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Home arrow Cinema arrow Nazirock / I colori del nero
Nazirock / I colori del nero PDF Stampa
Scritto da Massimo Sandal   
domenica 04 maggio 2008

nazirock.jpgcoloridelnero.jpg

 

Claudio Lazzaro

NAZIROCK

DVD+libro, Feltrinelli , 2008


Ugo Maria Tassinari

I COLORI DEL NERO

DVD, Immaginapoli , 2005


Perchè parlare della destra radicale? Per vari motivi. Ma soprattutto perchè è un tabù: il fascismo e il neofascismo (e il fascista e il neofascista) sono il Male Assoluto, il mostro esecrabile per definizione, “fascista” e “nazista” sono insulti ormai buoni per tutte le stagioni, a destra come a sinistra. Pure, fino a poco più di mezzo secolo fa, una buona parte dell'Europa era fascista o fascistizzata: tutti pazzi? tutti mostri? Pure, lo svoltare a destra dell'Italia e dell'Europa è innegabile. La destra radicale (nella quale si può inserire anche la Lega) sembra sempre più farsi antenna delle paure, delle speranze e delle pulsioni delle classi deboli della popolazione. Però la destra estrema è un tabù: qualcosa che si odia, che si combatte, ma di cui non si parla, e che non si conosce. Forse però non serve mettere bandiere arcobaleno e ripetere “Bella Ciao” come un mantra il 25 Aprile. Forse non serve continuare a guardarsi l'ombelico, a parlare a noi stessi, a fare manifestazioni e iniziative che usano il nostro linguaggio e si rivolgono a chi già la pensa come noi. Forse serve che ci chiediamo il perchè di un po' di cose. Forse dobbiamo uscire dal comodo tabù razziale antifascista, e capire che cos'è il neofascismo e come affrontarlo, seriamente.


E' interessante vedere, al proposito, due DVD quasi contrapposti tra loro che tentano, entrambi forse fallendo, in modi completamente diversi, di descrivere questo mondo: due spaccati per immagini, due visioni della destra radicale italiana. Del primo, uscito recentemente, si è parlato molto (anche qui su Cut Up). Del secondo si è parlato poco, pochissimo, e val la pena ripescarlo anche se è uscito tempo fa.

In Nazirock, Claudio Lazzaro documenta la vita sociale e quotidiana dei giovani della destra estrema italiana e in particolare di Forza Nuova. Il video inizia documentando la presenza neofascista all'interno della coalizione di centrodestra. Presenza non solo a livello di patti politici, di “alte sfere”, ma anche a livello popolare: la gente che applaude il corteo di FN contro il governo Prodi, la vecchina di Forza Italia che risponde a Noi! (con la faccia divertita e imbarazzata di chi dice una parolaccia liberatoria) quando un ragazzo di Fiamma Tricolore urla viva il Duce!

Il documentario poi si concentra su uno dei principali momenti di aggregazione di questa scena, un Campo d'Azione di FN (sorta di congresso e festival del partito di Roberto Fiore). Da un lato gli interventi dei leader della formazione di estrema destra, dall'altro le immagini e i testi dei gruppi “nazirock”,appunto, come gli Hobbit e i Legittima Offesa (ai quali è dedicata un' intervista come contenuto extra). Le immagini e le interviste volendo sono interessanti, nella misura in cui è interessante vedere le immagini, l'antropologia di un universo che è normalmente inaccessibile a molti. Ne descrive principalmente il folklore, la rabbia, le grida di battaglia, come fossero una tribù altra da noi.

L'operazione di Lazzaro fallisce nel momento in cui scavalca l'esigenza documentaristica e si fa costruttrice di uno stereotipo razzista nei confronti della gioventù di estrema destra, con metodi non solo ambigui ma al limite della plateale falsificazione. Un esempio per tutti: Lazzaro prende una cantonata plateale quando associa le immagini degli Hobbit che cantano “frana la curva frana, sulla polizia italiana, frana la curva frana, su quei figli di puttana alle immagini del TG1 sull'omicidio Raciti. Buon cortocircuito concettuale. Peccato che di per sè “Frana la curva” sia una canzone degli Erode, gruppo oi! di estrema sinistra, che viene cantata anche in centri sociali di sinistra e che esprime un qualcosa probabilmente condiviso da tutti i gruppi ultras, politici, etc. che soffrono la repressione delle forze dell'ordine, a prescindere dall'appartenenza politica.


Ha avuto quindi buon gioco Forza Nuova a diffidare la proiezione pubblica del DVD. Certo, così facendo evitano che anche lati più oggettivamente imbarazzanti (come il coordinatore nazionale Paolo Caratossidis che rivendica orgoglioso i pestaggi ai compagni) saltino fuori. Però Claudio Lazzaro fa il giornalista da 30 anni: poteva forse documentarsi un po' meglio ed evitare di rendersi così facile bersaglio. Non lo sa che FN è ampiamente abituata a presentare (e spesso a vincere) cause per diffamazione?


Nazirock inoltre delude perchè è un documentario che resta alla superficie. Fa vedere in gran parte quello che sa già che vuol far vedere, quello uno si aspetta già di vedere. Il negazionista dell'Olocausto, il tatuaggio del Duce, le teste rasate coi saluti romani, le canzoni che rivendicano la “legittima offesa” (che si conclude peraltro con un ineccepibile “L'unica cosa di cui sono sicuro è che per essere liberi bisogna lottare”). Non si chiede perchè però. Ha gioco facile a mostrare adolescenti attirati come falene dal neofascismo e a vederli impotenti di fronte a elementari domande di storia: ma non va a chiedersi il perchè questo accada. Mostra persone apparentemente normali che applaudono le teste rasate di FN in corteo, ma non si chiede perchè lo facciano. Nazirock mostra un delirio di saluti romani e personaggi più o meno folcloristici o inquietanti, ma alla fin fine non dice niente. Ci dice che i fascisti sono fascisti, che i razzisti sono razzisti. Tante grazie, lo sapevamo già. Se questo è il livello di analisi che si riesce a fare, è normale che la sinistra rimanga stordita da un paese con la Lega al 10% e la Fiamma Tricolore quasi al 3%.


La cosa che fa più paura è che ci vorrebbe poco a costruire un documentario egualmente ovvio, egualmente ambiguo, egualmente inutile sull'estrema sinistra. Dio non voglia che a Vittorio Feltri o Giuliano Ferrara venga quest'idea: monta due immagini di giovani dei centri sociali che invitano alla rivolta con immagini di “black bloc”, mostra qualche gruppo punk che grida alla violenza contro la polizia, sostituisci i fascisti che chiedono la libertà di Luigi Ciavardini con i compagni che lottano per la libertà di Cesare Battisti, intervista un paio di pischelli fumati sui crimini di Pol Pot sapendo benissimo che ti risponderanno “Pol Pot chi?”, e vualà, ecco pronto Commierock – Il contagio comunista tra i giovani italiani. Poi sarà inutile prendersela con la stampa di destra qualunquista, però.


Infine, riporto una fondamentale riflessione dalla blogger Irene (alla quale sono debitore anche di vari spunti qui sviluppati): “Nazirock è un'occasione sprecata anche per riflettere sugli opposti valori della sinistra. Sull'ipocrisia e sulla confusione di chi schifa il patriottismo a casa propria e difende acriticamente il nazionalismo degli altri, chi fa un pensierino sullo sbattezzarsi ma ammira le tradizioni religiose degli altri, e su come questa confusione celi un altro tipo di razzismo, meno pericoloso ma che saremo prima o poi costretti ad affrontare.” A questo, e quindi alle radici umane di certe pregiudiziali a tutti trasversali, dovremmo riflettere.


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Tutt'altra cosa è I colori del nero di Ugo Maria Tassinari, giornalista dichiaratamente di sinistra che da anni è il principale cronista dell'intricatissima storia della destra radicale italiana. Tassinari ha scelto di dare voce a sette voci della destra radicale italiana degli anni '70 e '80 (ma tuttora presenti), sette voci tra loro unite dal filo “nero”, ma diversissime per temi e modulazione. Ascoltiamo quindi Maurizio Murelli, sanbabilino, condannato per i fatti del “giovedì nero” di Milano del 1973, che riscopre la “metafisica delle vette” evoliana , e in parallelo Claudio Mutti, filologo, editore e intellettuale, ex militante di Ordine Nero, che si avvicina all'Islam radicale quale compiuta forma del sacro. L'ecologismo radicale dell'ex terrorista Fabrizio Zani e il femminismo-ecologismo da destra di Alessandra Colla, che per prima ha “riscoperto” Ipazia in Italia. Ma anche il neofascismo sociale e futurista che gravita intorno a Casa Pound e il culto militante alla tomba di Mussolini.


Una serie di opinioni e di quadri spesso del tutto inediti rispetto all'iconografia classica del “nero”, inframmezzati dai recitati di Miro Renzaglia e dalle immagini del “Qohelet” messo in scena dai detenuti del carcere di Livorno su testo di Luciano Violante grazie a Mario Tuti. E l'intervista a Tuti, simbolo di una storia di penitenza e riscatto, è forse la più interessante e umana del DVD: ieri efferato ex terrorista di destra, pluriomicida; oggi autore multimediale, assiste tossicodipendenti in recupero, e parla della sua esperienza come organizzatore di spettacoli teatrali in carcere come occasione di riabilitazione, di contatto tra i detenuti e il resto del mondo. Memorabile l'aneddoto che Tuti narra proprio su Violante, l'autore del testo da lui messo in scena: “C'eravamo sfiorati, trent'anni fa, al tempo degli anni di piombo. Io sfuggii per caso a un suo primo blitz in Toscana nel 1974. Violante mi sfuggì quando ero latitante a Torino. Gliel'ho anche ricordato. Ovviamente lui non sapeva di essermi sfuggito. E Violante mi ha guardato e sorridendo mi ha detto: 'Beh, meglio esserci trovati in questa occasione.' “.


Una destra sì radicale ma diversa, diversissima dall'immagine che se ne ha di solito, come quella ovvia dipinta da Claudio Lazzaro. Forse troppo diversa. Il problema del DVD di Tassinari è che nel dipingere i lati culturalmente più sconosciuti e innovativi del pensiero dell'estrema destra, ne lascia da parte quelli che sono i fondamenti effettivi. Mostra dei fascisti che, richiamo a Mussolini a parte, non sembrano nemmeno più fascisti -ma che invece lo sono. Non è qualcosa che voglio rimarcare per affibbiare uno stigma: semplicemente, lo spettro dei colori dipinto da Tassinari è parziale. La destra radicale contiene sì la riflessione sociale di Gabriele Adinolfi, ma poi si esplica con i volantini di Forza Nuova che chiedono “basta froci”. E' fatta dell'ecologismo trasversale di Alessandra Colla, ma ci si dimentica del suo mentore Franco Freda, massimo teorico italiano della segregazione razziale. Non si può prendere il lato “presentabile” di questo genere di movimenti e dimenticarsi del resto: non perchè altrimenti non si dia pegno ai lari dell'antifascismo, ma semplicemente perchè non si descrive la realtà. Va dato atto a Tassinari di aver voluto scavalcare le facili pastoie dei luoghi comuni in cui invece si incista Lazzaro, ma nel fare questo ha comunque ricostruito una versione incompleta dei fatti.

 

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Nazirock e I colori del nero restano dunque due opere opposte e non completamente complementari. Nessuna delle due da sola da' un quadro lontanamente sensato della destra radicale italiana; presi assieme iniziano a schiarire alcune prospettive, ma forse rischiano di lasciare più che altro confusi. Resta il fatto che nessuna delle due opere va ad indagare i fondamenti, le origini sociali, psicologiche, umane del pensiero di destra. Operazione la cui complessità sarebbe comunque difficile concentrare in un filmato. Purtroppo la letteratura e la documentaristica sulla destra radicale è tuttora scarsissima e ben poco organica (affronteremo quello che c'è in futuri articoli). Intanto, Nazirock e I colori del nero , presi insieme e con le dovute riserve, forniscono per ora un frammentario punto di partenza, una base di immagini e suoni, all'esplorazione di questo mondo complesso e inquietante, così nascosto e così attuale.

 
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