Finto mistero di via Montenevoso e giravolta del Pci
Nell’ex-covo delle Brigate rosse in via Montenevoso a Milano, durante lavori di ristrutturazione, il 9 ottobre 1990, i muratori scoprono un nascondiglio sotto la finestra non scoperto durante l’irruzione dei carabinieri il 1 Ottobre 1978.
All’interno del nuovo nascondiglio, che si trova sotto una finestra, vengono rinvenuti un fucile, una quarantina di detonatori e 419 fotocopie di manoscritti attribuiti ad Aldo Moro. 190 fogli sono copie di lettere scritte dallo statista e 229 risultano riconducibili al cosiddetto memoriale.
Il segreto più importante: Gladio
La parte mancante nel 1978 del memoriale Moro era proprio quella che riguardava il segreto più importante emerso dal sequestro Moro: l’esistenza di una struttura formata da militari e da civili con compiti di guerriglia e di controguerriglia dentro la NATO. Quella Gladio della quale Andreotti avrebbe ammesso l’esistenza soltanto moltissimi anni dopo.
«Chi sbobinò i nastri degli interrogatori di Moro?» viene chiesto ad Anna Laura Braghetti, che di Moro fu la carceriera.
«Noi della casa, io almeno, no. Avevo troppo da fare. Di mattina uscivo per andare a lavorare e tornavo la sera, verso le otto. Ricordo la schizofrenia di quei giorni… Sono stati tra i più terribili della mia vita. Nell’impresa edile dove lavoravo come segretaria, ovviamente tutti parlavano del rapimento… Si commentava. E io recitavo la mia parte. Poi tornavo a casa e Moro era lì. E io lo guardavo dallo spioncino…»
A nascondere la parte di memoriale di Moro mancante dietro il tramezzo è Lauro Azzolini, [il membro più anziano (35 anni) dell’esecutivo br. Quello che porta i carabinieri al covo scordandosi un borsello, carico di roba importante, sull’autobus a Firenze, ndb]. Secondo Alberto Franceschini, Nadia Mantovani, incaricata di sintetizzare e leggere tutte le trascrizioni di Moro, non ha mai visto le carte nascoste.
Fin qui l’Alba dei funerali di uno Stato, un sito web dedicato agli anni di piombo. Ma in nostro soccorso, a ricostruire il “finto mistero” delle carte di Moro occultate arriva Paolo Persichetti, nel suo ultimo libro “La polizia della storia“.
Il ruolo di Mantovani
Nadia Mantovani era stata scarcerata a giugno 1978, dopo la sentenza di primo grado al “processo di Torino”. In poche settimane era passata in clandestinità, rientrando nei ranghi della colonna Walter Alasia e l’Esecutivo le aveva affidato il compito, poiché aveva formazione universitaria, di elaborare una sintesi delle lettere e dell’interrogatorio di Moro per la pubblicazione promessa durante i 55 giorni del sequestro. Il materiale arriva nel covo di Lambrate a fine settembre, già dattiloscritto, da Roma, pochi giorni prima del blitz dell’Antiterrorismo.
Il primo manoscritto ritrovato
Il dattiloscritto ritrovato nel 1978 è composto da 78 pagine (29 di lettere selezionate, 49 di testo della memoria difensiva di Moro) raccolte in una cartellina color carta da zucchero: materiali da controllare ed eventualmente integrare con il resto del materiale fotocopiato e un’analisi politica del testo. Azzolini nascose questa parte in una cartellina marrone, insieme a soldi e armi, in un’intercapedine sotto una finestra, attentamente occultata. I brigatisti sono convinti che i carabinieri abbiano recuperato nel blitz tutti i documenti. Perciò, nel 1982, nel rivendicare nel corso del processo Moro l’autenticità contestata del testo, chiedono di produrre in dibattimento gli originali contenuti nella “cartellina marrone”. Per tutti gli anni ’80 i militanti della Walter Alasia contesteranno la mancanza nei verbali di sequestro di carte, soldi e armi nascosti sotto la finestra. Le autorità giudiziarie non prenderanno sul serio la richiesta.
I sospetti sulle carte mancanti
Il sospetto che tra le carte mancanti ci fossero rivelazioni di tremendi segreti agitava il mondo politico e metteva in fibrillazione i giornalisti. Il memoriale Moro, in effetti, era nato come risposta a 16 quesiti formulati dall’Esecutivo br su 30 anni di storia repubblicana di cui aveva già parlato Mario Moretti nella sua intervista autobiografica con Rossana Rossanda e Carla Mosca. Una di queste riguardava appunto le strutture Nato di controinsorgenza (la cosiddetta Gladio) e mancava nel manoscritto diffuso a metà ottobre 1978 mentre nel malloppo nascosto erano presenti due diverse risposte, formulate nel solito linguaggio moroteo, evasivo e contorto. Tra le carte occultate anche 28 lettere, 18 delle quali inedite.
Manca proprio il tema del giorno
Ai primi di ottobre 1990, nel corso di lavori di ristrutturazione dell’appartamento dissequestrato, il nascondiglio viene scoperto e smantellato. All’interno della cartellina marrone descritta da Bonisoli sono ritrovati 420 fogli: 229 del memoriale e 63 lettere scritte da Moro in prigionia, in gran parte sconosciute. Sono recuperati anche 60 milioni del sequestro Costa e le armi rivendicate nel corso degli anni dai brigatisti milanesi.
A scatenare il polverone politico-mediatico è una singolare coincidenza. Che al “memoriale 1978” manca un solo argomento mentre tutti gli altri sono meglio e più sviluppati nelle carte ritrovate. La risposta assente è proprio quella su “Gladio”: e anche se Moro risponde in modo sostanzialmente negativo, la battaglia politica in corso proprio in quei mesi dentro la Dc tra Francesco Cossiga e Giulio Andreotti e in Parlamento tra Pci e governo sul tema innesca una “prolifica narrazione dietrologica”.
La nuova narrazione dell’ormai ex Pci
Lontani i giorni della solidarietà nazionale, nella narrazione vittimista del Partito comunista l’esclusione dal governo viene ricondotta proprio all’esistenza di questa struttura di sicurezza atlantica con funzione anticomunista anche interna. E il fatto che nel memoriale segreto Moro accenni ad attività di addestramento alla guerriglia contro forze occupanti o di “controguerriglia da condurre contro forze nemiche impegnate come tali nel nostro territorio” produce un paradossale rovesciamento.
Il Pci, infatti, il più deciso a negare autenticità agli scritti del prigioniero, nel momento in cui avvalorano le tesi comuniste, inverte le posizioni e accusa le Br di non aver voluto rendere pubblico il Memoriale integrale, come annunciato nei primi comunicati, rendendosi connivente degli apparati che avevano voluto mantenere il segreto su Gladio.
I brigatisti, forti delle denunce ripetute nel corso degli anni sul materiale scomparso, respingono l’accusa. Anzi. La loro convinzione, espressa da Franco Bonisoli al pm Federico Pomarici, è che gli uomini di Dalla Chiesa avessero ritrovato tutto il materiale avendo diligentemente smantellato il covo per poi occultarlo in parte, in funzione di ricatti e giochi di potere.
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