Claudio
Lazzaro
NAZIROCK
DVD+libro,
Feltrinelli , 2008
Ugo
Maria Tassinari
I
COLORI DEL NERO
DVD,
Immaginapoli , 2005
Perchè
parlare della destra radicale? Per vari motivi. Ma soprattutto perchè
è un tabù: il fascismo e il neofascismo (e il fascista
e il neofascista) sono
il Male Assoluto, il mostro esecrabile per definizione, “fascista”
e “nazista” sono insulti ormai buoni per tutte le stagioni, a
destra come a sinistra. Pure, fino a poco più di mezzo secolo
fa, una buona parte dell'Europa era fascista o fascistizzata: tutti
pazzi? tutti mostri? Pure, lo svoltare a destra dell'Italia e
dell'Europa è innegabile. La destra radicale (nella quale si
può inserire anche la Lega) sembra sempre più farsi
antenna delle paure, delle speranze e delle pulsioni delle classi
deboli della popolazione. Però la destra estrema è un
tabù: qualcosa che si odia, che si combatte, ma di cui non si
parla, e che non si conosce. Forse però non serve mettere
bandiere arcobaleno e ripetere “Bella Ciao” come un mantra il 25
Aprile. Forse non serve continuare a guardarsi l'ombelico, a parlare
a noi stessi, a fare manifestazioni e iniziative che usano il nostro
linguaggio e si rivolgono a chi già la pensa come noi. Forse
serve che ci chiediamo il perchè di un po' di cose. Forse
dobbiamo uscire dal comodo tabù razziale
antifascista, e capire che cos'è
il neofascismo e come affrontarlo, seriamente.
E'
interessante vedere, al proposito, due DVD quasi contrapposti tra
loro che tentano, entrambi forse fallendo, in modi completamente
diversi, di descrivere questo mondo: due spaccati per immagini, due
visioni della destra radicale italiana. Del primo, uscito
recentemente, si è parlato molto (anche qui su Cut Up). Del
secondo si è parlato poco, pochissimo, e val la pena
ripescarlo anche se è uscito tempo fa.
In
Nazirock, Claudio Lazzaro
documenta la vita sociale e quotidiana dei giovani della destra
estrema italiana e in particolare di Forza Nuova. Il video inizia
documentando la presenza neofascista all'interno della coalizione di
centrodestra. Presenza non solo a livello di patti politici, di “alte
sfere”, ma anche a livello popolare: la gente che applaude il
corteo di FN contro il governo Prodi, la vecchina di Forza Italia che
risponde a Noi! (con
la faccia divertita e imbarazzata di chi dice una parolaccia
liberatoria) quando un ragazzo di Fiamma Tricolore urla viva
il Duce!
Il
documentario poi si concentra su uno dei principali momenti di
aggregazione di questa scena, un Campo d'Azione di FN (sorta di
congresso e festival del partito di Roberto Fiore). Da un lato gli
interventi dei leader della formazione di estrema destra, dall'altro
le immagini e i testi dei gruppi “nazirock”,appunto, come gli
Hobbit e i Legittima Offesa (ai quali è dedicata un'
intervista come contenuto extra). Le immagini e le interviste volendo
sono interessanti, nella misura in cui è interessante vedere
le immagini, l'antropologia di un universo che è normalmente
inaccessibile a molti. Ne descrive principalmente il folklore, la
rabbia, le grida di battaglia, come fossero una tribù altra
da noi.
L'operazione
di Lazzaro fallisce nel momento in cui scavalca l'esigenza
documentaristica e si fa costruttrice
di uno stereotipo
razzista nei confronti
della gioventù di estrema destra, con metodi non solo ambigui
ma al limite della plateale falsificazione. Un esempio per tutti:
Lazzaro prende una cantonata plateale quando associa le immagini
degli Hobbit che cantano “frana la curva frana, sulla
polizia italiana, frana la curva frana, su quei figli di puttana alle
immagini del TG1 sull'omicidio Raciti. Buon cortocircuito
concettuale. Peccato che di per sè “Frana la curva” sia
una canzone degli Erode, gruppo oi! di estrema sinistra, che viene
cantata anche in centri sociali di sinistra e che esprime un qualcosa
probabilmente condiviso da tutti i gruppi ultras, politici, etc. che
soffrono la repressione delle forze dell'ordine, a prescindere
dall'appartenenza politica.
Ha
avuto quindi buon gioco Forza Nuova a diffidare la proiezione
pubblica del DVD. Certo, così facendo evitano che anche lati
più oggettivamente imbarazzanti (come il coordinatore
nazionale Paolo Caratossidis che rivendica orgoglioso i pestaggi ai
compagni) saltino fuori. Però Claudio Lazzaro fa il
giornalista da 30 anni: poteva forse documentarsi un po' meglio ed
evitare di rendersi così facile bersaglio. Non lo sa che FN è
ampiamente abituata a presentare (e spesso a vincere) cause per
diffamazione?
Nazirock
inoltre delude perchè è un documentario che resta alla
superficie. Fa vedere in gran parte quello che sa già che vuol
far vedere, quello uno si aspetta già di vedere. Il
negazionista dell'Olocausto, il tatuaggio del Duce, le teste rasate
coi saluti romani, le canzoni che rivendicano la “legittima offesa”
(che si conclude peraltro con un ineccepibile “L'unica cosa di cui
sono sicuro è che per essere liberi bisogna lottare”). Non
si chiede perchè
però. Ha gioco facile a mostrare adolescenti attirati come
falene dal neofascismo e a vederli impotenti di fronte a elementari
domande di storia: ma non va a chiedersi il perchè questo
accada. Mostra persone apparentemente normali che applaudono le teste
rasate di FN in corteo, ma non si chiede perchè lo facciano.
Nazirock mostra un
delirio di saluti romani e personaggi più o meno folcloristici
o inquietanti, ma alla fin fine non dice
niente. Ci dice che i fascisti sono fascisti, che i razzisti sono
razzisti. Tante grazie, lo sapevamo già. Se questo è il
livello di analisi che si riesce a fare, è normale che la
sinistra rimanga stordita da un paese con la Lega al 10% e la Fiamma
Tricolore quasi al 3%.
La
cosa che fa più paura è che ci vorrebbe poco a
costruire un documentario egualmente ovvio, egualmente ambiguo,
egualmente inutile sull'estrema sinistra. Dio non voglia che a
Vittorio Feltri o Giuliano Ferrara venga quest'idea: monta due
immagini di giovani dei centri sociali che invitano alla rivolta con
immagini di “black bloc”, mostra qualche gruppo punk che grida
alla violenza contro la polizia, sostituisci i fascisti che chiedono
la libertà di Luigi Ciavardini con i compagni che lottano per
la libertà di Cesare Battisti, intervista un paio di pischelli
fumati sui crimini di Pol Pot sapendo benissimo che ti risponderanno
“Pol Pot chi?”, e vualà, ecco pronto Commierock
– Il contagio comunista tra i giovani italiani.
Poi sarà inutile prendersela con la stampa di destra
qualunquista, però.
Infine,
riporto una fondamentale riflessione dalla blogger Irene (alla quale
sono debitore anche di vari spunti qui sviluppati): “Nazirock è
un'occasione sprecata anche per riflettere sugli opposti valori della
sinistra. Sull'ipocrisia e sulla confusione di chi schifa il
patriottismo a casa propria e difende acriticamente il nazionalismo
degli altri, chi fa un pensierino sullo sbattezzarsi ma ammira le
tradizioni religiose degli altri, e su come questa confusione celi un
altro tipo di razzismo, meno pericoloso ma che saremo prima o poi
costretti ad affrontare.” A questo, e quindi alle radici umane
di certe pregiudiziali a tutti trasversali, dovremmo riflettere.
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Tutt'altra
cosa è I colori del nero di
Ugo Maria Tassinari, giornalista dichiaratamente di sinistra che da
anni è il principale cronista dell'intricatissima storia della
destra radicale italiana. Tassinari ha scelto di dare voce a sette
voci della destra radicale italiana degli anni '70 e '80 (ma tuttora
presenti), sette voci tra loro unite dal filo “nero”, ma
diversissime per temi e modulazione. Ascoltiamo quindi Maurizio
Murelli, sanbabilino, condannato per i fatti del “giovedì
nero” di Milano del 1973, che riscopre la “metafisica delle
vette” evoliana , e in parallelo Claudio Mutti, filologo, editore e
intellettuale, ex militante di Ordine Nero, che si avvicina all'Islam
radicale quale compiuta forma del sacro. L'ecologismo radicale
dell'ex terrorista Fabrizio Zani e il femminismo-ecologismo da destra
di Alessandra Colla, che per prima ha “riscoperto” Ipazia in
Italia. Ma anche il neofascismo sociale e futurista che gravita
intorno a Casa Pound e il culto militante alla tomba di Mussolini.
Una
serie di opinioni e di quadri spesso del tutto inediti rispetto
all'iconografia classica del “nero”, inframmezzati dai recitati
di Miro Renzaglia e dalle immagini del “Qohelet” messo in scena
dai detenuti del carcere di Livorno su testo di Luciano Violante
grazie a Mario Tuti. E l'intervista a Tuti, simbolo di una storia di
penitenza e riscatto, è forse la più interessante e
umana del DVD: ieri efferato ex terrorista di destra, pluriomicida;
oggi autore multimediale, assiste tossicodipendenti in recupero, e
parla della sua esperienza come organizzatore di spettacoli teatrali
in carcere come occasione di riabilitazione, di contatto tra i
detenuti e il resto del mondo. Memorabile l'aneddoto che Tuti narra
proprio su Violante, l'autore del testo da lui messo in scena:
“C'eravamo sfiorati, trent'anni fa, al tempo degli anni
di piombo. Io sfuggii per caso a un suo primo blitz in Toscana nel
1974. Violante mi sfuggì quando ero latitante a Torino.
Gliel'ho anche ricordato. Ovviamente lui non sapeva di essermi
sfuggito. E Violante mi ha guardato e sorridendo mi ha detto: 'Beh,
meglio esserci trovati in questa occasione.' “.
Una
destra sì radicale ma diversa, diversissima dall'immagine che
se ne ha di solito, come quella ovvia dipinta da Claudio Lazzaro.
Forse troppo diversa. Il problema del DVD di Tassinari è che
nel dipingere i lati culturalmente più sconosciuti e
innovativi del pensiero dell'estrema destra, ne lascia da parte
quelli che sono i fondamenti effettivi. Mostra dei fascisti che,
richiamo a Mussolini a parte, non sembrano nemmeno più
fascisti -ma che invece lo sono. Non è qualcosa che voglio
rimarcare per affibbiare uno stigma: semplicemente, lo spettro dei
colori dipinto da Tassinari è parziale. La destra radicale
contiene sì la riflessione sociale di Gabriele Adinolfi, ma
poi si esplica con i volantini di Forza Nuova che chiedono “basta
froci”. E' fatta dell'ecologismo trasversale di Alessandra Colla,
ma ci si dimentica del suo mentore Franco Freda, massimo teorico
italiano della segregazione razziale. Non si può prendere il
lato “presentabile” di questo genere di movimenti e dimenticarsi
del resto: non perchè altrimenti non si dia pegno ai lari
dell'antifascismo, ma semplicemente perchè non si descrive la
realtà. Va dato atto a Tassinari di aver voluto scavalcare le
facili pastoie dei luoghi comuni in cui invece si incista Lazzaro, ma
nel fare questo ha comunque ricostruito una versione incompleta dei
fatti.
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Nazirock
e I colori del nero
restano dunque due opere opposte e non completamente complementari.
Nessuna delle due da sola da' un quadro lontanamente sensato della
destra radicale italiana; presi assieme iniziano a schiarire alcune
prospettive, ma forse rischiano di lasciare più che altro
confusi. Resta il fatto che nessuna delle due opere va ad indagare i
fondamenti, le origini sociali, psicologiche, umane del pensiero di
destra. Operazione la cui complessità sarebbe comunque
difficile concentrare in un filmato. Purtroppo la letteratura e la
documentaristica sulla destra radicale è tuttora scarsissima e
ben poco organica (affronteremo quello che c'è in futuri
articoli). Intanto, Nazirock
e I colori del nero ,
presi insieme e con le dovute riserve, forniscono per ora un frammentario punto di
partenza, una base di immagini e suoni, all'esplorazione di questo
mondo complesso e inquietante, così nascosto e così
attuale.
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