Delitto Mattarella, la pista nera. Parla Fabrizio Zani, l’uomo della targa
Il libro Ombre Nere dei giornalisti del Fatto quotidiano, Sandra Rizza e Giuseppe Lo Bianco, fresco di stampa, rilancia la pista nera sul delitto Mattarella. Questa intervista telefonica risale allo scorso 6 gennaio. Allora fu Bolzoni di la Repubblica a riproporre la vecchia questione delle targhe dell’auto usata dal commando. Parla Fabrizio Zani, l’ex terrorista che avrebbe avuto a disposizione gli spezzoni delle targhe usate a Palermo e ricostruisce la storia del covo di via Monte Asolone a Torino
“A Via Monte Asalone non c’era assolutamente nessuna targa. Era soltanto una casa dove abitavamo io e la mia compagna, Jeanne”. E’ categorico Fabrizio Zani, l’ex terrorista nero balzato agli onori della cronaca per la riapertura delle indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella. La pista nera riaperta dagli inquirenti, infatti, si basa su una targa ritrovata in quella casa e che è complementare a quella usata dai killer del presidente della Regione Sicilia. Una pista non originale: per quel delitto eccellente furono processati come killer e assolti i due leader dei Nar, Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini mentre un’altra Corte condannò come mandante l’intera cupola di Cosa Nostra
“Agli inizi di ottobre 1982, in seguito alle confessioni di Walter Sordi – spiega Zani – i carabinieri arrivano nei locali che contenevano tutto il materiale operativo, un ufficio che era nella disponibilità di Paolo Stroppiana. Noi abbiamo paura che anche lui sia stato arrestato perché abbiamo perso i contatti e quindi decidiamo di allontanarci da Torino senza neanche passare da casa. Sicuramente ci lasciamo le attrezzature per falsificare le patenti e le munizioni, poteva esserci anche una pistola mia di riserva ma nient’altro”.
In effetti è notevole la dotazione logistica sequestrata al gruppo armato torinese: “Un fucile da guerra, dieci pistole, tre bombe a mano, oltre mille cartucce di vario calibro, tre silenziatori, cinque divise da carabiniere, tre giubbotti antiproiettile, 46 modelli di carta d’identità, 238 modelli di patente di guida, 159 tessere da carabiniere, dieci tessere da ufficiale della finanza, 45 tessere da sottufficiale della finanza, 294 libretti di circolazione per auto, 597 tagliandi di assicurazioni, circa 200 timbri di uffici pubblici, parrucche, passamontagna”.
Le confessioni di Sordi, uno dei superlatitanti dei Nar, ricercato per diversi omicidi, danno vita a un’operazione di polizia lunga e articolata, che comincia nei primi giorni di ottobre e consente arresti a grappolo: tra questi c’è anche, effettivamente, quello di Paolo Stroppiana. Anche il giovane neofascista si pente e così gli investigatori possono smantellare l’intera rete torinese.
L’operazione per il covo di via Monte Asalone è complicata. L’Ansa all’epoca la racconta così: “Un covo di terroristi ‘neri’, legati ai Nar e a Terza Posizione, è stato scoperto dai carabinieri in un appartamento di via Monte Asalone 63, a Torino (il casermone popolare come appare oggi su Google Maps, ndb). I carabinieri vi hanno fatto irruzione alcuni giorni fa, senza però riuscire ad arrestare alcun terrorista; ora vi sono ritornati perché ritenevano che qualcuno dei ricercati si aggirasse nella zona, ma non sono riusciti a rintracciare nessuno. Lo spiegamento di forze ha però in pratica reso di pubblico dominio la notizia della scoperta della base che sarebbe stata frequentata da noti elementi dell’eversione di destra, tra i quali Belsito, Soderini e Zani”.
Il “padrone di casa” svela l’arcano del doppio colpo a vuoto dei carabinieri: “Nel dubbio che la casa non l’avessero trovata perché Stroppiana conosceva la zona ma non l’indirizzo preciso – racconta Zani – con l’obiettivo di recuperare l’attrezzatura per falsificare le patenti che era importante, chiamai un mio amico di Padova, un tossico, e gli dissi: ‘Senti c’è questa situazione, io ti do le chiavi e tu vai. Se per caso ti pigliano perché ci stanno dentro gli sbirri, tu dici una cazzata: ci eravamo conosciuti tanto tempo prima, ci eravamo incontrati e ti avevo semplicemente detto che avevo una dritta per quell’appartamento. Così ti fai una settimana di galera per furto e noi ti diamo un tot’. Lui ha accettato, è andato, non se lo sono filato perché vedono un tossico, non hanno nemmeno pensato che potesse essere uno di noi e lui è riuscito a entrare nell’appartamento che era vuoto. Quando se ne va, sicuramente non lo ha fatto apposta, ha lasciato la luce accesa. La sera quelli che erano fuori ad aspettarci, vedono la luce accesa e fanno la seconda irruzione convinti di prenderci. Loro dicono che la targa l’hanno trovata in questa occasione Ma non è vero, la casa era vuota, perché questo tossico di Padova era stato dentro, aveva lasciato la luce accesa ed era scappato. E poi se l’era pure presa con me: ‘mi hai mandato in una casa vuota’”.
Le conclusioni dell’ex terrorista nero sono lapidarie: “E’ tutta una cazzata, quella targa non è mai esistita o se è esistita si sono preparati loro all’epoca una bella pista nera nel caso ce ne fosse bisogno per dimostrare che erano stati i fascisti ad ammazzare Mattarella”.
La tesi della persecuzione e del complotto lascia sempre sconcertati ma ci sono due particolari che inducono a riflettere. Zani non rischia nulla sul piano giudiziario. All’epoca del delitto Mattarella, infatti era detenuto. Qualsiasi giro abbia fatto quel reperto che riconduce ai killer di Palermo prima di arrivare a casa sua (o nel covo del suo gruppo armato, come sostiene lui stesso), cambia poco: non gli potranno certo accollare l’omicidio eccellente. E qualsiasi altro reato sarebbe abbondantemente prescritto. Lui ha già scontato due ergastoli pur non avendo materialmente ucciso nessuno. E’ stato condannato in due distinti processi contro i Nar: a Roma, per un passante ucciso in un conflitto a fuoco dopo una rapina in banca; a Pisa per aver organizzato e guidato l’auto nell’omicidio di Mauro Mennucci, il “camerata” toscano responsabile dell’arresto di Mario Tuti, un altro leader del terrorismo nero.

Con quell’ambiente Zani ha rotto da tempo: in carcere si è messo a studiare, si è laureato con una tesi sull’etnicità in Italia che anticipava i temi del leghismo più radicale, ed è approdato a posizioni di intransigente ecologismo. Oggi è titolare di una casa editrice il cui catalogo dà ampio spazio alle “fissazioni” del popolo grillino: dalla nocività di farmaci e vaccini allo strapotere delle banche. Ed è un libero cittadino: nel 2004 ha finito di scontare la pena grazie agli sconti previsti per la buona condotta e il beneficio della libertà condizionale. Proprio perché nessuno potesse accusarlo di trarne beneficio, solo dopo la scarcerazione definitiva si è deciso a raccontare tutto quello che sapeva sul terrorismo nero in una lunga intervista a Nicola Rao, pubblicata nella sua “Trilogia della celtica”. Ricostruisce la propria storia, se ne assume le responsabilità, riferisce confidenze carcerarie ricevute sulle stragi. Perché quindi scegliere oggi una posizione di “assoluta negativa”?
Zani insiste: “E’ una montatura organizzata all’epoca, che hanno tenuto in caldo, o magari speravano che qualcuno si accorgesse di quella targa. Una cosa che non sta né in cielo né in terra. Non ho idea chi se la sia inventata. Quello che io garantisco e so per certo è che alla seconda irruzione la casa era vuota. Questo è il punto fondamentale. Altro punto, ma qui c’è solo la mia parola, nella casa non c’era niente perché non era una base operativa. Non c’era senso che io e Jeanne ci tenessimo una targa. Quindi se dicono che l’hanno trovata nella seconda irruzione hanno mentito. Punto. Tanto che la targa non si trova.”
Alla fine dell’intervista trova anche il tempo per una puntualizzazione sui suoi rapporti con Fioravanti, il presunto killer (assolto) di Mattarella: “Io non sono mai stato nei Nar. Quella non era una base dei Nar. Era casa mia e di Jeanne che eravamo latitanti. Avevo una condanna definitiva per Ordine Nero. Facevamo cose con i gruppi armati di Terza Posizione, eravamo di Terza posizione, non ci azzeccavamo niente né con Valerio Fioravanti né con i Nar. Anche se, si sa, all’epoca eravamo abbastanza mischiati”.
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