26 marzo 1971: l’omicidio Floris segna la fine della 22 ottobre

Due ragazzi in bianco e nero, una Lambretta, una pistola spianata. E un corpo senza vita a terra. È uno degli scatti più famosi degli anni Settanta, quello dell’omicidio del portavalori Alessandro Floris, ucciso a 31 anni durante un’azione di «autofinanziamento» del Gruppo XXII ottobre. È il 26 marzo 1971, una mattinata di sole in via Bernardo Castello, nel pieno centro di Genova. Alle 10.30 un fattorino portavalori attraversa la strada: ha una borsa piena di contanti, soldi dell’Istituto Autonomo Case Popolari. Due giovani lo aggrediscono, il commesso reagisce, parte un colpo di calibro 38. I rapinatori fuggono a bordo di una Lambretta verde, mentre il corpo di Floris resta a terra in una pozza di sangue Affacciato alla finestra, richiamato dagli spari, uno studente universitario fotografa il tutto: gli scatti di Ilio Galletta fanno il giro del mondo. E diventano il simbolo di un decennio

L’intervista che Mente Locale, un portale genovese di informazione sul tempo libero, dedica a Donatella Alfonso per presentare il suo volume sulla banda “Animali di periferia”, è preziosa perché offre per la prima volta la completa sequenza del rollino fotografico. Quella che vediamo sopra e che è passata alla storia come l’attimo in cui Rossi spara a Floris è invece una foto successiva, con il fattorino già ferito a terra e il rapinatore che punta l’arma contro altri eventuali inseguitori.

La dinamica della rapina

La rapina e il processo contro la banda sono ricostruiti così da InfoAut, portale di controinformazione dell’area antagonista:

La sera del 25 Marzo il gruppo si riunisce per dividersi i compiti: Mario Rossi e Augusto Viel scipperanno la borsa con le paghe e scapperanno a bordo di una Lambretta rubata in precedenza; ad attenderli su un’auto poco più in là, pronto a ricevere il bottino, ci sarà Malagoli, il quale lo consegnerà poi a Marletti per la custodia. L’intenzione è di svolgere il tutto senza sparare, lanciando un po’ di pepe negli occhi del capoufficio dell’Istituto, Giuseppe Montaldo, e del suo fattorino Alessandro Floris, ma Rossi è irremovibile sul fatto di recarsi comunque armato all’azione.

La mattina successiva il colpo viene effettuato ma non tutto va come dovrebbe: l’arrivo di Montaldo e Floris si fa attendere molto più del previsto, cosicché Malagoli si allontana con l’auto convinto che qualcosa non abbia funzionato; Rossi e Viel riescono ad afferrare la borsa e fuggono a bordo della Lambretta ma Floris, nonostante le ripetute intimidazioni dei due membri della banda, li insegue ostinatamente, Rossi spara alcuni colpi in terra per tenerlo lontano e uno di questi colpisce accidentalmente a morte il fattorino. I due proseguono la fuga per le vie del centro genovese ma l’azione non è passata inosservata e alcuni automobilisti si lanciano al loro inseguimento;

Viel riesce a rifugiarsi nell’appartamento di un amico, mentre Rossi viene bloccato ed arrestato da alcuni carabinieri. Il giorno successivo i giornali operano un vero e proprio linciaggio mediatico nei confronti di Rossi, definito senza esitazioni come un mostro e un omicida volontario; l’obiettivo è raggiunto anche grazie all’uso di alcune fotografie, scattate casualmente da uno studente residente nei paraggi dell’Istituto, che vengono però proposte dalla stampa nell’ordine sbagliato e in modo parziale o rielaborato per avallare ricostruzioni dei fatti affrettate e poco veritiere.

Il processo alla banda

Il 2 Ottobre del 1972 si apre il processo non solo a Rossi, ma anche a quasi tutti gli altri componenti della banda, arrestati nei mesi precedenti con prove spesso labili; tutti i componenti affermano tra l’altro di essere stati trattati in modo feroce durante la detenzione. Il processo si conclude con pene pesantissime, basate perlopiù su testimonianze poco attendibili ed indizi.

L’esito incontra l’approvazione e l’applauso quasi unanime dei giornali ma altre voci si levano invece a denunciare le irregolarità con cui indagini e processo si sono svolti: l’eco della banda XXII Ottobre arriva fino in Francia, dove si forma persino il “Comité aux camarades du XXII ottobre” secondo cui i compagni italiani sono stati sottoposti ad un processo “degno delle dittature sudamericane”.

Durante l’istruttoria, inoltre, da un registratore montato all’esterno del tribunale riecheggia, tramite le frequenze di Radio Gap, un comunicato di solidarietà agli imputati: “Compagni della 22 Ottobre, fra voi e noi si alzano le mura di questo infame edificio. Sono mura robuste, ma non possono impedire che la nostra voce vi giunga. Inutilmente le forze coalizzate del potere hanno tentato di serrare intorno a voi il muro ben più tenace della menzogna e del silenzio. […] La 22 Ottobre ha aperto la via; altre forze la sostituiranno, alimentate continuamente dalla stessa ferocia distruttiva del potere dominante”.

La storia della 22 ottobre

Sandro Provvisionato, usando i materiali della “Mappa perduta”, il primo volume della ricerca promossa da Renato Curcio per una ricostruzione documentaria della lotta armata, sintetizza così la storia del primo gruppo armato in Italia:
Il Circolo XXII Ottobre è la prima forma di lotta armata sorta in Italia. Essa si forma a Genova, il 22 ottobre 1969, per iniziativa di alcuni militanti di formazione marxista-leninista. I primi militanti genovesi sono quasi tutti proletari della Val Bisagno. La loro vita si svolge intorno a Piazzale Adriatico, uno dei quartieri più popolari di Genova. Pochi sono studenti.

Per la maggior parte i militanti del XXII ottobre sono ex comunisti, come Rinaldo Fioroni, 32 anni ed ex partigiani, come Silvio Malagoli, 52 anni. Personaggio di spicco anche Mario Rossi, 32 anni. Alcuni provengono dalla sinistra extraparlamentare come Augusto Viel, un elettrotecnico di 30 anni, o dai gruppi cattolici, come Giuseppe Battaglia, 28 anni, fattorino.
Nel messaggio letto in una interferenza televisiva essi collocano la nascita della loro formazione nel quadro delle lotte per i contratti e le riforme del 1969 e del 1970, della resistenza di massa all’”offensiva padronale e fascista”, e dell’iniziativa “contro il giogo dell’imperialismo straniero”.
Il modello organizzativo al quale questo gruppo fa esplicito riferimento è quello della lotta partigiana. Proponendosi come “avanguardia partigiana”, esso con le sue iniziative intende “scatenare la guerra partigiana rivoluzionaria”.

Le azioni della banda

Nel corso del 1970, a Genova, le azioni di maggior rilievo del gruppo sono:
– interferenze radio nel telegiornale serale del primo canale RAI (16-4; 23-9; 22, 24 e 30-12). La prima, firmata Radio GAP chiama con successo la popolazione alla mobilitazione per impedire un raduno fascista;
– attentato esplosivo ad una sede del Partito Socialista Unitario (PSU) in via Teano (24-4-70);
– attentato esplosivo al consolato generale USA in piazza Portello (3-5-70);
– sequestro, a fini di finanziamento, di Sergio Gadolla, figlio del noto industriale genovese (dal 5-10-70 al 10-10-70);
– attentato esplosivo contro un automezzo in dotazione del Nucleo Radiomobile dei carabinieri (24-12-70).

Nel 1971, alle interferenze di Radio GAP, che rivendicano le iniziative armate delle Squadre d’Azione Partigiana (6-2-71; 19-2-71) si aggiungono i sabotaggi di impianti industriali:
– deposito di prodotti finiti ed elettrodomestici della IGNIS (Genova (-2-71);
– deposito costiero della raffineria Garrone (Arquata Scrivia (AL) 18-2-71).
Nelle rivendicazioni, il Gruppo XXII Ottobre attribuisce agli industriali colpiti il ruolo di finanziatori dei fascisti e delle trame golpiste.
L’ultima azione è la tentata rapina a un portavalori dell’Istituto autonomo case popolari. Rapina che si risolve con la morte del fattorino Stefano Floris e la cattura di un dirigente del gruppo (Genova 26-3-71).
Successivamente, alcuni militanti del Gruppo XXII Ottobre trovano un appoggio solidaristico dai Gruppi d’Azione Partigiana. Altri, invece, dopo una latitanza più o meno breve vengono arrestati.

Durante il processo di primo grado (ottobre 1972) Radio GAP trasmette un comunicato di solidarietà “ai compagni del XXII ottobre”. Con un registratore, montato su un traliccio, poco fuori le mura del carcere di Genova.
Il processo contro il Gruppo XXII Ottobre rivela la presenza nel gruppo armato anche di personaggi ambigui. Sono due inquisiti per il sequestro Gadolla e la rapina allo IACP, Adolfo Sanguineti e Gianfranco Astara, legati alla malavita genovese e Diego Vandelli, 44 anni, con un passato di fascista.
Nel 1974 le Brigate Rosse, con il sequestro di Mario Sossi reagiscono a questa campagna di criminalizzazione. Riaffermano l’internità al processo rivoluzionario di otto militanti, dei quali chiedono anche la liberazione.
In carcere, negli anni successivi, alcuni militanti di questa formazione confluiscono nelle Brigate Rosse.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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