L’artificiere dei Gap: nessuna trappola, Feltrinelli ucciso da un errore

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La mattina del 14 marzo 1972 Battistoni prese il treno a Chiavari, in direzione Milano, con una valigia in mano – «era una valigiona, non era una valigetta […] sarà stato come minimo 20 chili»  ci tiene a precisare l’ingegnere – piena di esplosivo. Feltrinelli lo aspettava alla stazione di Lambrate con un furgone Renault Estafette. I due salirono sul mezzo e l’editore lo condusse a Segrate sotto un traliccio dell’Enel: Lì controllò ancora qualche cosa e prese anche qualche misura con metro poi ci allontanammo. Mi chiese ancora se volevo accompagnarlo la sera stessa.

Battistoni rifiutò e poco dopo i due tornarono indietro. Solitamente l’editore lo lasciava in qualche strada vicino alla stazione Centrale ma quel giorno lo lasciò in una zona periferica, tanto che dovette prendere due metro per giungere in stazione, e gli disse abbi pazienza ti lascio qui perché ho fretta. Oggi è una di quelle giornate in cui ho i minuti contati.

Il giorno successivo fu rinvenuto, ai piedi di un traliccio dell’alta tensione, il cadavere di un uomo dilaniato da una carica esplosiva. Nella tasca dei vestiti venne trovata una carta di identità intestata a un tale Vincenzo Maggioni, nato il 19 giugno 1946 a Novi Ligure. All’anagrafe del comune piemontese, però, il nome non risultava e ben presto si scoprì che il documento era falso. Ventiquattr’ore dopo gli inquirenti riuscirono a stabilire la vera identità di Maggioni: il corpo rivenuto era quello dell’editore Giangiacomo Feltrinelli. Lo stesso giorno fu trovato dell’esplosivo alla base di alcuni tralicci a San Vito di Gaggiano, l’azione prevedeva infatti due attentati in contemporanea.

Così Davide Serafino nel recente libro Gappisti (Derive Approdi, 2023) che ci consegna la testimonianza dell’artificiere dei Gap, l’ingegner Vittorio Battistoni, appunto

Un compagno non può averlo fatto

Una notizia clamorosa che innesta un riflesso condizionato nella quasi totalità della sinistra. Ancora una volta scatta l’interdetto: “un compagno non può averlo fatto”. E quindi si rimuove l’ipotesi più semplice dell’incidente sul lavoro. Un incidente perfettamente compatibile con quanto è dato sapere su Feltrinelli e le sue scelte politiche. Un autoinganno che coinvolge financo le Brigate Rosse

“ Negli ambienti di sinistra – spiega Serafino – prevalse, per motivi di opportunismo politico, la tesi dell’omicidio. Le Br avevano cercato di mettersi in contatto con i compagni della Canossi, ma non erano riuscite a trovarli, così inizialmente si accodarono alla versione ufficiale della sinistra: ‘In un volantino – ammette Renato Curcio scrivemmo che l’editore rivoluzionario era stato assassinato dalla borghesia imperialista attraverso qualche trama oscura‘.

Successivamente le Br organizzeranno una controinchiesta, i cui materiali audio saranno ritrovati nella base brigatista di Robbiano di Mediglia. Ha ricordato Curcio:

A quel punto decidemmo di compiere un’inchiesta approfondita per capire come erano andate le cose. Parlammo con Augusto Viel, uno dei dirigenti Gap. Rintracciammo «Gunter», un vecchio partigiano, braccio destro di Feltrinelli nelle sue ultime avventure. Al corrente di tutto perché la sera del 14 marzo era andato anche lui a sabotare i tralicci. Antonio Bellavita, direttore della rivista Controinformazione con cui avevamo buoni rapporti, s’incaricò di raccogliere tutte le testimonianze .

La testimonianza di Gunter

«Gunter» è Ernesto Grassi, operaio di una fabbrica di Bruzzano. Era stato tra i primi compagni dei Gap incontrati da Feltrinelli. Era rientrato il 7 marzo 1972 dall’Austria su un treno di pendolari. Dopo la morte del pensionato Tavecchio negli scontri di Milano dell’11 febbraio decidono e si assumono la responsabilità di un doppio attacco ai tralicci elettrici. Vogliono provocare un grande blackout a Milano. Feltrinelli agirà a  Segrate, Grassi a San Vito di Gaggiano. Gunter spiega così il cambio di programma e l’incidente:

Osvaldo si rende conto che i fili di collegamento e i cavi elettrici sono troppo corti. S’incazza, bestemmia, decide di usare tutto il materiale dei due tralicci programmati per farne uno solo. E di fare una cosa grande. Va quindi verso il pulmino, porta tutto il materiale del primo traliccio… del secondo traliccio… Il pilastro già minato è quello di sinistra. Quindi Osvaldo si trova in alto, con le gambe all’interno, penzoloni, seduto. Il Secondo si trova in terra, il Terzo… il Primo cioè si trova a metà strada tra Osvaldo e il secondo. In piedi sul traliccio con il braccio destro intorno al… pilastro portante destro, saldamente agganciato a questo pilastro. Passano allora per primo i candelotti. Poi la pila. Poi l’orologio. Ricevuto il primo orologio sento Osvaldo imprecare, l’orologio è rotto, non è funzionante…

Osvaldo ha i candelotti di dinamite (della carica che serviva a far saltare il longherone centrale) in mezzo alle gambe. […] Si trova impacciato nella posizione, impreca. Sposta i candelotti. Probabilmente sotto la gamba sinistra e, seduto con i candelotti sotto la gamba, in modo che li tiene fermi, sembra che prepari l’innesco, cioè il congegno di scoppio. È in questo momento che quello a mezz’aria sul traliccio sente uno scoppio fortissimo. Guarda verso l’alto e non vede nulla. Guarda verso il basso e vede Osvaldo a terra, rantolante. La sua impressione immediata è che abbia perso entrambe le gambe. Va da lui immediatamente e gli dice: «Osvaldo, Osvaldo…». Non c’è… è scoppiato… 

L’uso frettoloso dei timer

Feltrinelli muore per l’uso frettoloso di timer artigianali e fragili. «Gunter», intervistato nel 1974 da Mario Scialoja per «L’Espresso», aveva confermato l’errore nell’uso degli orologi  come timer. Vi risparmio i dettagli tecnici ma a distanza di decenni, Battistoni conferma e precisa meglio:

A parer mio la causa immediata della disgrazia fu che il perno piantato nel vetro di plastica finì per penetrare più profondamente nel foro, forse per inevitabili urti, sfregamenti e simili durante il trasporto, il maneggio e la messa in opera sul traliccio a due o tre metri da terra; a questo punto al momento di collegare la batteria avviene l’esplosione .

Il colpo d’ali di Potop

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Solo Potere operaio riconosce l’identità politica di Feltrinelli e dei Gap, Il giornale, in edicola lunedì 20 marzo titola Un rivoluzionario è caduto. l’Unità e il manifesto, parlano di un complotto e di una provocazione. che giovava alla reazione. Per  Lotta continua non basta «la fermezza della convinzione, delle intenzioni, della volontà» per definire un militante rivoluzionario. La stampa “borghese” in quei giorni fa carne di porco di Feltrinelli non avendo pudore neanche del figlioletto Carlo.

Il pdf del giornale

Serafino invita a leggere approfonditamente l’articolo di Potere operaio del lunedì, scritto da Piperno, Scalzone e Novak, al di là del titolo potente che si è fissato nella memoria di molti. L’editore per Po appartiene pienamente al «movimento rivoluzionario e operaio». Resta però forte il tema della “trappola”. Un sublime gioco di equilibrio. Servì a preservare, per quanto possibile, la rete gappista. A non inimicarsi tutta la sinistra italiana, rivoluzionaria e no, che sosteneva la tesi dell’omicidio. E a non attirarsi addosso tutte le forze di polizia.

L’omaggio a Osvaldo

Nonostante questa ambivalenza, Po fu l’unico che cercò di difendere l’identità politica e la coerenza del percorso dell’editore, “un compagno dei Gap, una organizzazione politico-militare che da tempo si è posta il compito di aprire in Italia la lotta armata come unica via per liberare il nostro paese dallo sfruttamento e dall’ingiustizia (…)

A questa determinazione Feltrinelli era arrivato dopo una bruciante e molteplice attività: dalla partecipazione alla guerra di liberazione, alla milizia nel Pci, all’impegno editoriale, alla collaborazione con i movimenti rivoluzionari dell’America Latina. L’indimenticabile ’68 lo aveva spinto a un ripensamento di tutta la sua milizia politica; la breve ma intensa confidenza con Castro e Guevara gli forniva gli strumenti teorici attraverso cui analizzare il fallimento storico del riformismo e, a un tempo, la prospettiva da seguire per una ripresa del movimento rivoluzionario in Europa. La forte passione civile, la rivolta a ogni forma di sopraffazione e di ingiustizia (si pensi all’attenzione con cui ha sempre seguito le rivendicazioni autonomiste delle minoranze linguistiche italiane) lo spingevano a saltare i tempi, a bruciare le mediazioni.

Po difende Feltrinelli dagli attacchi del «Corriere della sera» e del resto della stampa che volevano infangarne la memoria ma non gli risparmiano le critiche

nell’azione di questo compagno ci sono stati errori, ingenuità, improvvisazioni. Grave soprattutto ci è sembrata e ci sembra, nel programma politico dei Gap, la sottovalutazione delle lotte operaie, della loro capacità di andare oltre il terreno rivendicativo per porre la questione dei rapporti di forza tra le classi cioè del potere politico. Ma i suoi errori, la sua impazienza, appartengono al movimento rivoluzionario e operaio; assalto al cielo che da qualche anno migliaia di militanti hanno cominciato a ricostruire dopo decenni di oscurità e di paura.

Feltrinelli, quindi,  non era né una vittima, né un terrorista: era un rivoluzionario ed era stato ucciso perché era un militante dei Gap, un rivoluzionario che con pazienza e tenacia, superando abitudini, comportamenti, vizi, ereditati dall’ambiente altoborghese da cui proveniva, s’era posto sul terreno della lotta armata, costruendo con i suoi compagni i primi nuclei di resistenza proletaria.

La tensione tra Po e Osvaldo

A ulteriore merito di Po va ricordato che i rapporti tra il gruppo e l’editore in quelle settimane erano tesissimi. Con metodi un po’ “padronali” Feltrinelli aveva lanciato un’opa ostile attirando nella sua orbita i migliori quadri ‘operativi’ i comaschi Cecco Bellosi e “Siro” (il contrabbandiere che lo aveva portato in Svizzera, insegnandoli i percorsi transfrontalieri), il capo del Lavoro illegale, Valerio Morucci, un operaio dell’Alfa coinvolto nell’organizzazione della notte dei tralicci.

A fine febbraio Franco Piperno gli aveva indirizzato una lettera molto dura, richiamandolo a rapporti leali e corretti, a ridosso dell’11marzo Scalzone aveva respinto l’offerta del capo dei Gap di mandare qualche militante armato con compiti di copertura per gli scontri in cui avrebbe perso la vita il pensionato Tavecchio

Secondo Po negli ultimi mesi si era intensificata la ricerca affannosa che «fascisti e Servizi segreti vari avevano scatenato per prendere Feltrinelli» e probabilmente lo stesso editore aveva «commesso, per generosità, errori fatali di imprudenza, cadendo così in un’imboscata nemica la cui meccanica è a tutt’oggi oscura».

Una scelta che inorgoglisce i militanti

La decisione rischiosa di riconoscere l’identità politica dell’editore sorprese i militanti ma fu salutata con soddisfazione. Andrea Leoni, recentemente scomparso, lo ricorda a Grandi:

Quando uscì il nostro giornale col titolo Un rivoluzionario è caduto tirai un sospiro di sollievo perché mi sembrò che la politica con la P maiuscola aveva vinto sui «livelli occulti». I «superiori interessi della rivoluzione» non ci avevano impedito di dire la verità

Ad alcuni diventano chiari anche i rapporti operativi tra Po e Gap. Una scelta non indolore, racconta Massimo Casa, che creò

grande scalpore, sorprendendo anche molti di noi. Feltrinelli era un compagno prezioso di grande esperienza […]. La sua morte ci addolorò profondamente e capimmo che la situazione cambiava radicalmente. La nostra posizione scatenò un’immediata risposta da parte delle forze dello Stato: perquisizioni, retate, interrogatori. Eravamo al centro del mirino e ne subimmo il contraccolpo per qualche mese .

Pace e la conferenza stampa

Lanfranco Pace con il suo cinismo intelligente rivendica l’operazione come rottura con l’ipocrisia dilagante a sinistra sul tema della violenza:

Facemmo quella conferenza stampa in cui rivelammo che un rivoluzionario era caduto e gli rendemmo onore. Si può immaginare l’impatto del nostro annuncio; da un lato ci si poneva contro la Feltrinelli e quindi contro il mondo intellettuale che ruotava intorno alla casa editrice, e dall’altro si dava per la prima volta, apertamente, l’immagine di uno che pur avendo ricchezza, onori e denari, andava a mettere le bombe sui tralicci perché credeva in un mondo diverso.

Questa cosa creò anche un po’ di sconcerto nel movimento, che aveva sempre avuto l’abitudine di considerare la violenza come una risposta e non come un primo passo. Avevamo rotto il clima omertoso e perbenista al tempo stesso e anche opportunistico e piagnone della storia del movimento operaio. Il contraccolpo fu l’emergere politico di una presenza militante anche a livello illegale. Fummo considerati dei provocatori irresponsabili che mettevano in cattiva luce tutta la sinistra, perché mostravano agli italiani che anche la sinistra poteva essere aggressiva e violenta autonomamente.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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