Delirio di potenza

[Commento dopo il bombardamento serbo al cimitero di Sarajevo dopo i funerali delle vittime civili di un bombardamento]

SarajevoC'è qualcosa di nuovo, anzi di antico nell'incontrollata escalation di violenza e di ferocia delle milizie serbe in Bosnia. Certo, c'è lo spirito guerriero che ha animato per secoli le vicende delle popolazioni slave l'un contro l'altro armate nel vorticoso intreccio delle vicende diplomatiche e militari del cuore dell'Europa, quando le linee di frattura erano - di volta in volta, e sempre più spesso in variegate combinazioni - etniche, religiose, politiche, culturali.
Uno spirito guerriero che non è stato per niente mitigato dall'ideologia cristiana - che anzi nuovo alimento dallo spirito di crociata ha tratto la tendenza a radicalizzare lo scontro sul versante religioso: l'Olocausto dei popoli dell'ex Jugoslavia evoca scenari da grandi migrazioni medievali, quando dal sangue e dal ferro doveva nascere - come dal crogiuolo dell'alchimista - dopo una lunga e feroce gestazione, dalla complessa fusione dell'elemento slavo, tedesco e latino la nazione europea.
Eppure vi sono due elementi che sono del tutto moderni e che avrebbero sicuramente fatto inorridire i più feroci dei nostri antenati. La guerra degli antichi era guerra assolutamente distruttrice, che aveva tra le regole del gioco il massacro dei maschi adulti, il diritto al saccheggio e allo stupro, la riduzione in schiavitù o in stato di servaggio di donne e bambini: eppure conosceva la pietas, lo spazio del sacro e della sospensione, il limite dell'immondo.
Ma c'è qualcosa di più. Nella guerra degli antichi non c'era certo la pretesa di rappresentare la Ragione, la velleità di avere Dio dalla propria parte.
Ci si scannava dopo aver fatto gli scongiuri e i riti propiziatori ai propri Dei - che spesso erano anche quelli degli avversari - ma con l'innocente convinzione che non erano in gioco i destini dell'universo mondo ma solo quello proprio e della propria gente.
Quello che desta autentico orrore nella tragedia dei popoli dell'ex Jugoslavia è appunto la terrificante pretesa di ristabilire il dominio pieno e incontrollato della propria stirpe - contro 1500 anni di storia - su un territorio che è stato appunto crogiuolo di razze, di religioni, di rapporti di dominio e di pallidi eppur esemplari tentativi di convivenza civile.
Dietro il bombardamento del cimitero di Serajevo non c'è soltanto inumana, ordinaria ferocia: no, c'è il paradigma della guerra giusta, la volontà di potenza assolutamente moderna che ha al capolinea lo sterminio dell'avversario, e non solo il genocidio fisico ma l'annientamento delle sue stesse ragioni.
In tempi in cui sull'onda della furia xenofoba e razzista che monta in tutta Europa - e che trae certamente alimento da una difficile fase di transizione al mercato del decomposto sistema del socialismo reale con i suoi inenarrabili costi umani e sociali ma che non è riducibile alla sola dinamica materiale - prendono voga anche mode revisioniste su quello che è stato - per antonomasia - l'Olocausto c'è qualcosa che va detto con estrema chiarezza.
In termini di costi puramente umani è ormai evidente a tutti che il maggior boia del XX secolo è stato Giuseppe Stalin - c'è poco da dire: 14 milioni di culachi sono indubitabilmente di più di qualche milione di ebrei-. E dal punto di vista del sogno della liberazione umana è stato ancora peggiore, se è riuscito a trasformare il nome di socialismo, il nome di comunismo in un incubo per centinaia di milioni di proletari e di lavoratori. Eppure solo nel nazismo c'era appunto questo delirio di potenza, la velleità di spingere il dominio dell'uomo sulla natura al punto di pretendere di ridefinire persino la geografia e la composizione degli insediamenti umani sul territorio. Velleità che ritorna nell'arroganza delle milizie serbe.
IL GIORNALE DI NAPOLI 6-8-92

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