Così Prima Linea uccise Emilio Alessandrini
È una mattina gelida e grigia, il tipico gennaio milanese, ma per fortuna non piove. Nella casa in via dei Cinquecento alle 7 di quel 29 gennaio 1979 c’è movimento. È probabile che vada davvero in porto l’operazione Alex, pronta ormai da tempo e saltata pochi giorni prima per un imprevisto. Ma non c’è niente di sicuro. Le lunghe ricognizioni hanno indotto a privilegiare Emilio Alessandrini rispetto ad altri magistrati.
I punti aperti
Sono molti i punti deboli dei suoi movimenti. Non si può però prevedere tutto al millimetro, non si sa quale macchina usa, se la sua o quella della moglie, se accompagna il figlio a scuola, compiendo il tragitto dove è possibile agire, o va direttamente in tribunale. Sembra non abbia la scorta, ma chissà se è vero. L’incertezza è una brutta bestia, attiva l’adrenalina, non la placa, e a ondate lo stomaco e il cervello paiono svuotarsi, spazzando via tutto il resto, i rumori, gli odori, gli altri.
La determinazione di Marco
Nei giorni precedenti Marco Donat Cattin è stato malato, si è beccato l’influenza, solo oggi si è svegliato senza febbre. Non c’era neanche alla riunione della sera prima, quando si è fatto il punto e si sono distribuite le armi. In ogni caso, è stato deciso che la cosa si farà anche se manca qualcuno. La cosa va fatta. È da molto tempo che a Milano non si batte un colpo, e dopo Moro tutto è precipitato, non si può rimandare oltre. L’omicidio politico è ormai una strada obbligata anche per Prima linea, che pure continua a insistere sulla sua diversità dalle Brigate rosse.
Marco deve e vuole partecipare. Fino ad allora le armi le ha maneggiate, non è certo stato a guardare, ma sparare a freddo contro qualcuno è un’altra cosa e sa che quel nodo prima o poi va affrontato, all’interno dell’organizzazione chi ha responsabilità politiche si deve assumere anche quel tipo di responsabilità militare. Si rischia una spaccatura tra chi spinge per una struttura più rigida ed è disposto a gestire l’azione in autonomia, e chi, come lui, vorrebbe mantenere il modello delle origini, legato strettamente al movimento. Esserci significa non lasciare la parola ai falchi.
La preparazione
Quella mattina, in via dei Cinquecento, Marco si prepara per l’azione insieme a Michele Viscardi, che la sera prima ha dormito lí. L’obbligo è di usare il giubbotto antiproiettile, nonostante lui lo detesti con tutte le sue forze. Ciascuno porta addosso la sua dotazione di armi, sono tutti belli imbottiti. Viscardi ha un Mab con la canna in parte tagliata, che sbuca appena dall’impermeabile, una bomba a mano tipo ananas, un fumogeno e una pistola Beretta M 51 calibro 9 con parecchi caricatori di riserva.
Marco ha una 357 Magnum Ruger 4 pollici, una Colt Government, una bomba a mano tipo SRCM. La vestizione non è uno scherzo e Maria Cristina, che si sta preparando per andare a lavorare, sicuramente capisce che è in ballo qualcosa di grosso, ma non sa di preciso cosa e non fa domande. Il suo rapporto con Marco è molto chiaro, lei non deve chiedere, neanche quando sono soli, lui non se la sente di parlare di certe cose e non vuole coinvolgerla direttamente.
Viscardi e Donat-Cattin arrivano in pullman in piazzale Cuoco alle 821, dove hanno appuntamento con gli altri, Sergio Segio, Umberto Mazzola e Bruno Russo Palombi, che è alla guida di una Fiat 128 rubata pochi giorni prima, una macchina ideale per il defilamento perché ha quattro portiere. Nessuno si è camuffato, solo Segio si è scurito i baffi biondi con un tappo bruciato; tanto che poi gli identikit, che in genere destano poche preoccupazioni, in quel caso sono riconoscibili.
L’agguato
Donat-Cattin e Segio si appoggiano con la schiena a un’auto vicino a una edicola chiusa di viale Umbria, in prossimità dell’incrocio dove le automobili in svolta rimangono inevitabilmente bloccate tra due semafori, e aspettano che passi la macchina di Alessandrini. Viscardi e Mazzola, anche lui equipaggiato con armi, bomba a mano e fumogeno, sono sul marciapiedi, Russo Palombi nella 128 con il motore acceso. Hanno scartato altre ipotesi tutte ugualmente impraticabili: sotto casa Alessandrini è quasi sempre con il figlio e spesso c’è qualcuno affacciato alle finestre; di fronte a scuola è una follia, oltretutto ci sono sempre dei vigili armati, e Marco ha insistito per lasciar perdere.
I minuti sembrano eterni. Quando arriva la R5 di Alessandrini e passa il primo semaforo fermandosi al secondo, Segio dà ai compagni il segnale convenuto – si tocca il berretto – e rapidamente si avvicina alla portiera sinistra insieme a Marco. Prima linea preferisce dividere le responsabilità stabilendo che si sia sempre in due a colpire, e il comandante Alberto ha chiesto di non essere il primo, non se la sente. Segio spara tre colpi con la 38 special. Poi lui altri tre con la 357 Ruger, o almeno così gli pare, la testa ronza, in bocca c’è sapore di metallo, difficile ricordare con esattezza.
Le pistole sono caricate in modo da ottenere il massimo risultato, secondo le indicazioni di Segio, non certo di Donat-Cattin, che di balistica sa poco o niente. Prima le pallottole perforanti, necessarie quando c’è un’auto di mezzo, che rischiano però di attraversare l’obiettivo e di colpire i passanti; poi i proiettili con la testa piú morbida.
La fuga
Nel frattempo Viscardi si porta al centro della strada e blocca il traffico, consentendo agli altri di raggiungere la 128; e prima di salirvi lancia il fumogeno acquistato in un negozio di nautica da Marco, mentre Mazzola non riesce a togliere la linguetta al suo. Nell’atmosfera ovattata e irreale creata dal fumo – che gli spettatori casuali credono sia di una bomba – l’automobile si defila senza intoppi e dopo poche centinaia di metri raggiunge uno spiazzo nei pressi di un distributore di benzina in via Tertulliano. In una via laterale sono state lasciate delle biciclette tipo graziella per la fuga, ma sullo stradone di viale Puglia passa subito l’autobus e tutti lo prendono al volo, eccetto Mazzola, che se ne va a piedi; meno male perché le biciclette sono sparite, ironia della sorte qualcuno deve averle rubate.
Mazzola tenta di entrare al lavoro, ma ormai è tardi, e alle 8.50 fa la prima rivendicazione con una telefonata a «Repubblica». «Pronto pronto – qui Prima Linea – abbiamo giustiziato noi Alessandrini». Segio sparisce non si sa dove a preparare il volantino di rivendicazione, di cui già esisteva una bozza stesa probabilmente a piú mani. Donat-Cattin, Viscardi e Russo Palombi tornano in via dei Cinquecento, dove non c’è nessuno, e accendono subito la radio. Non è passato neanche un quarto d’ora dall’omicidio. Marco controlla il tamburo della pistola: ci sono ancora 3 colpi.
La rivendicazione
Viscardi lascia via dei Cinquecento poco dopo, butta i bossoli in un cestino lí vicino e rientra a Bergamo. Nel tardo pomeriggio, se pur in ritardo, il volantino è pronto. Un guasto nella macchina per scrivere di Segio obbliga Marco a occuparsene con l’aiuto di altri due compagni, e di suo vi aggiunge una frase in cui si diffidano i mass media dal divulgare notizie false nel caso di azioni non rivendicate. Ma le copie sono rinvenute in due cabine telefoniche solo in seguito a una telefonata alla «Repubblica» e all’Ansa (un altro volantino più lungo e dettagliato sarà trovato a Firenze in febbraio, dopo una discussione all’interno dell’organizzazione). L’Operazione Alex è stata portata a termine.
Già alle 8.25 di quella mattina interviene sul posto la volante Romana, alla quale è appena stata segnalata una sparatoria. All’angolo tra viale Umbria e via Tertulliano c’è una R5 arancione un po’ di traverso in mezzo alla carreggiata, il motore ancora acceso, il finestrino rotto, i cristalli disseminati ovunque. In mezzo a un fumo denso e rossastro, si scorge un corpo riverso, inerte. Una immobilità irreale, già di un altro mondo, e tuttavia destinata a rimanere lì per sempre.
FONTE: Monica Galfrè, Il figlio terrorista [un’autobiografia di pregio, ndb]
Alessandrini e l’intelligence del Pci
I magistrati uccisi
- 08.06.1976: Francesco Coco – Genova – Brigate rosse
- 10.07.1976 Vittorio Occorsio – Roma – Gruppi azione ordinovista
- 10.10.1978: Girolamo Tartaglione – Roma – Brigate rosse
- 08.11.1978: Fedele Calvosa – Patrica – Formazioni comuniste combattenti
- 16-19.03.1980: Giacumbi – Salerno – Colonna Pelli; Minervini – Roma – Br; Galli – Milano – PL
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