LEGGERE LA STORIA – “Naufraghi” di Ugo Maria Tassinari

NAUFRAGHI COPERTINA

Un libro sulla destra radicale, ad opera di Ugo Maria Tassinari edito per Immaginapoli. “Naufraghi” ha come sottotitolo: “Da Mussolini alla Mussolini, 60 anni di storia della destra radicale”. Questo libro rientra tra i pochissimi del genere ad avere un qualche valore, insieme a “Guerrieri” dello stesso autore e “La fiamma e la celtica” di Nicola Rao. Questoi ed altro nel commento al libro di Gabriele Adinolfi

CELTON

Per Adinolfi “Gli altri [libri ndr] non hanno in nessun caso perseguito la ricerca di un senso, di un significato ma hanno sempre indugiato nel sensazionalismo senza mai uscire dal seminato di un percorso preconfezionato, banale, inautentico e fuorviante, non di rado favorito dalle “esternazioni” dei vinti loquaci.

A Rao, per via del percorso personale, e a Tassinari, per l’indole e la cultura militante anche se su barricate opposte, va riconosciuto un tentativo di immedesimazione e di comprensione che altrove non esiste.

La particolarità di questo libro

Tra i tre libri del genere che io salvo forse Naufraghi è il più completo.

Guerrieri fu una ricerca dello spirito combattente della destra radicale in armi, La fiamma e la celtica è stato un documento prezioso sulle evoluzioni politiche del neofascismo senza enfatizzarne gli aspetti di cronaca nera.

In Naufraghi – e qui risiede la peculiarità del libro – la storia del neofascismo è letta nel suo insieme; i percorsi “criminali” sono spiegati non solo psicologicamente ma inseriti in una lettura politica e ideologica attenta.

Finalmente!

Sarebbe ora che ci si rendesse conto che non si può ridurre la storia della destra radicale ad una lettura criminale. Che poi si definisce tale perché la dr è stata sconfitta.

Per chi vince, o sale sul carro dei vincitori, tutto diventa epopea.

Dai genocidi agli stupri alle spoliazioni. Basti pensare alla mitologia sulla Resistenza (e alle medaglie al valore per stragismo di via Rasella…) e notare come gli efferati crimini dei partigiani siano stati esaltati e abbiano aperto la strada a carriere istituzionali mentre molto più etici comportamenti dei brigatisti sono diventati “terrorismo”…. Figuriamoci i nostri!

Un improvviso rispetto

Tassinari ha un animo di militante, un cervello di militante, un cuore di militante.

Ed è la ragione per la quale parla con rispetto di ognuno dei protagonisti della nostra storia che si sia messo in gioco. Da Evola (che comunque è parzialmente ma non propriamente corretto sostenere che non fosse fascista) a Delle Chiaie, da Clemente Graziani a Freda, da Signorelli a Murelli, da Tuti al sottoscritto, da Walter Spedicato a Morsello, da Concutelli a Fiore, dai Far ai Nar: magari traspare una stima non egualmente distribuita, anche perché non da tutti conquistata, ma per la prima volta in assoluto traspare quel rispetto dovuto che generalmente ci è negato per partito preso.

Gli va riconosciuto il tentativo di comprendere.

Al punto – era ora! – che anche sul golpismo l’autore indaga sul movente che spinse i neofascisti degli Anni Sessanta a tentare di partecipare ai colpi di mano. Non si trattava – come ci si ostina a ripetere bovinamente – di asservimento anticomunista agli apparati ma del tentativo, velleitario quanto si vuole, di imprimere svolte nella scia di altre svolte.

Fu titanismo, non servilismo.

Notevole è poi la capacità di comprendere le diverse linee e i distinti orientamenti, fino a riconoscerli ogni qualvolta affiorano dal terreno in cui hanno proseguito a scorrere al coperto come fiumi carsici.

Imprecisioni

Anche la documentazione è frutto di un lavoro certosino e selettivo. Questo non impedisce che vi siano inesattezze. Ad esempio non mi trovavo in Spagna durante il golpe Tejero ma ci misi piede per la prima volta in vita mia esattamente quattro mesi dopo. Nico Azzi, poi, alle regionali non sostenne Lino Guaglianone ma Alternativa Sociale.

Evidentemente i racconti altrui contribuiscono a far confusione. Non è poi autentica o giustamente datata la presa di distanza ufficiale di Casa Montag dai fatti di Forte Prenestino. Se un comunicato del genere è successivo all’agosto 2003, ovvero quando il gruppo fondante delle Osa (Fahrenheit 451) ha ceduto la gestione dell’occupazione io non lo so, ma nel febbraio di quell’anno non è stato sicuramente emesso. Non comunque da quella Casa Montag. Infine l’autenticità di germinazione di Casa Pound rischia di apparire un po’ sbiadita nel paragrafo “dal fronte rossobruno a Polaris”. Tassinari comunque riesce, malgrado le nebulose obbligate, a mantenere la barra dritta e le imprecisioni, se non altro quelle da me riscontrate, non inficiano il risultato finale. Non ho idea se ci sia stato qualche errore significativo riguardante altri percorsi, ma non penso che in ogni caso sia stato voluto né che sia sostanzialmente fuorviante.

Impronta compagna

Ovviamente ci sono ancora molti scogli da aggirare nella ricostruzione della nostra storia. Su alcuni di essi Ugo Maria s’incaglia, altri li aggira magari con manovre che potrebbero essere più lineari. Elenco alla rinfusa quello che a mio avviso andrebbe rivisto. In primis c’è l’evidente (e nel suo caso legittima) impronta compagna che si tradisce per esempio nella considerazione che i fascisti si sentivano aggrediti ma erano generalmente aggressori. Per questa tesi l’autore ci riporta la percentuale degli assalti politici del tempo che vedono indubbiamente una sproporzione notevole tra quelli fascisti e quelli comunisti ma dimentica alcuni dati essenziali.

Uno dei quali è il fatto che noi non avevamo l’abitudine di denunciare ogni attacco mentre nelle “violenze nere” all’epoca rientravano anche le sassaiole e le centinaia di risse regolarmente denunciate dal Cogidas come aggressioni. Che poi tra le minoritarie offensive rosse ci fossero i tentativi di bruciarci vivi (l’intensità conta più della quantità) e che giornalisti e istituzioni plaudessero al nostro linciaggio non mi par così secondario. Un altro squilibrio che va registrato è l’indulgenza per i compagni che sbagliano, dalle Brigate Rosse infiltrate al Superclan che viene citato di sfuggita senza dargli il valore che ebbe negli anni tortuosi. Tant’è che il legame pur ricordato anarchici-Mossad per la strage consumata da Bertoli non offre però lo spunto per percorrere la pista che indica come il Superclan avesse infiltrato Feltrinelli e le BR (procurando lo scontro con Curcio e Franceschini) in perfetto accordo con Tel Aviv dando fuoco alle polveri.

Né c’è traccia – almeno per un parallelismo da par condicio – alle “intelligenze” strane, italiane ed atlatniste, come quelle di Lotta Continua o alle responsabiltà autorevoli del plenipotenziario comunista Pecchioli nelle tele di ragno. Si dirà che questa è un’altra storia ma per contestualizzare il tutto non mi pare opportuno non raccontarla.

Sullo stragismo

Nella scia resta e risalta, sia pur non esplicitamente dichiarata, la convinzione che lo stragismo fu nero, o meglio a manovalanza nera con mandanti antifascisti. So bene che a rafforzare quella vulgata ci sono anche convinzioni di neofascisti ma credo che il discorso andrebbe approfondito. Così come sono sicuro che anche per le stragi del settantaquattro non solo i mandanti ma anche gli esecutori vadano cercati in ben altri lidi.

Invece quella convinzione non viene scalfita da Naufraghi benché ci sia comunque il merito dell’ammissione da parte di Ugo Maria che già “Strage di Stato” (la pubblicazione che diede vita all’indomani di Piazza Fontana alla tesi dei massacri fascisti) era imprecisa.

Non è però con Tassinari che bisogna prendersela per questa convinzione collettiva, ma con noi stessi che continuiamo a crederci per autolesionismo, per infezione democratica e per un errato senso di obiettività.

Fil rouge e spartiacque

Ad Ugo Maria non si può imputare il fatto di essere più attento e in qualche modo reticente nella difesa della memoria dei suoi.

Semmai è ai nostri, che hanno la tendenza a straparlare, a opinare, a sentenziare secondo “convinzioni” prese pari pari dalla dittatura mediatica, che dovremmo rinfacciare parecchio. In particolare a coloro i quali per essere accettati e perdonati delle proprie azioni criminali – o criminalizzate – cercano di (far) credere che fu il voler prendere le distanze dalle presunte pratiche oscure delle generazioni precedenti ad averli indotti ad impugnare le armi.

E qui andiamo diritti diritti ad un punto focale. La dr è stata velleitaria sempre ma disastrosa soltanto quando in essa è affiorata democrazia, con tanto di individualismo anarcoide, presunzione, ignoranza della sua memoria e si è dato sfogo incontrollato alla foga inconsulta. Esattamente l’opposto di quanto comunemente si racconta. Direi che questo è lampante e su questa traccia dovremmo leggere a ritroso la nostra storia. Che ha un fil rouge antropologico e culturale a prescindere dalla non linearità programmatica e mentale manifesta visto che c’è uno spartiacque tra golpismo e insurrezionalismo.

Quel fil rouge , checché se ne creda, è però più importante di quello spartiacque: da noi funziona così. E non è escluso che anche altrove, malgrado gli schemi razionalistici predominanti, le cose vadano esattamente nello stesso modo.

Comunque, accettiamo che la dr è stata golpista fino al 1974 e insurrezionalista – o perlomeno antagonista totale – nel decennio successivo.

O meglio, accettiamo che dapprima perseguiva la conquista del potere e poi il suo rifiuto e la costituzione del contropotere.

Le decapitazioni

Fatta questa precisazione non può tuttavia non apparir chiaro che in ambo i periodi la devastazione – e con essa le sbandate verso lidi oscuri – avviene quando le organizzazioni di riferimento vengono decapitate.

Nel 74 sia Avanguardia Nazionale che Ordine Nuovo sono nel mirino e allo sbando ed è quello il periodo in cui ci sono le operazioni Fumagalli, Sogno (e la realizzazione del Compromesso Storico…) Precedentemente, sia per il golpe Pacciardi che per quello Borghese, come nota Tassinari, il comportamento era ben diverso; strategico, gerarchico e non umiliante. Parimenti la fuga verso la sfascistizzazione e il rilancio della via disperata marciano in parallelo con la destrutturazione di Tp.

Gli effetti devastanti sono quindi in gran parte frutto di operazioni di decapitazione, le quali nel nostro mondo sono periodiche dal 1945 in poi. In altre parole si può sempre affermare che i disastri finali siano gli effetti dell’onda lunga delle scelte ambiziose delle organizzazioni neofasciste ma non si può omettere di segnalare che la loro messa fuori gioco è la causa scatenante del caos.

Ogni qual volta si sono gettati a mare tutti i Palinuro e, se sono giunti a nuoto da qualche parte, si è fatto in modo che le loro comunicazioni con la nave fossero scarse, e inquinate. Dai vascelli alla deriva sovente le scialuppe d’assalto dei naufraghi si sono infilate in rotte oscure andando a combinare molto di peggio di quello di cui accusavano i dirigenti ritenuti più compromessi.

E magari se ne vantano pure.

Gerarchia

Ragion per cui lo sfogo amaro di Staiti di Cuddia che chiude il libro (“Ho trovato solo finzioni, finti movimenti, finti capetti, finte organizzazioni, finti comitati centrali, finti intransigenti pronti a vendersi per un piatto di lenticchie”) è sì valido e condivisibile ma sembra ignorare che questo ambiente è sotto tiro; è fortemente sotto tiro, è fortissimamente sotto tiro e tutto quello che riporta a gerarchia, armonia, sostanzialità e lucidità viene osteggiato con ogni mezzo mentre qualsiasi operazione che tenda a sovvertirlo ideologicamente e mentalmente dall’interno trova sempre aiuti consistenti e tribune di rilievo. Certo, gerarchia è qualcosa di sacro che non dovrebbe mai scadere in parodia.

Gerarchia è soprattutto mettersi in riga, aderire a un principio, definire dei limiti, darsi delle regole. Se capi non ce ne sono – e non ce ne sono! – esistono altri modi per rinverdire la gerarchia. Ma negarla, esattamente come il fingere che un capetto sia un capo, porta al niente nientificante.

Noi Capitan Uncino

Le nostre responsabilità collettive sono tante, e non sarò di certo io, che sono un fustigatore, a minimizzarle. Tuttavia non si può tracciare a ritroso la nostra storia ignorando la continua opera cospirativa e repressiva di tutti coloro che si sono affannati, e si affannano, a trasformarci in ogm senza vertice e privi di testa.

E l’aver dovuto, e in qualche modo saputo, reinventarci costantemente, ripartendo da capo, è un merito che ci va riconosciuto. In effetti siamo naufraghi, lo siamo da quando hanno fucilato tutti i nostri timonieri a Dongo.

Da naufraghi che non han perso il ricordo e la nostalgia per la futuribile “isola che non c’è” ci siamo trasformati in Capitan Uncino (o Uncinato se preferite) in continua battaglia con il vorace coccodrillo del tempo.

E finora sempre capaci di armare la nostra nave e di ripartire da zero, senza invecchiare, noi. E questo traspare nella nostra storia, al di là delle giuste e condivisibili amarezze di Staiti di Cuddia,

Se oggi annaspiamo è perché tutta la società e tutta la politica sono impantanate nel fango e ciononostante qualcosa di vivo e di promettente qua e là ancora (o nuovamente) traspare. Traspare anche nel libro benché la consapevolezza sia da raggiungere da parte del lettore.

Lo squilibrio obbligato

Lo squilibrio obbligato. Questo è un altro problema difficilmente risolvibile da parte degli indagatori storici. Le azioni “criminose” fanno più cassetta di quelle normali, ed è questa la ragione per la quale dei soggetti fondamentali, come l’Orologio o Lotta di Popolo, finiscono con l’apparire meno importanti di altri per il semplice fatto di non aver compiuto abbastanza azioni di cronaca nera.

Purtroppo l’umano sensazionalismo esige queste deformazioni. Inoltre le fonti della cronaca nera sono quasi sempre i pentiti; al di là della correttezza o meno delle loro ricostruzioni, la citazione obbligata di questi quindici o venti narratori finisce con l’indurre a credere che l’area sia stata un coacervo di vigliacchi e traditori pronti a rivoltarsi contro i camerati non appena scattavano le manette; nell’insieme non è affatto vero.

Ma se da una parte ci sono le fonti inquinate e dall’altra un muro di silenzio, l’impressione erronea che ne ricava un profano è quella di un insieme squallido e infame.

Non è, questo, un appunto che si possa rivolgere a Tassinari, tutt’altro. Ma è un problema di fondo per tutte le ricostruzioni storiche

La cosiddetta ambiguità neofascista

Un’altra questione irrisolta, un nodo non sciolto, riguarda la presunta “ambiguità” di un neofascismo costantemente in bilico tra Reazione e Rivoluzione, elitismo e socialità. So che periodicamente si continua a cercare di risolvere il problema senza rendersi conto del fatto che proprio questa “ambivalenza” (e non ambiguità…) è invece la peculiare ricchezza, l’essenza materiale e immateriale del fascismo e che proprio mantenerla, coltivarla, osservarla, eternarla, è il compito di chi non voglia essere disintegrato, uniformato, incasellato e ridotto a gregge. Il quale ultimo, che si muova al suono di campanacci accordati su moralismo codino integralista o su nevrosi iconoclastica altrimenti sovversiva, è sempre destinato al recinto. Forse un appunto che si può muovere all’autore, attentissimo ad annotare ogni singola tendenza, è quello di non aver colto o messo adeguatamente in risalto la centralità di questa ambivalenza.

Viceversa va a merito di Tassinari l’aver colto la formula, pressoché perfetta del Bataille che inquadra l’essenza mistica e religiosa (in sé, e non per sottomissione) del fascismo che difatti è al tempo stesso religione della vita e della milizia ed ha una evidente percezione della dimensione metafisica dell’esistenza e soprattutto una consapevolezza dell’imperativo del Destino da compiere.

Il j’accuse di Lele Macchi

In appendice c’è una dura accusa di Lele Macchi che ritengo davvero opportuna.

Non la condivido al cento per cento perché a mio avviso è troppo sistematica e non tiene quindi conto delle doverose eccezioni di motivazioni e d’impegno: perché ragionevolmente è impossibile che tutti siano censurabili.

Nella felice contrapposizione di Macchi fra chi “fa politica” e chi invece “lotta” manca poi una terza categoria: quella di chi sente l’imperativo di un dovere, di una fede e la necessità di offrirsi, senza nulla avere in cambio, per creare le condizioni della lotta quando essa oggettivamente manchi (un po’ come i contadini d’inverno).

Ciò premesso l’accusa generale di Lele è giustissima e doverosa.

Sia nei confronti di quelli che fanno “outing” atteggiandosi ad eroi o a paladini della rettitudine dopo aver avuto comportamenti giudiziari indecenti e nocivi per altri, sia nei riguardi di quei reduci che hanno accettato il compromesso esistenziale di mettere pateticamente e narcisisticamente in scena se stessi nella piattezza postbellica.

Golpista o insurrezionalista, interventista o antagonista, la destra radicale aveva sempre avuto un senso, oggi oscilla tra lo “struscio” mediatico e la divisione del bottino pubblico (rimborsi, fondi ecc). Offre quindi la peggiore prova di sé in assoluto e in questo quadro dà particolarmente nausea chi, ricco di passato, ha accettato di trasbordare dalla tragedia alla farsa come se nulla fosse ed ha appreso con disinvoltura pratiche quotidiane avvilenti e mortificanti. La denuncia di Lele, proprio in chiusura, non stona affatto e, paradossalmente, è fin troppo garbata.

Così come è da tener presente e da indurci a riflettere il suo intento di tacere sul passato: per amor di dignità.

Da leggere

In conclusione, malgrado le obiezioni che ho posto, Naufraghi è un libro che merita di essere letto, uno dei pochi del genere. Magari ci fossero altri autori come Tassinari!

Come ho spiegato questo libro è probabilmente quello che finora più si avvicina ad una visione d’insieme corretta e onnicomprensiva.

Resta da chiedersi se veramente c’è chi sia in grado di leggerlo e addirittura se sia opportuno che questi libri vengano scritti, visto e considerato che il filone ci ha francamente stufato e che, comunque, la mole di esternazioni, di verbali, di fatti di cronaca nera, finisce sempre con il prevalere sul resto creando squilibrio e deformando l’immagine d’insieme.

Ma questa è un’altra storia.

Gabriele Adinolfi

adinolfi quadro

Fonte: www.noreporter.org

Link: http://www.noreporter.org/dettaglioArticolo.asp?id=9415

 

 

Ugo Maria Tassinari – Naufraghi

Edizioni Immaginapoli – 2007

Pagine 304

Prezzo di copertina: 15.00 Euro

ugo maria tassinari

Lui ha scritto così

Questo lavoro conclude una ventennale ricerca nell’arcipelago nero. che cerca di parlare di una parte significativa della storia recente senza pregiudizi, senza anatemi, senza criminalizzazioni nè mostrificazioni.

Il volume parla della evidente scissione – all’interno della destra radicale – tra le enunciazioni e i miti della purezza rivoluzionaria e dell’estraneità totale a un mondo in rovina e la realtà dominante di un’attività talvolta subalterna, talvolta eterodiretta, ma sempre funzionale agli interessi strategici dell’Alleanza atlantica, ricordando che, prima che le donne della canzone di Castellani, sono i neofascisti a non volersi bene: odi maturati nella milizia politica si trascinanano per decenni, irriducibili a qualsiasi elaborazione.

 

dalla quarta di copertina:
Che cosa ha spinto la stragrande maggioranza degli “orfani del Duce” a intrupparsi nella coalizione che ha espresso il governo più filosionista e subalterno agli Stati Uniti in 60 anni di storia della Repubblica?
La storia si ripete: sin dalla sua nascita la destra radicale, il movimento erede del fascismo, ha vissuto una condizione di evidente scissione, tra le enunciazioni e i miti della purezza rivoluzionaria e dell’estraneità totale a un mondo in rovina e la realtà dominante di un’attività talvolta subalterna, talvolta eterodiretta ma sempre funzionale agli interessi strategici dell’Alleanza atlantica.
Di questa schizofrenia e delle rare eccezioni parla questo volume, che conclude la lunga ricerca di Ugo Maria Tassinari sulla fascisteria italiana.

Scritti ancora da Ugo Maria Tassinari

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I protagonisti, i movimenti e i misteri dell’eversione nera in Italia (1945-2000)

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