30 aprile 1980: il blitz contro Azione rivoluzionaria e il provocatore Enrico Paghera

Asserragliati nel quartier generale dell’Arma dei carabinieri a Roma, due sostituti procuratori fiorentini. Vigna e Chelazzi, hanno coordinato un’operazione contro presunti terroristi di Azione Rivoluzionaria in molte città italiane. I primi risultati di questa indagine molto ampia e ancora in corso hanno portato ad individuare nel gruppo un tempo guidato dal professor Giancarlo Faina di Genova [in realtà Gianfranco, ndb] un «nucleo di raccordo tra Prima linea e le Brigate rosse». E’ una scoperta importante, destinata forse a chiarire alcuni aspetti dell’area cosi vasta, articolata e in buona parte ancora sconosciuta, del terrorismo italiano. Tra Roma. Torino, Pistoia. Livorno e L’Aquila ci sono stati quattordici arresti. Ma le perquisizioni sono state quasi un migliaio. Le notizie del ritrovamento di covi con armi e documenti non hanno trovato nessuna conferma. Si sa invece che gli inquirenti attribuiscono molta importanza alla personalità degli arrestati (accusati di associazione sovversiva e banda armata), molti dei quali facevano parte dell’area dell’Autonomia romana.

Gli arrestati

Ma sono finiti in carcere, tra gli altri, anche un impiegato della Fiat, il geometra Giuseppe De Biase di 30 anni, attivo nel sindacato Autonomo della filiale di Roma; e un ex operaio Fiat, Salvatore Cirincione. licenziato il 2 marzo di quest’anno per assenteismo. A Livorno grande sorpresa per l’arresto di Monica Giorgi, 34 anni, ex nazionale di tennis ed attualmente campionessa italiana a squadre. A Milano inoltre è stato perquisito lo studio dell’avvocato Gabriele Fuga, difensore di molti terroristi e, da pochi giorni, anche dell’avvocato Sergio Spazzali, arrestato dopo le «confessioni» di Peci. Tutta l’operazione della procura di Firenze che ha interessato anche Parma. Genova e Bologna, avrebbe preso l’avvio un mese fa quando nelle campagne vicino a Pisa fu arrestato Davide Fastelli, ricercato da più di due anni come appartenente a Azione Rivoluzionaria. In cattive condizioni di salute e molto provato da una latitanza vissuta in gran parte all’estero, Fastelli si sarebbe messo a «parlare» appena entrato in carcere.

Non era un personaggio secondario dell’organizzazione, anche perché sembra fosse strettamente legato a un gruppo di stranieri tedeschi e cileni, militanti anche loro in A.r. L’operazione dei carabinieri è cominciata all’alba. A Roma sono stati arrestati Angela Pallone, di 29 anni, di Buenos Aires: Ivana Paonessa di 32. di Napoli; Enrico Ranieri di 24, di Roma; Pasquale Vocaturo di 27, di Nocera Tirinese; Giuseppe Di Biase, di 30 di Campobasso; Piero Di Matteo, di 28, di Roma; Alessandra Di Pace, di 21. di Crotone; Maria Luisa Felici, di 30, di Roma; Maurizio Jacono di 30 (medico) di Roma; Michele Molinari di Tricarico (Matera). A Torino è stato arrestato Salvatore Cirincione, 25 anni, di Marsala. Come si è detto a Livorno, Monica Giorgi di 34. A Pistoia Roberto Marchiare di 32 anni. E all’Aquila, l’architetto Giorgio Signori, di 27 anni.

Vocaturo e gli autonomi romani

Soltanto alcuni degli arrestati di ieri erano già noti agli inquirenti. Cosi, ad esempio. Pasquale Vocaturo. che il 17 marzo scorso era stato mandato, in soggiorno obbligato, a Fiumefreddo in provincia di Cosenza. Era stato già arrestato a Lucca quando, durante il sequestro Moro, era stato sorpreso in una pizzeria con armi e accusato di appartenere ad Azione Rivoluzionaria. Nella pizzeria infatti erano stati trovati documenti e una piantina del percorso per arrivare a un campo di addestramento nel Libano. Un giovane, poi giudicato insieme a Vocaturo, sostenne che la cartina gli era stata data, nel carcere di Bologna, dal cittadino americano Ronald Stark, un oscuro personaggio Alessandra Di Pace invece, nota negli ambienti dell’Autonomia romana, era stata denunciata nel maggio dell’anno scorso per partecipazione a banda armata e concorso in detenzione di armi.

Legati all’Autonomia anche il medico Jacono (con qualche precedente per fatti legati a disordini) e Michele Molinari, che aveva partecipato, nel ’78. all’occupazione della casa di Cinecittà compiuta da un collettivo autonomo: e lo studente Enrico Ranieri che frequentava il secondo anno di geologia. Quanto all’impiegato della filiale Fiat di Roma. Giuseppe Di Biase, era stato fermato nel novembre del ’79 durante una manifestazione. Era considerato invalido civile per un grave difetto ad un occhio.

La storia di Azione rivoluzionaria

La storia di «Azione Rivoluzionaria, comincia ufficialmente nel maggio del ’77. quando a Pisa fu ferito Alberto Mammoli, medico del carcere don Bosco. Nell’ottobre dello stesso anno un gruppo di terroristi di «Azione rivoluzionaria» tentò di sequestrare Tito Neri, figlio dell’armatore: sembra che Monica Giorgi fosse sospettata già allora di avere a che fare coi “sequestratori”. Il 9 dicembre del ’78 i carabinieri di Pisa scoprivano un enorme deposito di armi ed esplosivo appartenente ad Azione rivoluzionaria. La svolta decisiva per questa indagine sul gruppo avviene il 24 febbraio del ’79 quando a Parma è bloccata un’auto con due italiani e due tedeschi. E’ piena di armi. Sono arrestati Rocco Martino, Carmela Pane, William Piroch e Joanna Hartwig. Sfuggono alla cattura Davide Fastelli e il cileno Soto Paillacar. Il cileno sarà arrestato poi a Roma, in piazza Navona. Fastelli invece, come si è detto, nelle campagne di San Giuliano Terme.

Fin qui la cronaca della Stampa, il 1° maggio 1980. Al personaggio chiave su cui è costruita l’inchiesta si fa un fugace e vago accenno nel testo. Il “giovane della pizzeria” è infatti Enrico Paghera, un provocatore che ha fato molti danni dentro e fuori il carcere. Ecco le testimonianze di alcune sue vittime:

Monica Giorgi

 Paghera, “il teste-chiave” di tutta l’operazione 30 Aprile è senz’altro lo scagnozzo di agenti segreti e con le sue farneticanti dichiarazioni ha aperto una succursale in proprio. Come lo stesso giudice istruttore Corrieri notifica, nei miei confronti “le dichiarazioni del Paghera riguardano fatti da lui conosciuti non direttamente; ma appresi da terzi (Cinieri-Monaco-Messana)…. Sul conto di Paghera, quale figura giuridica a cui sono riservate attendibilità e credibilità c’è da annotare:

  • Ottenimento di un permesso dal carcere di Bologna dietro pagamento di 5 o 10 milioni versati dal CIA Roland Stark. Nemmeno a dirlo: mancato successivo rientro alla scadenza.
  • Arresto in una pizzeria di Lucca con ritrovamento di armi.
  • Autoproclamazione pubblica di appartenenza ad Azione Rivoluzionaria.
  • Assoluzione in tribunale dall’accusa di banda armata nel Novembre ’79.
  • Troppo loscamente noto il personaggio Stark – agente tutto-fare fra servizi segreti americani, italiani e libici – per soffermarcisi ancora una volta.

Un coimputato di Monica

La necessità di dovermi difendere, di dover denunciare tutta questa sporca storia che mi si è voluta far indossare, mi porta, ancora una volta, a parlarvi, informarvi di Paghera, il mio “accusatore”. È sulla base di questo attendibile (sic!) accusatore che il Giudice Istruttore di Livorno mi notifica un mandato di cattura in data 22.8.80 per tentato sequestro, detenzione di esplosivi e armi varie, ferimento del medico del carcere di Pisa Mammoli, e rapina d’auto a Massa.

Un po’ di codice rovesciato su di me per avvalorare il reato associativo della banda armata e la banda armata per suffragarne i delitti specifici. All’una e agli altri sono estranea, estraneità che spero di poter dimostrare con prove oggettive, occorre del tempo perché i reati contestatimi risalgono tutti all’anno 1977 e nella mia testa non posso certo aver fissato eventi consueti, quotidiani e quindi insignificanti di tre anni fa. È certo che nel ’77 insegnavo storia e filosofia al Liceo classico e scientifico di Livorno. Nel frattempo sei (e chissà quanti altri) mesi di carcere preventivo sono trascorsi.

Il personaggio Paghera l’ho ricostruito attraverso le notizie giornalistiche, ricavate con certosina attenzione; attraverso le vicende pubbliche di questo personaggio che io non ho mai conosciuto, a cui io non ho fatto né male né bene (è più probabile bene, che male). Siano i compagni, le compagne, le persone che se la sentono di seguire questa storia a rendersi conto, a esprimere un giudizio, a valutare la qualità di un’inchiesta giudiziaria partita e condotta dalle sue “rivelazioni”.

L’ambiguità di Enrico Paghera

Paghera non ha nemmeno il discutibile, comprensibile, fievole spessore morale di un terrorista pentito. La sua storia è tutta protesa a farsi definire terrorista per potersi così pentire, quando sarà il momento opportuno. Ma il raziocinio sui fatti concreti che “costellano” la sua figura ha più valore delle etichette ostentate per confondere e macerare i cervelli. La costante che distingue Paghera è la contraddittorietà, l’ambiguità. È in permesso straordinario dal carcere di Bologna.

Glielo ha pagato un agente della CIA , Ronald Stark. Con lui divideva la cella e da lui apprendeva tecniche e inghippi da mestatore. Non rientra alla scadenza del permesso. Da latitante, così, lo arrestano in maniera alquanto sospetta in una pizzeria di Lucca nell’aprile del ’78. Insieme ad altri quattro, Luis Cuello, Ernesto Castro, Pasquale Vocaturo e Renata Bruschi. La polizia arriva improvvisamente come se fosse avvertita da qualcuno. Probabilmente dallo stesso qualcuno che butta lì, nel locale, armi e munizioni. Né troppo in evidenza, né troppo nascoste da non essere viste: insomma ambiguamente.

I favori assicurati a Enrico Paghera

Paghera è come la grandine. Cerca sempre di incastrare qualcuno, di inguaiare a tutti i costi. Di fatto l’elemento cardine su cui si è basata l’accusa nel processo di Lucca nel novembre ’79 al gruppo della pizzeria è il documento redatto in carcere – ma guarda caso – dal Paghera. In questo documento si rivendica l’appartenenza ad Azione Rivoluzionaria. Lo ha predisposto per la firma degli altri quattro, che non firmano. Paghera fece circolare questo documento tra graduati e guardie carcerarie.

Al processo sono tutti assolti dall’accusa di partecipazione a banda armata. Va bene per gli altri, ma per Paghera è perlomeno strano. Dal momento che in altri casi basta una rivendicazione di appartenenza a organizzazioni di lotta armata per avere una condanna certa. A Paghera evidentemente si usano cortesie. Meno “cortesi” sono le attenzioni verso un funzionario di polizia giudiziaria che subisce uno sconcertante, mortale incidente automobilistico quando avrebbe dovuto consegnare da parte della magistratura bolognese a quella di Lucca un fascicolo dossier riguardante il Ronald Stark.

L’avvocato Zezza

Contro Gabriele ci sono solo le affermazioni di un suo ex-cliente, Enrico Paghera, il quale ha detto che Fuga non si sarebbe limitato ai suoi compiti di difensore, ma sarebbe andato ben oltre, adoperandosi in progetti d’evasione, cercando di far entrare esplosivo nelle carceri, ecc.. Si tratta di un’accusa senza specificità, dal momento che Paghera non ha mai chiarito né il come, né il dove, né il quando ciò sarebbe avvenuto.

Ma chi è Paghera? Certamente una figura sporca: lo arrestano e gli trovano in tasca delle piantine che lui stesso dichiara di aver ricevuto da Ronald Stark, soprannominato “l’amerikano” perché sospettato di essere un agente della C.I.A.; subisce poi un processo nel quale si dichiara militante di Azione Rivoluzionaria, eppure viene assolto – il che è perlomeno strano, commenta Zezza, dal momento che negli altri casi basta una rivendicazione di appartenenza ad organizzazioni di lotta armata per avere una condanna certa.

In quel caso invece tutti gli imputati vennero assolti, e due addirittura espulsi frettolosamente dall’Italia senza che nemmeno la Corte d’Assise ne sapesse niente. Successivamente il Paghera passa per varie carceri (Pianosa, Porto Azzurro, ecc.) e guarda caso in ogni carcere per cui lui passa gli si trovano (nella sua cella o nelle vicinanze) dosi d’esplosivo. Risulta anche agli atti che già mesi fa lui aveva chiesto un colloquio con il pubblico ministero fiorentino Vigna, colloquio del quale s’è perduta ogni traccia. E Vigna è proprio quello che più tardi firma il mandato di cattura contro Gabriele, il quale nel frattempo, proprio per questioni di scarsa chiarezza, aveva declinato il mandato di difensore di Paghera.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “30 aprile 1980: il blitz contro Azione rivoluzionaria e il provocatore Enrico Paghera

  1. Enrico Paghera era genovese ed era stato arrestato per rapina nel dicembre 1968 insieme ad Everardo Levrero, neonazista anch’esso genovese, banda costituita dopo la comune reclusione dei due e di alcuni complici a Bosco Marengo.
    La condanna in giudicato e’ di circa dieci anni, ma quando per Paghera essa sta per concludersi, l’uomo asseritamente convertitosi all’anarchismo non rientra da una licenza e si fa arrestare come militante ar. Il Levrero è ancora a meta’ della pena ed organizza con altri due detenuti da lui convertiti alla destra e che portano baschi neri il sequestro di educatori ed infermieri del carcere di Alessandria facendo richieste impraticabili di fuga e subendo la furia del Procuratore e del gen.Dallachiesa che attaccano scriteriatamente col risultato della morte degli ostaggi e di due dei sequestratori ribelli. L’unico a salvarsi in tanta carneficina e’ il Levrero, ferito di striscio e con buona probabilita’ nascostosi a terra e arresosi. Nel 1968 catturato dai Carabinieri per la rapina di via Paleocapa a Genova, aveva tentato di ingerire un veleno che i militi gli avevano fatto vomitare fuori colpendolo alla stomaco e portandolo d’urgenza al PS per una lavanda gastrica. Di famiglia socialista aveva militato qualche tempo nella FGCI passando poi ai Volontari Nazionali che soddisfacevano meglio al suo protagonisno e atteggiamenti da capo.Paghera era di modi distinti e alla vigilia del processo d’appello vagheggiava, nel caso di una assoluzione che pur sapeva impossibile, una notte alla marsigliese con le piu’ belle ragazze escort di via Gramsci. Secondo i compagni di Roma la sua conversione all’anarchisno era sincera ma Faina aveva chiesto di lui domandandosi pensoso “stiamo attenti a chi ci portiamo dentro”. Dopo le minacce per un millantato credito di evasione, comincio’ a collaborare mentre Cinieri che vero anarchico portatore dei diritti compreso la presunzione di innocenza pagava con la vita ucciso dal killer Farre Figueras, gia’ killer di due carabinieri vicino a Torino, poi tentato omicida di Fenzi e Moretti. Accuso’ tutto e tutti Paghera affermando poi di aver rifiutato solo di addossare ad Ar, cosi’ richiesto dai Carabinieri, l’omicidio di Pecorelli . Addosso’ invece ad ar o disse di ritenerlo probabile, quando gia’ il responsabile era stato identificato, il falso comunicato della Duchessa, che comunque solo investigatori ottusi o in malafede potevano ritenere autentico e che si mascherava in senso autoironico e criptoanarchico col riferimento alla morte di Moro “mediante suicidio”. Paghera fu utilizzato fino al Processo di Perugia , mentre non si parlo’ piu’ di Levrero, entrambi chiaramente e giustamente usciti o semiliberi dopo tre decine d’anni e piu’.
    La banda di rapinatori del 68 era guidata dal Levrero neonazista ma non aveva probabilmente una connotazione politica e gia’ nell’autunno del 70 il Paghera parlava come uno scettico blu anche sui movimenti in corso in quegli anni quasi dicendo di non condividerli perche’ non sufficientemente radicali

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