Duke, il leader più noto della destra identitaria Usa, si schiera con Trump
L’ex leader del Ku Klux Klan David Duke ha chiesto ai suoi simpatizzanti di votare per Donald Trump durante il suo programma radio settimanale. Duke, come riportano Time e BuzzFeed, ha detto di non condividere tutto quello che ha fatto il candidato alla nomination repubblicana, ma che il magnate rimane la scelta migliore. Votare alle primarie americane per Ted Cruz o Marco Rubio equivarrebbe a “tradire il nostro passato e la nostra identità”. “E’ il momento di agire” ha detto Duke incoraggiando i suoi sostenitori a partecipare alla campagna di Trump.
Così, oggi, Repubblica.it. Arriva immediata la conferma all’allarme lanciato in questi giorni dall’Intelligence Report del SPLC che segnala, al tempo stesso, l’espansione organizzativa della destra più estremista e la sua capacità di dettare l’agenda al ‘candidato repubblicano favorito. Di David Duke mi ero occupato nel mio secondo libro dedicato alla destra radicale “In god we kill” (Jamm, Napoli, 2002), presentandolo come il principale esponente dell’estrema destra politica. Ecco il testo:
Dai ranghi del Klan proviene il più noto leader politico dell’estrema destra suprematista, David Duke. In parallelo col boss dell’ala paramilitare, “Bo” Gritz, è ritornato su posizioni radicali dopo vent’anni spesi a costruirsi una rispettabilità. Proviene dai ranghi della gioventù nazista: per contestare un discorso dell’avvocato (ebreo) dei “Sette di Chicago” (un processo contro leader pacifisti e delle Pantere Nere) picchetta l’aula in camicia bruna. Nei primi anni ’70 fonda all’Università di Louisiana l’Alleanza giovanile bianca (WYA), affiliata al Partito Nazional-Socialista del Popolo Bianco (NSWPP) ma già nel 1974 si mette in proprio. I suoi Cavalieri del Ku Klux Klan (KKKK) si espandono in tutto il Sud, giungendo ad aprire capitoli in Texas, Florida e California. La nuova immagine è una sua intuizione: apre a donne e cattolici e abbandona la tradizionale iconografia. Il razzismo, ripulito del folclore, è rimpannucciato in veste sociologica. Il programma è dinamico: i bersagli diventano l’immigrazione illegale, le azioni affermative, l’invasività del sistema giudiziario che in nome di nuove istanze – ecologia, femminismo, tutela delle minoranze – limita le tradizionali libertà americane. Duke spinge per un cambio di mentalità: “Abbandonare i pascoli per entrare nelle stanze d’albergo” è l’idea forza della sua carriera politica. Professa la non violenza – ma non evita una condanna nel 1979 per aver istigato un riot a New Orleans – e stimola i suoi a impegnarsi sul terreno elettorale. La prima candidatura è un successo relativo: con un terzo dei voti non entra nel Senato statale nel 1975. L’anno dopo promuove il maggior rally dagli anni ’60, con 2700 partecipanti.
La carriera è nel segno della spregiudicatezza (nel 1973 stampa un apocrifo manuale separatista nero per snidare i nazionalisti radicali), della costante attenzione ai media, di una duttilità tattica (mette in soffitta senza rimpianti i rituali) che non sconfina nell’abbandono dei principi. Nel 1980 marca la prima discontinuità: dà vita a un’organizzazione per i diritti civili dei bianchi che beffardamente chiama NAAWP (Associazione nazionale per l’avanzamento del popolo bianco), parafrasando la NAACP, dove C significa coloured. Un paradosso anticipatore: i bianchi poveri finiranno col percepirsi come minoranza oppressa. Si tratta di un Klan senza toghei che diffonde un razzismo più subdolo: basta giudizi di valore, si parla di differenze; mascherando l’odio dietro un atteggiamento da Cristiani compassionevoli preoccupati del benessere dei Neriii. Per finanziare la struttura, Duke tenta di vendere la lista degli iscritti, che considera patrimonio personale. E’ smascherato dal presunto acquirente, Bill Wilkinson, il transfuga che fonda i Cavalieri dell’Impero Invisibile.
Quando il successore, Don Black finisce in galera per un progetto di golpe a san Domingo, il giornale sarà prodotto nel suo ufficio. A garantire continuità ai Cavalieri ci pensa Tom Robb. Mantenere buoni rapporti con gli ex è una caratteristica di Duke. Quando si dimetterà da ogni carica nel NAAWP per l’elezione alla Camera della Louisiana, continuerà a dargli ospitalità. Il suo successo nel 1989 è clamoroso: essendo stato candidato alla Casa Bianca nel minuscolo Partito Populista il presidente Bush sr. si oppone alla partecipazione alle primarie repubblicane. Vince contro l’establishment di partito grazie al massiccio voto bianco. Comincia anni di campagna elettorale permanente. Nel 1990 è sconfitto (54 a 43.5%) per il Senato nazionale. In uno Stato messo in ginocchio dalla depressione dell’industria petrolifera, il cavallo di battaglia sono le ingiustizie del welfare. Gli impediscono di vincere gli otto senatori repubblicani che sostengono apertamente il rivale democratico. L’impresentabilità di Duke per una destra perbene – nel suo ufficio parlamentare si vendono libri come Mein Kamp e i Diari di Turner – prevale sulla logica di schieramento. Comunque sei bianchi su dieci lo votano. Nel 1991 ci prova come governatore: sull’onda dei trionfi dei protetti della Coalizione Cristiana si dichiara “Cristiano rinato” ma gli elettori non credono alla sua folgorante conversione. A urne chiuse il coordinatore della campagna elettorale lo sconfessa: è il razzista di sempre. Nel 1992 si ripresenta per la Casa Bianca, senza doppiopetto. Nel lanciare la candidatura ammette: sulle questioni di fondo la penso come ai tempi del Klan.
Dopo la sbornia elettorale prova a darsi agli affari, tra pub irlandesi e agenzie di assicurazioni. Per risollevare le precarie sorti finanziarie – gli mancano persino 7mila dollari per mantenere in vita il talk show alla radio: ma presto lo rilancerà in Internet – si rivende l’indirizzario. Al candidato governatore Foster, un multimilionario che paga 103mila dollari nel 1995 e altri 52mila nel 1997 per riutilizzarlo, ma le norme di condotta dei candidati sono rigorose. L’acquirente doveva rendere pubblica la transazione. L’importo spropositato (dieci volte il prezzo di mercato) autorizza il sospetto che Duke abbia venduto la mancata candidatura. L’imputato si difende: erano soldi miei e non avevo intenzioni illegali ma è condannato. Duke è sempre nella tempesta ma non demorde. Anzi, nel 1998 chiude con il moderatismo e presenta la monumentale autobiografia in numerose meeting dell’ultradestra. Il rifondatore del Klan scende giù duro: Ebrei e Gentili sono due genotipi differenti. L’ennesima candidatura al Congresso la lancia a un rally di Alleanza Nazionale (NA), a fine 1998. Nel sito web appena ristrutturato sottolinea che è un pubblico ufficiale repubblicano, presidente del comitato esecutivo del municipio di St. Tammany. Il serbatoio elettorale è il solito: i bianchi poveri frustrati, una minoranza anche nel profondo Sud. Così si classifica terzo, pur vincendo in molti centri rurali. Con la penultima piroetta ripudia l’agone elettorale e fonda l’Organizzazione Nazionale per i Diritti degli Europei Americani. L’acrostico NOFEAR significa “Niente Paura”. Stavolta i temi portanti sono la criminalità delle minoranze, l’eredità confederata stuprata dal genocidio culturale dei media e la violazione dei diritti dei bianchi da parte delle azioni affermative. Quando Siler City, in Nord Carolina, si mobilita contro l’invasione chicana – c’è qualche nero nelle infuocate assemblee – Duke si precipita sul posto. Tra una marcia, un comizio e un attacco al Servizio Immigrazione qualcuno devasta la Chiesa ispanica. L’ultima passione è la riscoperta della Grande Madre Russia: vi trascorre tre mesi nell’autunno 2000, tra comizi suprematisti, discorsi in rispettabili istituzioni culturali, incontri all’ultranazionalista Unione degli Scrittori Russi e scambio di vedute con parlamentari, tra cui il patriota Albert Makashov, ex generale sovietico ossessionato dal complotto sionista. Il viaggio all’estero non distoglie l’attenzione dei federali, che lo investigano per riciclaggio, frode ed evasione fiscale.
i Quando nel 1998 il leader Paul Allen, spaventato dalle polemiche sugli intrecci tra NAAWP e i Klan in Florida, condanna il razzismo, una rovinosa scissione fa precipitare i capitoli da 79 a 13. La contiguità è confermata dal fatto che nello stesso anno le strutture locali del KKK passano, in controtendenza, da 127 a 163.
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