7 aprile 1977: una bomba distrugge studio privato di Francesco Cossiga

Un altro attacco alle istituzioni dello Stato, questa volta con una bomba ad alto potenziale: pochi minuti prima delle 12 un boato sordo, una pioggia di vetri, fumo. Il luogo dell’attentato è lo studio privato del ministro dell’Interno, Francesco Cossiga al numero 69 di via San Claudio, dietro piazza San Sii vetro, pochi metri in linea d’aria dalla redazione romana de «La Stampa». Il terrorista aveva piazzato una bomba al terzo piano del palazzotto da poco restaurato, poggiandola sullo stipite destro della porta dell’ufficio di Cossiga. Al momento dell’esplosione nello studio c’era un agente di polizia e una segretaria. Nessuno dei due è rimasto ferito. I danni sono rilevanti: le tre porte del terzo piano sono state sventrate dallo spostamento d’aria; sono crollati intonaci e tutti i vetri si sono polverizzati.

Francesco Cossiga al momento dell’attentato era a Palazzo Chigi: partecipava coi suoi colleghi alla riunione del Consiglio dei ministri. Subito dopo l’esplosione un passante è accorso in direzione del portone di via San Claudio, ma è stato fermato dal fumo denso che usciva dalle finestre. Due giovani, che scaricavano merce da un pulmino, sono risaliti velocemente sull’automezzo e sono fuggiti precipitosamente. In un attimo è scattato l’allarme: decine di volanti e di pantere hanno accerchiato la zona; sono intervenuti i pompieri perché sì temeva un incendio. Quando i primi soccorritori sono arrivati al terzo piano hanno visto l’agente di polizia, Silvio Boccata, impietrito dallo choc, con la pistola spianata.

Nel palazzo non ci sono solo uffici. Due inquilini, usciti per le spese, sono tornati di corsa a casa urlando ognuno il nome dei loro congiunti. Poi si sono abbracciati, visto lo scampato pericolo. La guardia Boccata si è salvata perché era seduta in una stanza lontana dalla porta e con le finestre aperte. Cominciano le indagini, si raccolgono le testimonianze. Gli esperti artificieri non hanno dubbi: mezzo chilo circa di polvere nera da mina, collegato a una miccia a lenta combustione. Della bomba nessuna traccia, neppure l’involucro. Al numero 69 di via S. Claudio avevano suonato diverse persone: un’ora prima dell’attentato era passato il prete, accompagnato dal chierichetto, per la benedizione pasquale. Alle 11,30 circa è salito il postino che non ha visto nulla di anormale. Le stesse dichiarazioni ha reso il portiere del complesso, che controlla anche il portone di largo Chigi 9. Ci sono infatti una serie di porte comunicanti tra i palazzi che si affacciano verso il Tritone e via San Claudio.

Accanto al portone dello stabile dov’è lo studio di Cossiga c’è un barbiere, poi una boutique e un altro ingresso. Da quest’ultima porta si può accedere al numero 69. Nessuna persona sospetta, Non ci sono testimonianze. L’attentatore aveva a disposizione più strade per raggiungere lo studio di Cossiga, già visitato altre due volte da anonimi scassinatori (ma nulla era stato asportato o manomesso). Sulla base dì una ricostruzione approssimativa la polizia pensa che il terrorista (e eventuali complici) abbia agito tra le 11,45 e le 11,50. Una persona quindi che sapeva perfettamente dove andare e come dirigersi nel piccolo labirinto di porte. Per i dirigenti della polizia, dei servizi di sicurezza e dei carabinieri è impossibile dare una matrice e una firma sicura all’attentato. C’è stata una telefonata: una voce di donna, a nome dei Nap, ha detto che erano stati loro cosi come opera loro era il rapimento di Guido De Martino a Napoli. La comunicazione si è conclusa con la promessa di un ulteriore messaggio da trovare nella solita cabina telefonica.

Da Milano, in un messaggio di «Ordine Nero» che rivendica il rapimento di Guido De Martino, l’anonimo telefonista si è assunto la paternità dell’attentato allo studio di Cossiga. «Se diamo peso a tutte le telefonate che arrivano — dicono all’ufficio politico — perdiamo tempo e basta». Certo è che le centrali della provocazione e del terrorismo stanno puntando ora ad accrescere il clima di tensione già alto. E’ collegabile quest’ultimo episodio al rapimento di De Martino e alla bomba (ad alto potenziale) esplosa la notte scorsa davanti al carcere di Regina Coeli? Difficile rispondere. Sembra però che la bomba all’ufficio di Cossiga, verso mezzogiorno, in pieno centro della città, sia qualcosa di più di una minaccia e di un «avvertimento».

Francesco Cossiga ha voluto sminuire la portata dell’episodio. Coi giornalisti ha avuto uno scambio di battute, uscendo da Palazzo Chigi: ha detto di dispiacersi per i danni subiti dai coinquilini di una persona così «scomoda»; ha affermato che questi modi non servono certo a intimorirlo; ha aggiunto che in questo momento ci sono fatti ben più gravi a cui guardare. Nel primo pomeriggio, mentre ancora via San Claudio era presidiata dai carabinieri e dalla polizia, i passanti hanno riconosciuto Cossiga che, a piedi, conversava con un amico, protetto a distanza da due guardie del corpo, passeggiando poco lontano dal punto dove era esplosa la bomba. Fabrizio Carbone Roma. Il ministro dell’Interno, Cossiga, durante la conferenza stampa rilasciata dopo l’attentato al suo studio

FONTE: La Stampa, 8 aprile 1977

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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