29 aprile 1976: rappresaglia per Amoroso. Ucciso a Milano Enrico Pedenovi

enrico pedenovi

“Enrico Pedenovi esce di casa, come sempre, alle 7,45 del mattino. Abita in viale Lombardia 20, e ogni giorno sale sulla sua Fiat 128 bianca per andare in macchina fino allo studio di via Francesco Sforza 14
Mette in moto, si ferma al distributore per fare il pieno di benzina. non sa che i killer lo stanno seguendo e –conoscendo il suo itinerario abituale- hanno già deciso come e dove colpirlo. Rimette in moto e si ferma ancora una volta. Questa volta davanti all’edicola per ritirare la sua abituale mazzetta di quotidiani. Risale in macchina, si ferma a leggere le prime pagine proprio lì, sul sedile, perché gli piace arrivare in ufficio sapendo quello che è successo

Alle sue spalle adesso è apparsa una Simca 1000 verde bottiglia, con a bordo tre ragazzi. Appena Pedenovi chiude lo sportello, due di loro scendono dalla macchina e si affiancano ai due lati della 128, estraggono delle pistole, forse a tamburo perché non lasceranno colpi a terra. È un tiro incrociato senza scampo, da destra e da sinistra: il consigliere regionale missino viene letteralmente crivellato di colpi. I due componenti del commando salgono in macchina e percorrono duecento metri per allontanarsi in fretta dall’edicola e dai numerosi testimoni che per strada li hanno visti. Arrivati all’incrocio tra viale Lombardia e piazza Durante, abbandonano la Simca e si dividono, fuggendo a piedi. Non lasciano nessuna traccia, e, contrariamente alla prassi delle Brigate Rosse e di Prima linea, non rivendicheranno mai il loro delitto”

La squadra di Sesto

Così Luca Telese ricostruisce su Cuori neri l’omicidio Pedenovi. Una rappresaglia decisa a caldo, perché la sera del 27 aprile è stato ferito a coltellate Gaetano Amoroso, che si sta spegnendo in ospedale (morirà infatti il 30 aprile). A eseguire l’attentato tre militanti armati dei Comitati comunisti per il potere operaio, il gruppo più radicato e agguerrito dell’Autonomia organizzata: Enrico Galmozzi, Bruno Laronga, Giovanni Stefan, componenti della Squadra di Sesto San Giovanni, una realtà molto agguerrita e che ha una solida esperienza di azioni di avanguardia.

L’esplosione di Senza Tregua

Nato nel 1974-75 dall’aggregazione di quel che resta di Potere operaio dopo la scissione negriana, con un ruolo di protagonista di Oreste Scalzone e due gruppi di fuoriusciti di Lotta continua con una diffusa presenza nelle fabbriche milanesi e di Sesto San Giovanni, i Co. Co. P.O hanno presenze organizzate in quasi tutti i poli metropolitani. Ai forti nuclei organizzati a Milano e a Torino proprio nella primavera 1976 si aggiungono nuove realtà di intervento a Napoli e a Firenze,

Di lì a pochi mesi l’organizzazione perderà pezzi:  in estate i militanti armati del centro Sud che non condividono l’esasperato fabbrichismo della rete organizzata settentrionale danno vita alle Unità comuniste combattenti,  mentre la maggioranza della rete organizzativa espellerà, in quello che passerà alle cronache giudiziarie come il golpe dei “sergenti”, Oreste Scalzone e Piero del Giudice, che daranno vita ai Comitati comunisti rivoluzionari mentre quel che resta di “Senza tregua” si riorganizzerà dando vita a un’organizzazione armata strutturata, Prima Linea, costituita nel settembre 1976.

Il secondo omicidio politico

E’ da notare che quello di Enrico Pedenovi è il secondo agguato omicida compiuto dalla sinistra armata (a 4 anni dal commissario Calabresi) e precede di qualche settimana l’attentato di Genova in cui le Brigate rosse uccidono il procuratore Coco e la sua scorta: il duplice omicidio di Padova così come l’uccisione di alcuni esponenti delle forze dell’ordine non sono premeditati.

La narrazione dominante nel Movimento è che l’omicidio sia stata una forzatura dei militanti sestesi, una struttura con un forte peso politico, organizzativo e militare, contro un gruppo dirigente oscillante e poco determinato a innescare percorsi reali di costruzione dell’armamento operaio, ritenuta la questione centrale strategica.

La riflessione di Galmozzi

A questo proposito è interessante la testimonianza che sulla questione offre Enrico Galmozzi, che era tanto un leader politico dell’organizzazione quanto uno dei protagonisti del “passaggio alla critica delle armi”. Il testo è estratto dal suo volume “Figli dell’officina” Derive Approdi, 2019, un volume imprescindibile per la ricostruzione del percorso politico e organizzativo che approda alla costituzione di Prima Linea

Il contesto immediato all’interno del quale si colloca l’omicidio di Enrico Pedenovi, ex appartenente alla X Mas, e ne fonda la natura di rappresaglia, è quello di costituire la risposta militante alla aggressione, ultima solo in ordine di tempo, che costerà la vita a un militante della sinistra extraparlamentare ucciso a coltellate da una squadraccia fascista uscita, particolare importante, da una sede dell’MSI.

Andrebbe ricordato che all’epoca era intensa l’attività squadristica dei fascisti e che addirittura esistevano zone franche, vere e proprie basi nere, come San Babila, nelle quali si rischiava la vita anche solo a circolare con una sciarpa rossa al collo.

La logica della rappresaglia

Da questo punto di vista la logica di rappresaglia è tutta interna ai concetti di contropotere e di autorità sociale che la forza operaia e proletaria deve saper esercitare liberando i territori dalle figure nemiche configurandosi come sorta di contro diritto. Anche qui si trattava di dare corpo e valenza pratica a un’altro slogan del movimento: “l’unica giustizia è quella proletaria.”

Da questo punto di vista la rappresaglia ha un significato immediato come potere di interdizione nei confronti delle aggressioni fasciste e uno simbolico: niente resterà impunito, i fascisti devono sapere che da adesso è questo il livello dello scontro e quello che dovranno aspettarsi ad ogni provocazione.

Nel passaggio dalle parole d’ordine alla loro traduzione pratica c’è, nei confronti del movimento, la sottolineatura dell’esigenza di passare dalle parole ai fatti: è su questo terreno che si misura la maturità del movimento, esattamente nella sua capacità di tradurre in pratica in maniera conseguente elementi di programma affermati collettivamente nelle lotte.

La chiamata alle armi

Qui c’è un evidente intento di chiamata alle armi come urgenza di colmare lo iato fra la truculenza verbale del movimento e la pratica conseguente: Un anno dopo, quando in risposta all’uccisione di Francesco Lorusso a Bologna, verrà colpito a Torino un sottufficiale della Digos, il volantino di rivendicazione affermerà: “Siamo stanchi di gridare e sentir gridare Pagherete caro pagherete tutto.”. Si tratta, insomma, di ribellarsi alla concezione secondo cui la rivoluzione deve essere un ideale, dalle parole terribili ma dai gesti gentili.

Ma non tutto si esaurisce in questo contesto immediato, a partire dal fatto che l’immediatezza della rappresaglia presuppone un livello di inchiesta precedentemente condotta sul bersaglio. Si può dire che l’omicidio di Gaetano Amoroso sia stata la classica goccia che fa traboccare il vaso ma che l’idea dell’innalzamento del livello di scontro sul terreno della risposta allo squadrismo fascista fosse matura da tempo. Ma come si colloca l’omicidio Pedenovi all’interno della storia di Senza tregua?

Un’azione ampiamente condivisa

Innanzi tutto occorre introdurre la distinzione fra gli aspetti decisionali e strettamente operativi da quelli politici più generali. Sul piano politico l’ammissibilità di portare l’attacco ai fascisti sino alle estreme conseguenze era un dato acquisito non solo all’interno di Senza tregua o dell’area dell’autonomia più o meno organizzata ma persino in tutta l’area della sinistra extraparlamentare: “Morte al fascio” era urlato a piena gola da decine di migliaia di manifestanti in ogni occasione e all’indomani stesso un corteo di cinque-sei mila manifestanti sfila per le vie del centro di Milano inneggiando apertamente all’azione Pedenovi.

Da questo sentire comune i responsabili dell’azione traggono legittimazione per quella che ritengono essere la risposta a una domanda che proviene da larghi settori dell’area antifascista e in questo senso non ritengono affatto di compiere una forzatura che, se mai, attiene agli equilibri politici interni al gruppo.

Una forzatura all’interno di Senza tregua

L’azione Pedenovi si configura oggettivamente come una forzatura all’interno di Senza tregua ma non corrisponde al vero che gli autori dell’azione la compiano intenzionalmente per fare precipitare la situazione e originare la crisi. Questo avviene oggettivamente ma non è legittimo affermare che l’azione Pedenovi è l’anticipazione del cosiddetto golpe dei sergenti: è sicuramente un fatto che viene buttato pesantemente sul piatto della battaglia politica, ma di una battaglia politica di cui, allo stato nessuna immagina e nemmeno prefigura gli esiti.

Certo esistevano implicazioni polemiche, non ultimo il fatto che in realtà nella prassi dell’organizzazione, come in quella dei movimenti, la lotta armata assumesse una forma simulata e che questo costituisse un freno oggettivo alla militarizzazione. Insomma, di lotta armata si faceva un gran parlare ma lo stato generale dell’organizzazione era completamente al di sotto dei compiti e del programma che venivano indicati a parole. Da questo punto di vista era evidente che il passaggio all’omicidio politico avrebbe segnato un punto di non ritorno costringendo l’organizzazione a confrontarsi, e attrezzarsi, con questo livello di scontro.

Il paradosso di una discussione mancata

In realtà, è proprio perché questo non avviene, perché l’azione Pedenovi scivola via, nemmeno se ne parla o se ne discute, quasi a derubricarla come un colpo di testa di quelli di Sesto, che matura l’idea di avviare il processo che porterà a Prima Linea.

La tesi della forzatura intenzionale ai fini della spaccatura si è alimentata sulla base di deposizioni dibattimentali. Ma occorre dire che tutte le deposizione citate vanno, giustamente -siamo in aule di tribunali- nella direzione di non coinvolgere la totalità dell’organizzazione.

Ma qui bisogna tornare alla distinzione fra decisione operativa e dibattito politico. Non è che il dibattito sul terreno della necessità dell’innalzamento del livello del fuoco fosse confinato all’interno della Squadra di Sesto, se ne dibatteva in vari e vasti ambiti dell’organizzazione e c’era chi era d’accordo e chi no. Ben altro affare è invece la questione della decisione operativa rispetto alla quale, per altro, pesavano proprio le necessità di non coinvolgimento di tutta l’organizzazione.

Un punto di non ritorno

Stiamo parlando di uno stato organizzativo fluido, con scarsi livelli di compartimentazione e con strutture come i Comitati operai che, per il loro carattere aperto ragionevolmente non possono essere investiti e corresponsabilizzati in questo tipo di pratica. Senza tregua è una organizzazione completamente legale, in cui vivono momenti di associazionismo clandestino ma nella quale manca completamente una attrezzatura mentale, prima che organizzativa, che ottemperi a elementari misure di sicurezza, e qui stiamo parlando del secondo omicidio non casuale avvenuto in Italia da parte di militanti di sinistra.

A questo livello dicono il vero i pentiti quando dicono che nemmeno a chi fu commissionato il furto dell’auto poi usata per l’azione venne detto a cosa servisse. Ma, per dirla tutta, politicamente, a cose fatte nessuno mette in stato d’accusa chi ha compiuto l’azione e nemmeno vengono formulate critiche esplicite; anzi, per la verità sul numero del 17 giugno Senza tregua scriverà che “l’antifascismo militante, picchiando in testa il cane che affoga, rappresenta una prova della capacità del movimento rivoluzionario d costituirsi come forza di governo operaio su scala territoriale, come nuova autorità, nuova legalità proletaria e comunista” ma su cosa possa significare per lo stato presente e futuro dell’organizzazione si glissa, come se niente fosse. Invece qualcosa era avvenuto e per larga parte, assolutamente maggioritaria, effettivamente costituiva un punto di non ritorno: il passaggio dal carattere allusivo a quello apertamente svelato e dichiarato dell’uso delle armi.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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