grande inchiesta interna per ricostruire le vicende dello stragismo. Sconfessare i camerati coinvolti nelle trame nere – costruite da apparati statali a scopi politici – sarà il modo migliore per restituire dignità e onore all’ambiente “sano” dei militanti rivoluzionari. Izzo è tra i pochi che si schierano con entusiasmo al suo fianco. E il “capo dei Nar” lo promuove a espressione del “nuovo movimento rivoluzionario”
I conti con la vecchia guardia
Gli esponenti della vecchia guardia sono tutti più o meno coinvolti nell’inchiesta. Il fondatore di Ordine nuovo Pino Rauti e di Avanguardia nazionale, Stefano Delle Chiaie sono stati, a diversi livelli, indagati nella strage di piazza Fontana. L’inchiesta per l’Italicus vede accusati Tuti e i suoi sodali aretini come esecutori e l’avanguardista Adriano Tilgher come organizzatore (sarà prosciolto e risarcito). Le indagini sulla strage di Brescia hanno puntato subito su uno dei leader più noti della piazza milanese, Cesare Ferri.
Il giro di Quex, nei mesi immediatamente successivi alla strage di Bologna, pur con le tante difficoltà prodotte dalla frammentazione della comunità detenuta nei diversi carceri speciali e dalla severità delle norme di sicurezza per i terroristi, organizza una sorta di commissione di inchiesta che mette capo in pochi mesi a una sentenza ampiamente autoassolutoria. Fioravanti si trova così ben presto isolato nella convinzione che certi fascisti con le stragi ci entrano. Gli ‘irriducibili’ decidono di affrontare la questione a modo loro. Nel giro di poche settimane Freda è accoltellato in carcere a Novara. Massimiliano Fachini è pestato a Rebibbia.
[1]Paolo Signorelli, Di professione imputato, [a cura di Giuliano Compagno], Edizioni Sonda, Casale Monferrato, 1996, p. 37
Per caso sapete dove trovare una versione scansionabile, o già scansionata e magari on-line, di Quex? Grazie