19 aprile 1980: l’avvocato Edoardo Arnaldi si sottrae al carcere togliendosi la vita

edoardo arnaldi

Su mandato di cattura emesso dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Torino per “partecipazione a banda armata”, i carabinieri si recano in via Palestro 12, a casa dell’avvocato Edoardo Arnaldi, difensore di fiducia di diversi militanti delle Brigate Rosse e aderente al “Soccorso Rosso”, per eseguirne l’arresto.
Ad accusarlo è Patrizio Peci, il leader della colonna torinese delle Brigate rosse che si è appena pentito. Durante la perquisizione, Edoardo Arnaldi si uccide con un ‘colpo di pistola.

Ex partigiano, accorsato avvocato civilista, nel 1969 comincia a esercitare nel ramo penale per difendere i tanti compagni arrestati per episodi di lotta sociale e politica.

E’ tra i più impegnati in Soccorso rosso. Finanzia la sua attività liquidando beni personali, come racconta nella sua appassionata testimonianza il brigatista Vincenzo Guagliardo. 

La testimonianza della vedova

Sua moglie, nel giugno del 1980, rende la seguente testimonianza:
«Intanto voglio sapere perché non gli è stato impedito di suicidarsi. Io so soltanto che Edoardo, in quanto arrestato, era affidato alla loro custodia, alla custodia dei carabinieri appunto. Loro erano garanti della sua incolumità e sono stati proprio loro a non garantirgliela, la sua incolumità, E le spiego come. (…) Mentre era ancora in corso la perquisizione, i carabinieri spostano le pistole (che noi avevamo subito dichiarato di avere in casa) dal comò al tavolo della sala da pranzo e ci mettono uno di loro a fare la guardia. (…) Si figuri che un carabiniere prese in mano una pistola, quella con cui Edoardo si sarebbe sparato, e spostò il carrello, ma senza far cadere il proiettile. E così la pistola rimase col suo proiettile in canna. Poi non so cosa successe. So che ad un certo punto sentii il carabiniere rimasto di guardia alle armi dire: oh, qui manca una pistola. Proprio così: oh, qui manca una pistola… Dopo un attimo sento che dice: dov’è l’avvocato? E sento che corre verso il bagno, é un rumore come se qualcuno desse un calcio contro la porta. Poi il colpo… Dopo, solo dopo ho capito che era un colpo di pistola e che Edoardo si era ammazzato. Tutti l’avevano capito, io no: forse… non volevo capire. (…)

“Edoardo ha voluto cadere in piedi”

Edoardo sapeva che un uomo malato come lui era, in carcere sarebbe stato annientato… si sarebbe dovuto umiliare e mortificare… E questo, lui non lo poteva accettare. È stato coerente. Ha voluto cadere in piedi. Certo io avrei preferito che lui morisse nel suo letto ma rispetto la sua scelta, e l’ammiro. E credo che non ci sia contraddizione tra quanto ho appena detto e la responsabilità che attribuisco ai carabinieri in relazione alla sua morte. Mi spiego: un conto sono le sue scelte e un conto sono le interferenze del potere nella sua vita e nelle sue scelte. Lui ammazzandosi si è negato alla loro barbarie, alla barbarie del potere; loro, non impedendone la morte, si sono sbarazzati di una persona scomoda. Ecco, questi sono due punti di vista molto diversi e inconciliabili per guardare alla sua morte, e io voglio che inconciliabili rimangano».

Paolo Finzi sulla rivista A

Del suo generoso impegno parla in un articolo di A rivista anarchica  Paolo Finzi:
“…Arnaldi, Fuga, Spazzali e pochissimi altri non si sono limitati a curare con il massimo impegno possibile le strategie della difesa legale dei loro assistiti in vista e durante il processo, fino alla sentenza definitiva. Oltre che difensori degli imputati, essi sono stati difensori dei carcerati: ciò significa che non hanno abbandonato i loro difesi una volta terminato il processo, ma hanno continuato a fare la spola tra le carceri e le supercarceri d’Italia per raccogliere informazioni e denunce sulla brutale repressione di cui i “definitivi” soprattutto sono spesso oggetto. A costo di grandi sacrifici personali, hanno svolto questo lavoro di immenso valore umano e politico perché spinti dalla volontà di contrastare il disegno di annientamento del potere contro i suoi antagonisti, facendo sì che i pestaggi, trasferimenti in isolamento, ricatti e violenze di ogni tipo non restassero relegata tra le putride mura delle carceri, ma uscissero fuori a conoscenza dell’opinione pubblica.

Lunghi viaggi in treno o in auto, snervanti attese per i traghetti per Pianosa, l’Asinara o la Favignana, tanti viaggi inutili perché nel frattempo il detenuto era stato trasferito, un continuo lavoro per far sì che il sistema carcerario non possa inghiottire nel nulla i detenuti scomodi: questo lavoro dei pochi difensori dei carcerati non poteva non disturbare profondamente i piani di normalizzazione del generalissimo. Sono bastati pochi arresti per quasi azzerare anni e anni di lavoro. Ed ora sono già qualche centinaio i detenuti rimasti senza difensore, senza nessuno a cui potersi rivolgere, perlopiù senza soldi, senza appoggi, spesso senza colpa alcuna. Ora che i loro difensori sono reclusi come loro, il potere sa di di poter giocare pesante senza dover temere fastidiosi ficcanaso e implacabili avversari…”.

La testimonianza di Guagliardo

Il blog di Valentina “Baruda” Pernaciaro, in ricordo dell’avvocato riporta la commossa testimonianza di Vincenzo Guagliardo:

pugnochiuso

Subito dopo l’esecuzione di via Fracchia, le forze dell’ordine andarono ad arrestare l’avvocato Edoardo Arnaldi poichè Sulla base delle indicazioni di Patrizio Peci, egli ormai non poteva che essere un brigatista.
La nascita del « pentito » moderno fonda improvvisamente una nuova etica : la comunità non è piu’ orgogliosa, (per se stessa) di avere piccole « zone franche » dove il medico, o l’avvocato devono restare impuniti e devono incontrare il fuorilegge in pericolo per la propria vita o libertà. I delicati contrappesi di una cultura costruitasi in secoli spariscano in un baleno.

Le definizioni usuali che ne conseguivano per l’identità e la coscienza del singolo sbiadiscono, le parole dello storico o del filosofo vengono sostituite da quelle del giudice e del poliziotto, le quali stritolano, riducono, annullano ogni differenza nella semplice e immensa visione del complotto. Devo qui confessare che Edoardo accettò, per esempio, di incontrarsi con me, mentre ero brigatista e latitante, perchè considerava ciò un suo dovere nella sua … antiquata morale. I suoi modi, la sua voce, i suoi ragionamenti avevano una gentilezza d’altri tempi. Neppure io, all’epoca, ero cosciente dei cambiamenti avvenuti. Mi era parso dunque giusto incontrare quest’uomo onde dargli un aiuto économico per sostenere i suoi viaggi appresso ai compagni in carcere e ai loro casi. Non vedevo grandi rischi per lui. LEGGI TUTTO (caldamente consigliato)

Diecimila compagni ai funerali

Il 20 aprile, il funerale di Edoardo Arnaldi diventa occasione per una grande manifestazione non autorizzata, cui partecipano più di diecimila persone, che seguono il feretro lungo le vie di Genova per sei chilometri, fino al cimitero di Staglieno, che viene tenuto aperto oltre l’orario di chiusura per accogliere Edoardo Arnaldi.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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