8 giugno 1976, Genova: le Brigate Rosse uccidono il procuratore Francesco Coco

Il giorno in cui l’avrebbero ammazzato, le Br l’avevano stabilito molti mesi prima. È una morte annunciata, persino da scritte comparse pochi giorni prima sui muri della città (“Uccidendo Coco, uccideremo gran parte dello Stato borghese”), quella del procuratore della Repubblica Francesco Coco, 67 anni, tre figli. «Il magistrato genovese – rivelerà Alberto Franceschini nel 1988 – doveva essere ucciso il 5 giugno 1976, l’anniversario della Spiotta, ma quel giorno rincasò più tardi del previsto. Per questo un commando dell’organizzazione colpì lui e la sua scorta solo tre giorni dopo».

La Spiotta è un cascinale sperduto nella campagna di Acqui Terme. Il 5 giugno 1975, in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine intervenute per liberare l’industriale Vallarino Gancia rapito dai brigatisti solo il giorno prima, era caduta Margherita Cagol, “Mara”, moglie di Renato Curcio. All’omicidio Coco le Br affidavano dunque una duplice valenza simbolica: vendicare la “compagna Mara” e, nello stesso tempo, lanciare un segnale preciso. A Torino, in quel giugno del ’76, si era infatti aperto il primo processo al nucleo storico delle Br. Nella gabbia degli imputati, oltre a Curcio e Franceschini, c’erano fra gli altri Piero Bertolazzi, Paolo Maurizio Ferrari, Prospero Gallinari, Roberto Ognibene e Giorgio Semeria. L’attentato a Coco doveva dimostrare che l’organizzazione non era stata sconfitta. Che, al contrario, era in grado di elevare il livello dello scontro.

Il primo omicidio pianificato

Dare avvio a quell’ “attacco al cuore dello stato” che, nel maggio del ’78, avrebbe raggiunto il suo sanguinoso apice con l’assassinio di Aldo Moro.Il primo omicidio delle Br È, quello di Coco, il primo omicidio pianificato dalle Br. Ed è anche l’unico, fra i delitti perpetrati in più di dieci anni, sul quale non è stato fatta pienamente luce. Nessuno dei tanti processi che si sono susseguiti è riuscito a individuarne con certezza i responsabili. Sulla composizione del commando resta un velo di mistero.

Nel corso degli anni i sospetti si sono accentrati su Rocco Micaletto, Mario Moretti, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli e Riccardo Dura, l’unico genovese del gruppo. Un’ipotesi investigativa che non ha però avuto conferma processuale. Chiaro sin dall’inizio, invece, il movente che aveva spinto le Br ad agire. La condanna a morte di Coco aveva per l’organizzazione armata radici precise: era il magistrato che aveva bloccato la liberazione dei componenti della banda XXII Ottobre pattuita per il rilascio di Mario Sossi, il magistrato genovese rapito dai brigatisti nell’aprile del ‘74. Non solo: durante il rapimento Sossi, Coco aveva sposato la strada dell’intransigenza escludendo qualsiasi possibile trattativa.

Francesco Coco, un simbolo

Ma per le Br Francesco Coco era anche qualcosa di più: era il simbolo della parte più reazionaria della magistratura, a tal punto da essere addirittura contestato da un nutrito gruppo di pretori genovesi. Insomma una dei componenti di quel “cuore dello stato” che bisognava colpire e abbattere. È su queste premesse e in questa cornice storica, dunque, che la mattina dell’ 8 giugno di quarant’anni fa si compie la mattanza di salita Santa Brigida.Quel giorno, 40 anni fa Sono esattamente le 13,38 quando la Fiat 132 blu con a bordo il magistrato si ferma in via Balbi, a poche centinaia di metri dalla stazione Principe.

La città è avvolta da un caldo torrido, in strada pochissimi passanti, i negozi della via sono tutti chiusi. Francesco Coco scende e imbocca la vecchia creuza a gradoni seguito dal brigadiere Giovanni Saponara, 42 anni, tre figli, da tempo sua guardia del corpo. Questi, prima di avviarsi, fa cenno alla Giulia dei carabinieri che li ha scortati fin lì di rientrare in caserma. Anche l’auto blu del magistrato prosegue, ma per fermarsi appena un centinaio di metri più avanti, in un piccolo slargo di via Balbi. Al volante siede l’appuntato Antioco Deiana. Deiana, anche lui quarantaduenne e padre di un bambino, è lì per un terribile scherzo del destino. È la prima volta che fa da autista al magistrato.

L’agguato

Normalmente alla guida dell’auto blu siede Stefano Agnesetta, una guardia carceraria che però, il giorno prima, ha chiesto un permesso per ragioni familiari. Deiana ha accettato di sostituirlo. L’azione delle Br è fulminea. Francesco Coco e Saponara hanno salito ventiquattro gradoni, superato l’archivolto con la statua della santa che dà il nome alla salita, quando si vedono venire incontro due uomini che stanno scendendo la creuza a passo veloce e che, di lì a poco, li superano.

Un istante dopo è un inferno di fuoco. I due brigatisti, ai quali se ne è aggiunto un terzo rimasto sino ad allora nascosto dietro l’archivolto, scaricano sul magistrato e sulla sua guardia del corpo un nugolo di proiettili. Uno solo andrà a vuoto.

L’attacco è così rapido e improvviso che Saponara non ha neppure il tempo di impugnare la pistola di ordinanza. I due uomini cadono a terra, l’uno accanto all’altro: Coco prono, le mani vicino al corpo, la testa rivolta verso il basso della creuza; il brigadiere dei carabinieri con le braccia allargate, la schiena a terra, il volto verso il cielo. Hanno il corpo crivellato. Coco, rivelerà l’autopsia, è stato colpito da due pallottole al capo e da otto alla schiena; Saponara è stato raggiunto da quattro colpi alla testa e dodici alle spalle. Il tutto si è svolto nel giro di pochi secondi, il rumore degli spari attutito dai silenziatori.

La fuga dei brigatisti

I tre brigatisti scappano risalendo di corsa la vecchia creuza: due di loro vengono visti fuggire in sella a una Vespa rossa che sarà ritrovata qualche ora dopo in via Napoli, dell’altro nessuno sa dire come si sia allontanato. Contemporaneamente, in via Balbi si sta compiendo la seconda parte della mattanza. Due uomini, fermi sino a quel momento a parlottare sotto l’insegna dell’Hotel Milano-Terminus, attraversano la strada e si avvicinano alla Fiat 132 con a bordo Deiana.

Uno dei due ha con sé una borsa nera dalla quale, raggiunto il finestrino dell’auto, estrae una pistola. L’appuntato dei carabinieri non ha neppure il tempo di capire che sta succedendo: muore sul colpo, raggiunto da una scarica di proiettili, tre alla testa, quattro alla schiena. La coppia di brigatisti fugge risalendo via Balbi in direzione della stazione Principe. La tragedia si è compiuta. I cinque brigatisti svaniscono nel nulla. Sulla loro identità, come detto, non v’è fino ad ora alcuna certezza processuale.

FONTE IL SECOLO XIX, 4 giugno 2016. Per lo speciale dedicato dal quotidiano genovese al 40ennale dell’omicidio leggi qui.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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