27 febbraio 1969, Nixon a Roma. Fascisti all’attacco: muore Domenico Congedo
Sabato 27 febbraio 1969 la città di Roma venne blindata in occasione della visita ufficiale del Presidente degli Stati Uniti Nixon. Le strade, vuote, furono presidiate dalle forze dell’ordine, mobilitate, per l’occasione, in gran numero.
Lo scenario che si delineò quel pomeriggio di febbraio fu ben diverso da quello descritto dai cronisti e dagli inviati che avevano seguito il viaggio di Nixon in Europa, con le manifestazioni di giubilo mostrate a Bruxelles, Londra e Berlino ovest.
L’annuncio della visita, infatti, aveva diviso profondamente gli schieramenti politici. Le polemiche erano infuriate e non erano mancate le provocazioni. (…)
I cortei studenteschi
Il pomeriggio del 27 febbraio 1969, numerosi assembramenti e cortei di protesta si formarono in diversi punti della città. Gli studenti del movimento studentesco tentarono di uscire dall’ateneo, da giorni occupato, ma vennero bloccati da un’ingente schieramento di polizia e carabinieri che volevano impedire l’eccessivo ingrossamento del corteo che di li a poco sarebbe partito da piazza Esedra. La tensione sfociò subito in scontri nelle zone adiacenti la città universitaria.
Il corteo partito da piazza Esedra, con alla testa un cordone di parlamentari del Pci e del Psiup, imboccò via Nazionale, ma all’altezza di via Napoli fu bloccato dalla polizia. I manifestanti, tornati in piazza Esedra, discesero via Vittorio Emanuele Orlando, dove, all’incrocio di via Bissolati, nelle vicinanze dell’ambasciata statunitense, di nuovo vennero fermati. Deviato verso piazza Barberini, il flusso di manifestanti si incanalò, allora, verso largo Chigi, dove improvvisamente partirono le cariche della polizia e dei carabinieri. Da quel momento in poi, fino a sera inoltrata, le strade della centro della città furono teatro di scontri violenti e di cariche indiscriminate da parte della celere nei confronti di qualsiasi assembramento.
Gli attacchi fascisti
In questo contesto, comparvero gruppi di neofascisti che si scagliarono contro sedi e sezioni politiche. Il primo assalto venne compiuto contro una sede del partito radicale che esponeva uno striscione di protesta contro la visita di Nixon. Un indignato editoriale di «Paese Sera» del 28 febbraio 1969, denunciando la presunta connivenza tra forze di polizia e gruppi neofascisti, descrive lo scenario di quelle ore.
[…] Alla città universitaria è stato tutto un assalto durissimo, intimidatorio, puramente gratuito…. […] Per una logica concatenazione degli eventi, a fianco della polizia, sono apparsi gruppetti di fascisti. Sono stati loro a cercare l’incidente in via 24 maggio contro la sede del partito radicale per via dello striscione anti-Nixon… Una pattuglia di poliziotti sulle loro «jeeps» sibilanti è venuta provocatoriamente, stupidamente, senza un motivo qualsiasi a sfilare davanti alla sede del nostro giornale…li abbiamo visti coi nostri occhi questi agenti salutare con il braccio levato alla fascista, rivolgerci gesti di minaccia con i loro bastoni.
L’assalto a Magistero
Verso sera, un cospicuo gruppo di estremisti di destra percorse via Nazionale fino a piazza Esedra, li dove era partita la manifestazione indetta dalla sinistra, senza incontrare la resistenza delle forze dell’ordine ancora presenti nella piazza, e si diresse verso il Magistero occupato dagli studenti, con l’intenzione di scacciarne gli occupanti. Contro la facciata dell’edificio, vennero dapprima lanciati sassi e poi sparati dei razzi, simili a quelli utilizzati per i fuochi d’artificio. Non riuscendo a forzare l’ingresso dell’edificio occupato, gli assalitori appiccarono fuoco alla porta, nel tentativo di entrare.
Neanche di fronte a questo episodio la polizia intervenne.
La fuga e la caduta
All’interno del Magistero gli occupanti erano rimasti in pochi. La maggior parte degli studenti, infatti, avevano partecipato al corteo nel pomeriggio. Di fronte alla violenza dell’attacco, le persone rimaste a presidiare l’edificio si rifugiarono ai piani superiori, nella speranza di un soccorso. Uno di questi, Domenico Congedo, studente di Lingue, si arrampicò su un cornicione di una finestra del quarto piano, cercando una via d’uscita per i suoi compagni. Tuttavia la traversina di marmo che sorreggeva il ragazzo non resse, si sbriciolò e Domenico Congedo cadde nel pianterreno. Trasportato, con notevole ritardo, al Policlinico, trovò lì la morte.
Domenico Congedo aveva 24 anni ed era nato a Monteroni, in provincia di Lecce. Da poco si era trasferito a Roma, in una stanza in affitto nei pressi di piazza Zama, in via Bitinia. Studiava Lingue e Letterature straniere. Da poco accostatosi alla politica, di simpatie anarchiche, si era avvicinato al movimento studentesco.
Una morte impunita
Data l’entità degli incidenti e di fronte alla notizia della morte di Domenico Congedo, il presidente degli Stati Uniti annullò la conferenza stampa indetta per la sera.
Nixon partì, comunque, in una Roma spettrale, scioccata dagli scontri del giorno precedente. Mentre sui giornali ed in parlamento infuriava la polemica, sui cancelli della città universitaria ancora occupata, vennero affisse le bandiere rosse e nere degli anarchici, mentre uno striscione recitava : «E’ morto un compagno di lotta, Domenico Congedo». Gli studenti, ancora una volta, formarono un grosso corteo che attraversò la città, protestando contro la violenza della polizia e le aggressioni fasciste.
Nonostante il clamore suscitato dai fatti del 27 febbraio e le interrogazioni parlamentari, nonostante il Partito comunista e il quotidiano «l’Unità» avessero fornito alla magistratura un lungo elenco di testimoni, la morte di Domenico Congedo fu attribuita esclusivamente al cedimento del cornicione.
FONTE: GUIDO PANVINI/reti invisibili
Per approfondire
La strage di Stato, il celebre volume di controinchiesta su Piazza Fontana dedica una pagina alla vicenda di Domenico Congedo, inserendola nel contesto della presenza fascista all’Università
Il cadavere di Armando Calzolari viene ritrovato oltre un mese dopo la sua scomparsa, il 28 gennaio. Verso la metà dello stesso mese un uomo si era presentato nella redazione di un settimanale romano e aveva rilasciato una lunga dichiarazione, registrata su nastro magnetico alla presenza di alcuni testimoni. Il suo racconto finiva con questa frase: “Ho deciso di parlare con voi perché mi sono accorto di avere sbagliato a frequentare gli ambienti di destra e poi perché ho paura. Non vorrei fare la stessa fine di Calzolari”. L’uomo si chiama Evelino Loi, è un sardo disoccupato e ha 25 anni. Al suo arrivo a Roma era stato protagonista di una clamorosa protesta: salito sul Colosseo aveva minacciato di gettarsi nel vuoto se non gli veniva dato un lavoro. Lo assumono in Vaticano, come uomo delle pulizie in casa di un monsignore. Dopo qualche giorno Loi si licenzia e comincia a frequentare i portici della stazione Termini in compagnia di un gruppo di sottoproletari meridionali e sardi. Vive di espedienti. Quando nell’inverno del 1968 il movimento studentesco occupa la facoltà di Magistero in piazza Esedra, di fronte a Termini, Evelino Loi, che proviene da una famiglia di comunisti, chiede di partecipare alle lotte degli studenti e viene accolto. La facoltà occupata gli serveanche come asilo notturno. Nel giro di pochi giorni organizza una squadra coi suoi amici meridionali che aiutano gli studenti a respingere gli attacchi dei fascisti. Il 3 febbraio 1969, durante la visita del Presidente Nixon a Roma, i fascisti danno l’assalto alla facoltà con razzi e bombe incendiarie. Un anarchico, Domenico Congedo, precipita dal quarto piano e muore. La polizia, che ha assistito all’attacco senza intervenire, coglie il pretesto per sgomberare l’edificio. Gli studenti continuano l’occupazione alla città universitaria, dove si trasferisce anche Evelino Loi col suo gruppo. Dopo qualche giorno 3.000 poliziotti e carabinieri irrompono all’alba: nelle aule sono presenti solo sette ragazzi, che vengono malmenati e arrestati. Tra essi c’è un operaio meridionale del gruppo di Loi. Il movimento studentesco organizza una colletta e Loi è uno degli incaricati: raccoglie circa 400.000 lire. Quando i sette escono dal carcere si scopre che quei soldi non gli sono mai stati consegnati. Evelino Loi confessa il furto e viene immediatamente allontanato. Poco dopo, il quotidiano di destra La Luna pubblica una sua intervista nella quale egli accusa il movimento studentesco di “teppismo” e di “fregarsene degli operai”. In cambio di quelle dichiarazioni ha ricevuto 100.000 lire. Da quel momento Evelino Loi diventa uno dei tanti mazzieri dei fascisti, partecipa in prima fila alle loro manifestazioni vestito della divisa di Volontario del MSI.
Il testo contiene un errore evidente: l’assalto non è il 3 febbraio.
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