11 dicembre 1979: la decimazione di Prima Linea alla scuola Fiat
«Se dovessi disegnare la copertina di un album di quegli anni – racconta Luciano Borghesan, cronista della Stampa – metterei una foto della Saa». Saa sta per Scuola di amministrazione aziendale, la prima business school italiana, fondata a Torino negli anni Cinquanta, da sempre ospitata nei locali di via Ventimiglia 115, immersi nel verde di Italia 61, il quartiere nato per la celebrazione dei cento anni dell’Unità d’Italia.
Un commando di 10 guerriglieri
Martedì 11 dicembre 1979, in aula magna, novanta neolaureati ascoltano la lezione di statistica del professor Barberis. Altri sessanta, in un’aula a fianco, seguono quella di diritto d’impresa del professor Vercellone, presidente del Tribunale dei minori di Torino. Gli allievi del master, una ventina, stanno per affrontare un esame. Sono le 15.20 quando una decina di persone ben vestite varca la soglia della Saa. I bidelli pensano a un gruppo di studenti, ritardatari, ma dalle borse spuntano mitra e pistole: «Occuparono l’edificio semplicemente staccando i telefoni – ricorda Giampaolo Giuliano, 31 anni, studente del master –, la tecnologia era molto semplice». Un ragazzo, età apparente 25/30 anni, spalanca la porta dell’aula magna: «Siamo di Prima Linea. State tranquilli, l’ufficio è occupato».
Un equivoco pericoloso
Gli studenti pensano a un mitomane e dai banchi si sente anche qualche battuta di spirito, fino a quando l’uomo spalanca il giubbotto mostrando due pistole: «State calmi e niente scherzi. Siamo qui per una dimostrazione proletaria». Stessa scena nell’aula a fianco. Altri componenti del commando si dirigono verso quelli del master: «Noi eravamo in un’altra ala della scuola – ricorda Giuliano –, ci raggiungono in due, si presentano armati e ci comunicano che si trattava di un’irruzione proletaria. Quindi ci portano dall’auletta all’aula magna».
Una selezione casuale
Riuniti tutti gli studenti, professori e il personale di servizio, una ragazza sale sulla cattedra e legge un volantino: «Qui si formano i quadri dirigenti delle multinazionali – urla –. Non dovete proseguire questi studi o sarà peggio per voi». Uno studente obietta: «Io vengo dal Sud, seguo questi corsi per poter lavorare». «Non dico che tu debba fare come noi, ma qui non devi più venire» è la risposta.
Non l’unica, secondo alcune testimonianze. C’è chi racconta di aver sentito un «Allora vai a rubare». Alla fine della «lezione rivoluzionaria», il commando seleziona dieci persone tra quelle del master, cinque tra i professori e cinque tra gli studenti. Tra questi c’è anche Giampaolo Giuliano: «Ci hanno fatto sedere per terra, in corridoio, dopo averci legato le mani e tappato la bocca con il nastro adesivo». Gli altri studenti del master sono Giuliano Dall’Occhio, 28 anni, Renzo Poser, 31, Tommaso Prete, 24, e Pietro Tangari, 21. Gli altri cinque sono il dirigente dell’Olivetti Paolo Turin, 40 anni, e i professori (e dirigenti Fiat) Angelo Scordo, 45 anni, Lorenzo Uasone, 34, Diego Pannoni, 41, e Vittorio Musso, 42 anni. Quest’ultimo è l’unico di cui i terroristi accertano l’identità («Tu sei quello che lavorava alla pianificazione con Ghiglieno?»).
L’esecuzione
Gli altri vengono scelti a caso: «Dopo pochi minuti è cominciata l’esecuzione – ricorda Giuliano –. Seduti a terra con la testa verso il basso, due colpi ciascuno. Io ero l’ultimo della fila, dunque ho sentito i gemiti e i colpi di tutti gli altri. Non potevo sapere quale sarebbe stata la mia sorte, meno di due mesi prima avevano ucciso Ghiglieno. Poi ho visto la canna di una pistola vicino alle gambe, quindi due colpi. Io fui colpito all’arteria femorale, ma solo per due terzi. Il che, oggi, mi permette di parlare con lei».
Alle 15.45, meno di mezz’ora dopo l’irruzione, il commando abbandona la Saa. Studenti e insegnanti che dall’aula magna hanno potuto sentire tutto sono i primi a soccorrere le dieci vittime. Lo spettacolo è agghiacciante: dieci persone a terra, tra urla, lamenti e decine di rivoli di sangue. Sopra le loro testa, vergate a spray rosso, le scritte «Prima Linea» e «Onore ai compagni Barbara e Matteo».
Tra i feriti il più grave è Giampaolo Giuliano: «Sono stato parecchi mesi in ospedale, ho subìto un trapianto di 6 centimetri all’arteria femorale. Il periodo di recupero è stato lungo e difficile, non solo dal punto di vista fisico. Quel giorno mi ha lasciato una traccia indelebile che mi porto addosso ancora adesso. Non ho mai voluto sapere chi ha sparato materialmente, né perché abbiano sparato proprio a me. Non ho mai provato a rispondere, perché probabilmente una risposta non c’è». Lo shock è enorme.
L’apice per Prima Linea
L’assalto alla Scuola di amministrazione aziendale è un’autentica decimazione, dal sapore di rappresaglia nazista. Metà delle vittime sono semplici studenti, feriti a colpi di pistola nel mezzo di una normale giornata di studio. I giornali cittadini parlano del «più clamoroso attentato terroristico mai avvenuto in Italia», quasi come il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. E se in via Fani le Brigate rosse raggiungono l’apice della loro potenza prima di imboccare la via del declino, lo stesso può dirsi del terrore a Torino dopo l’assalto Saa.
È il punto più alto della violenza: «Per Prima Linea – ricorda ancora Giampaolo Giuliano – è stata una dimostrazione di invulnerabilità, come a dire, ‘possiamo fare quello che vogliamo’. Ma il giorno dopo in piazza c’era un sacco di gente. Io penso che da quel momento il percorso del terrorismo a Torino abbia cominciato a decadere». Ventiquattr’ore dopo gli studenti della Saa si riuniscono in assemblea: «Dobbiamo continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto. Guai a farci intimorire», ripetono in molti.
FONTE. S.Caselli – D.Valentini Anni spietati, Laterza, 2012
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