8 giugno 1978, Torino. Le squadre proletarie gambizzano Ferrero, un medico “nazista”
L’agguato ieri sera nello studio di via Aporti 7, ai piedi della collina. Terroristi sparano ad un medico. E’ il dott. Giacomo Ferrero, 50 anni, residente a Volpiano; non è grave. Tre giovani e una donna, a volto scoperto, irrompono nello studio e dicono ai clienti: “State tranquilli non ce l’abbiamo con voi, ma con questo fascista”. Il chirurgo reagisce; poi è colpito col calcio della pistola e tre proiettili lo fanno crollare. Era stato processato e condannato per usura,
Ancora un’irruzione In uno studio medico, un raid criminale che gli sparatori vorrebbero spacciare come un’azione politica. Hanno sparato al dott. Giacomo Ferrero, 50 anni, abitante con la madre e una sorella a Volpiano in corso Regina Margherita 87, con studio a Torino in via Ferrante Aporti 7. L’attentato e stato attribuito alle «Squadre proletarie di combattimento » con una telefonata fatta alle 22,20 alla redazione torinese dell’Ansa. Uno sconosciuto — che subito dopo ha interrotto la comunicazione — ha detto: « Qui squadre proletarie di combattimento. Abbiamo ferito il nazista Ferrero ».
L’irruzione
L’agguato alle 20,40. Il medico è arrivato alle 18, come sempre. Lo studio è un locale ad un piano immerso nel verde, in fondo ad un viale alberato, un posto tranquillo, silenzioso, neppure troppo facile da trovare. Dal cancello al numero 7 di via Aporti, una strada precollinare, che attraversa corso Casale, si arriva dopo 20 passi ad una villetta disabitata, davanti alla quale il medico parcheggia la propria 126.
Sulla destra, oltre una curva nel verde, la fitta vegetazione nasconde il fabbricato dov’è lo studio: quattro locali disadorni, una sala d’attesa, un ripostiglio, l’ufficio del medico con scrivania e scaffale per i libri, una ceramica con l’immagine di Mussolini e una filastrocca inneggiante al Duce, infine il gabinetto vero e proprio.
Le visite, ieri sera, avrebbero dovuto proseguire ancora a lungo: una ventina di pazienti, infatti, era in attesa nell’anticamera. Si spalanca la porta, irrompono in quattro, tre giovani e una ragazza. Hanno il volto scoperto, ma qualcuno è camuffato da una parrucca. Stringono in pugno grosse rivoltelle, le puntano verso i clienti, e subito avvertono: «State tranquilli. Questa è una azione proletaria. Non ce l’abbiamo con voi, ma col medico che è un fascista». Gli sconosciuti si guardano attorno, cercano di individuare la porta dietro alla quale c’è il dott. Ferrero.
Una reazione disperata
Intanto uno dei terroristi comincia uno strano controllo: ai presenti chiede i documenti, sembra volerli identificare. Un secondo rimane sulla soglia a controllare lo stretto vialetto; gli altri due irrompono nello studio. Il dott. Ferrerò è seduto in poltrona, sta scrivendo una ricetta, alza appena lo sguardo, si trova la canna delle rivoltelle vicino agli occhi. Ha una reazione Immediata, tenta di alzarsi, di scagliarsi addosso agli aggressori. E’ un’azione disperata, afferra per le braccia uno dei terroristi, tenta di colpirlo al volto, gli strappa la parrucca di capelli lunghi castani. Gli sconosciuti, però, non rinunciano a colpire, percuotono l’uomo al capo col calcio delle armi. C’è colluttazione, la porta il vetri va in frantumi, il medico viene scaraventato nuovamente sulla poltrona, poi gli sparano: cinque colpi, la vittima viene raggiunta da tre proiettili cal. 38: due alle gambe, uno allo scroto. Altri due colpi vanno a vuoto, uno trapassa da parte a parte la scrivania, l’altro si schiaccia sul pavimento. I terroristi non sono soddisfatti, tentano di ricaricare le armi, ma per fortuna hanno perso freddezza: cinque proiettili cadono a terra. Cosi uno dà l’ordine: «Andiamocene».
La fuga
Corrono per il vialetto, qualcuno li scorge salire su una Volkswagen «Golf» color nero, viene rilevato il numero di targa. Il ferito è accompagnato alle Molinette da due clienti, due donne spaventatissime che riescono però a raccontare con lucidità tutto quello che è successo. Le indagini non partono da niente. C’è una descrizione attendibile di almeno due klller: basso, volto allungato, sui 20-25 anni il primo; più alto e magro l’altro. Vestivano di scuro; forse tutti nascondevano i capelli con parrucche di varia misura. Al pronto soccorso il prof. Fontana sottopone il ferito a un primo intervento chirurgico: non è grave. Sul posto accorrono polizia e carabinieri. Si cerca di ricostruire nei dettagli l’accaduto. Viene in luce la militanza nel Msi di Giacomo Ferrero, nello studio e nell’auto ci sono volantini distribuiti per il comizio dell’onorevole Petronio.
In ospedale
Al pronto soccorso, poco dopo, arrivano la sorella del ferito, Teresa, la madre Glavanna Borge, il sindaco di Volpiano, Carletto, dc, e il segretario provinciale del Movimento sociale, Martinat. La prognosi è di 40 giorni. Nel novembre ’77 il dott. Giacomo Ferrero era rimasto coinvolto In una vicenda giudiziaria che l’aveva visto comparire davanti al pretore Acordon con l’accusa di usura. Il giudice gli aveva inflitto otto mesi di carcere e 400 mila lire di ammenda. Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe imprestato soldi a una intraprendente ma sfortunata donna d’affari di Pianezza, Maria Caterina Magnino, a un tasso di interesse del 25 per cento mensile (il 300 per cento all’anno).
L’episodio risaliva a due anni prima quando la donna, trovandosi in cattive acque e vantando amicizie romane ad altissimo livello, riuscì ad entrare in contatto — tramite un’amica — con il facoltoso medico di Volpiano. Secondo l’accusa, il chirurgo le avrebbe imprestato più di 60 milioni, tutti pagati in assegni. Uno di questi, di parecchie decine di milioni, risultò scoperto, e anche Maria Caterina Magnino fini sul banco degli imputati col dott. Ferrero. Il pretore la condannò a 200 mila lire di multa per emissione di assegno non sufficientemente coperto, senza data, né luogo né emissione.
Fonte: La Stampa, 9 giugno 1978
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