Bologna, 11.3.77: carabiniere uccide Francesco Lorusso

Una fotografia di Francesco Lorusso e accuse ai carabinieri su Lotta continua

Verso le ore 13 di venerdì 11 marzo 1977, Pier Francesco Lorusso venne ucciso in via Mascarella, una strada del centro di Bologna. Studente universitario di Medicina, già membro del servizio d’ordine di Lotta continua, Lorusso morì a 25 anni, colpito da un proiettile sparato da un uomo delle forze dell’ordine.

Nella zona erano in corso violenti scontri: un contingente di poliziotti e carabinieri stava affrontando militanti del “movimento”, composita galassia della contestazione giovanile e della cultura alternativa che in tutta Italia mobilitava studenti, lavoratori precari e attivisti della sinistra extraparlamentare.

Pochi istanti prima di essere ferito a morte, Lorusso aveva lanciato una bottiglia molotov contro un automezzo dei carabinieri in transito su via Irnerio, importante arteria ai margini della cittadella universitaria.

La sua uccisione esasperò gli animi di amici e compagni di militanza, gli scontri con le forze dell’ordine si propagarono nel centro cittadino, di nuovo si sparò ad altezza d’uomo e solo dopo diversi giorni vissuti in un clima di stato di assedio tornò la calma. Nel frattempo però si era aperta una profonda ferita politica e generazionale, non solo nella comunità bolognese: i fatti dell’11 marzo ebbero un impatto decisivo sulle scelte di tanti giovani della sinistra rivoluzionaria, divisero l’opinione pubblica, il panorama politico locale e nazionale.

L’assemblea di CL all’Università

La sequenza di avvenimenti che portò all’uccisione di Lorusso si svolse nel reticolo di strade delimitato da via Irnerio, via Zamboni e via Mascarella, una parte importante della zona univesitaria cittadina. Alle ore 10 di venerdì 11 marzo, alcune centinaia di studenti e docenti vicini al movimento cattolico Comunione e liberazione (CL) si riunirono per discutere sulla crisi dell’università e sui temi della condizione giovanile in un’aula dell’Istituto universitario di Anatomia in via Irnerio.

La fruibilità degli spazi e il diritto di parola erano spesso oggetto di contesa durante le occupazioni delle facoltà, gli esponenti di CL intervenuti in passato nelle assemblee studentesche spesso venivano zittiti o cacciati dai giovani di estrema sinistra. Alcuni studenti di CL approntarono così un servizio d’ordine a protezione del loro incontro. Secondo alcune versioni, un piccolo gruppo di giovani di estrema sinistra tentò di entrare nell’aula e venne respinto; altri raccontarono che alcuni contestatori, dopo essere stati cacciati dall’aula, chiamarono rinforzi. 

La risposta dei compagni

La notizia della rissa, in ogni caso, giunse alle orecchie di studenti ed extraparlamentari del movimento che da via Zamboni e piazza Verdi, raggiunsero in gran numero l’Istituto di Anatomia. Occupato il cortile esterno, strinsero d’assedio l’edificio, lanciando insulti e minacce agli studenti di CL che si barricarono nell’aula, chiamarono la polizia e fecero avvertire telefonicamente anche il rettore Carlo Rizzoli.

Quest’ultimo fece giungere notizie allarmanti al questore Gennaro Palma che, d’intesa con il prefetto, decise di inviare in via Irnerio un contingente composto da carabinieri e da un reparto della celere. Funzionari dell’ufficio politico della questura giunti rapidamente sul posto avviarono un dialogo con i giovani del movimento, l’obiettivo era calmare gli animi, far allontanare gli assedianti verso porta Zamboni e permettere così il deflusso degli studenti di CL in direzione opposta. Durante le trattative arrivò l’autocolonna delle forze dell’ordine, gli uomini della celere rimasero in attesa sui mezzi, un gruppo di agenti, invece, a piedi si avvicinò al cortile per formare un cordone di sicurezza.

L’intervento a freddo della polizia

Alcune studentesse iniziarono a uscire dall’aula di Anatomia, ma proprio quando la tensione sembrava sul punto di sciogliersi scoppiarono violenti tafferugli: gli agenti della celere lanciarono una carica improvvisa colpendo con i manganelli i giovani del movimento che stazionavano ancora nei paraggi del cortile, studenti e militanti di estrema sinistra risposero lanciando sanpietrini mentre ripiegavano verso porta Zamboni, altri armati di bastoni andarono allo scontro. Le forze dell’ordine sgombrarono definitivamente la zona sparando decine di candelotti lacrimogeni in tutte le direzioni. Tra scene di panico e nella concitazione generale, tutti gli studenti di CL riuscirono ad allontanarsi, dirigendosi velocemente verso piazza VIII agosto.

Nel frattempo alcuni giovani del movimento si preparavano al contrattacco negli edifici universitari occupati tra piazza Verdi e via Zamboni. Si rifornirono di bottiglie molotov, preparate e nascoste nei giorni precedenti in vista di una manifestazione convocata per il 12 marzo a Roma. Un gruppo imboccò via Bertoloni e arrivò all’incrocio con via Irnerio invasa dal fumo, lanciò pietre e bottiglie incendiarie verso uomini e automezzi di carabinieri e polizia, quindi arretrò immediatamente inseguito dal lancio di altri lacrimogeni.

Barricate nella zona universitaria, 11 marzo 1977

Barricate nella zona universitaria, 11 marzo 1977

I carabinieri sparano ad altezza d’uomo

Massimo Tramontani, giovane carabiniere di leva, era giunto in zona alla guida di un camion dell’Arma e attendeva ordini dai superiori accanto al mezzo parcheggiato nei pressi dell’incrocio tra via Irnerio e via Centotrecento, strada parallela a via Bertoloni. Dopo aver schivato alcuni sassi lanciati dagli extraparlamentari, decise di reagire sparando con il suo fucile. Anni dopo, Tramontani ha ricostruito così quei momenti: «Sono mascherati e lanciano cubetti di porfido, io e due poliziotti facciamo salti per schivarli, poi loro provano a lanciare un lacrimogeno ma cade quattro metri davanti, gli studenti incoraggiati da questa figuraccia avanzano e continuano a lanciare. Sono molti, io sono solo, dov’è il capitano? mi chiedo, decido di reagire, sparo in aria col winchester. Ripeto: in aria […], voglio solo spaventare, infatti scappano»  

Nessuno rimase ferito, i proiettili andarono a vuoto, ma secondo Raffaele Bertoncelli, ex di Lotta continua presente nel drappello che attaccò da via Bertoloni, «mentre noi scappavamo, i carabinieri ci sparano colpi di fucile ad altezza d’uomo»  Le molotov danneggiarono due automobili, una delle quali in dotazione alla polizia.

Il contingente delle forze dell’ordine, ritenendo risolta la situazione nei pressi dell’Istituto di Anatomia, iniziò a ritirarsi percorrendo via Irnerio in direzione di piazza VIII agosto, dove era in corso l’affollato mercato settimanale di Bologna, la “Piazzola”.

Mentre lo spostamento degli automezzi procedeva a rilento, poliziotti e carabinieri che seguivano a piedi notarono in via Centotrecento i movimenti di numerosi giovani e, temendo un nuovo attacco, li dispersero lanciando altri lacrimogeni. La seconda incursione contro le forze dell’ordine, tuttavia, si materializzò subito dopo nella strada parallela, via Mascarella, cogliendo di sorpresa l’autocolonna degli agenti, rimasta priva di buona parte della scorta appiedata.

Lorusso lancia una molotov

Francesco Lorusso era nel gruppo di studenti ed extraparlamentari che, con cubetti di porfido e bottiglie incendiarie, si avvicinò di corsa all’intersezione con via Irnerio. Dopo una mattinata passata a studiare in casa di un amico, aveva raggiunto la zona universitaria e qui, saputo delle cariche e degli scontri davanti all’Istituto di Anatomia, si era unito ai compagni di militanza che intendevano reagire  Giunti al termine del portico di via Mascarella, alcuni tirarono sassi verso automobili e camion delle forze dell’ordine; Lorusso e il suo amico Beppe Ramina, invece, lanciarono due molotov: la prima si schiantò in mezzo alla carreggiata, l’altra colpì la portiera del camion condotto da Massimo Tramontani, causando un principio d’incendio all’altezza della cabina di guida. Terminato il blitz, Lorusso e gli altri extraparlamentari si diedero alla fuga sotto i portici di via Mascarella con l’intento di raggiungere via Belle Arti.

Tramontani: ho sparato sui muri

Mentre alcuni agenti e un giornalista si adoperavano per domare le fiamme sul suo mezzo, Tramontani scese dal posto di guida, si portò al centro di via Irnerio e aprì il fuoco con la sua pistola Beretta calibro 9 in direzione dei portici di via Mascarella: «Scendo con la pistola e faccio fuoco verso i dimostranti. Ma senza l’intenzione di uccidere. […] Non voglio uccidere, dico, li voglio spaventare di più, visto che sparare in aria non serve. Sparo dove vedo che non c’è nessuno, verso i muri», dichiarò a «Repubblica» nel 1997 

Esplose sei colpi, era la seconda volta che sparava quella mattina. Un proiettile raggiunse Lorusso e lo trapassò trasversalmente. Penetrò nella regione anteriore sinistra del torace per uscire dalla schiena, nella parte posteriore dell’emitorace destro. Probabilmente, mentre fuggiva, aveva voltato la testa per guardare cosa succedeva alle sue spalle. Riuscì a fare ancora qualche passo in direzione opposta, quindi cadde all’altezza del civico 37 di via Mascarella. Morì in pochi istanti.

Gli altri extraparlamentari fermarono la loro fuga e si avvicinarono nel vano tentativo di soccorrerlo. Alcuni trascinarono il corpo verso via Belle Arti e chiesero aiuto ai negozianti e a un automobilista di passaggio per organizzare il trasporto al pronto soccorso. Poliziotti, carabinieri e lo stesso Tramontani non si occuparono di verificare le conseguenze degli spari e, ignorando l’accaduto, ripresero la marcia verso piazza VIII agosto, allontanandosi definitivamente dai luoghi degli scontri.

La notizia da Radio Alice

Dopo minuti concitati, un’ambulanza entrò contromano in via Mascarella da via Irnerio, il corpo di Lorusso venne caricato a bordo e portato all’ospedale Sant’Orsola, ma ai medici non restò che certificare la morte del giovane. La notizia si diffuse rapidamente: Radio Alice, emittente vicina al movimento bolognese, la diede già alle 13.30. Piazza Verdi e le vie limitrofe, nel cuore della zona universitaria, si riempirono rapidamente di militanti della sinistra extraparlamentare e di amici di Lorusso, accomunati dalla rabbia e dall’esasperazione. I giovani attribuirono la responsabilità politica dell’uccisione di Lorusso alla Democrazia cristiana, maggiore partito dell’area governativa, e al suo esponente Francesco Cossiga, ministro degli Interni.

Manifestazione per Lorusso, 16 marzo 1977

Il corteo, la guerriglia urbana

Così, verso le 17, un corteo composto da migliaia di giovani del movimento risalì via Zamboni per attraversare il centro di Bologna e raggiungere la sede provinciale della Democrazia cristiana in via San Gervasio, dove militanti e componenti dei servizi d’ordine intendevano portare l’assalto con molotov, pietre e spranghe. Alcuni avevano con sé armi da fuoco. Durante il tragitto venne sfiorato lo scontro fisico con militanti del Partito comunista posti a presidio del Sacrario dei caduti partigiani e della sede comunale di Palazzo D’Accursio, vetrine e automobili furono distrutte, fino all’impatto con il contingente delle forze dell’ordine davanti alla sede della Dc.

La folla di giovani, respinta a fatica, si divise in vari tronconi e accese focolai di guerriglia urbana in vari punti della città, contrastata dai lanci di lacrimogeni. Alla stazione ferroviaria vi fu un prolungato conflitto a fuoco con agenti di polizia. Infine, a sera, studenti ed extraparlamentari si radunarono nella zona universitaria dopo aver innalzato barricate.

fonte: Luca Pastore, La diga civile

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.