3.3.47 Nasce Franco Giuseppucci, unico capo della Magliana

Franco Giuseppucci, alias il fornaretto e poi er negro, ‘il Libanese’ per il grande pubblico televisivo, è nato a Roma il 3 marzo1947 ed è stato ucciso a 33 anni, il 13 settembre 1980 per un debito di gioco non onorato con l’esponente di un clan avversario. Qui ne ricostruiamo l’ascesa attingendo al testo di Giovanni Bianconi, la prima storia della banda della Magliana. Siamo in molti a pensare che l’unico vero capo che emergesse da una leadership abbastanza ampia e articolate fosse proprio lui

Il sequestro

A Roma, «don Massimiliano» era l’ottavo ostaggio preso dall’inizio dell’anno, ma la banda che l’aveva portato via la sera del 7 novembre non era composta da «professionisti». Idea il sequestro un certo Franco Giuseppucci, trentenne segnalato più volte dalla polizia per rapine e detenzione di armi. A quel tempo i suoi amici di Trastevere, di Testaccio e della Magliana gli avevano già cambiato soprannome: prima era «il fornaretto», poi era diventato «er negro» a causa del colorito scuro della pelle.

Oltre a compiere rapine e a commerciare armi, Giuseppucci faceva il «buttafuori» in una sala corse dalle parti di Ostia, gestita da un certo Enrico, uno che frequentava i giovani fascisti figli della Roma bene, i «pariolini» con capelli corti e scarpe a punta, giacconi paramilitari e passione sfrenata per le armi. Attraverso il giro dei possessori di macchine fuoristrada, ancora ristretto nel 1977, Enrico aveva conosciuto ed era diventato amico di Giulio Grazioli, figlio del duca Massimiliano. Le informazioni necessarie per il sequestro, dalle abitudini del futuro ostaggio alle sue possibilità economiche, venivano proprio da lì.

Il racconto di Abbatino

Uno della banda messa insieme da Giuseppucci, Maurizio Abbatino, all’epoca ventitreenne, racconterà ai giudici: «Si trattava di un salto di qualità rispetto alle rapine che sino a quel momento costituivano la nostra principale attività. Ovviamente un sequestro di persona richiedeva una maggiore organizzazione sia logistica che di impegno personale. Pertanto, mentre iniziavano i pedinamenti del sequestrando, prendemmo anche contatto, da un lato, con Giorgio Paradisi, il quale conosceva il Giuseppucci a ragione della comune passione per i cavalli e frequentazione di ippodromi, sale corse e bische, nonché con altra persona che faceva il ricettatore, conosciuta da Paradisi; dall’altro lato con una banda di Montespaccato, della quale ricordo facevano parte Antonio Montegrande, siciliano, Stefano Tobia, tale Angelo detto anche “faccia d’angelo” e un cognato di quest’ultimo».

Tra queste persone, la divisione dei compiti era precisa. Continua Abbatino: «Io, Giuseppucci, Piconi, Castelletti, Danesi, Enzo Mastropietro, Paradisi e “Bobo” dovevamo curare e curammo le fasi preparatorie del sequestro, nel corso delle quali si unì a noi anche Marcello Colafigli, conosciuto dal Giuseppucci, che procurò il cloroformio utilizzato per il rapimento. Il ricettatore amico di Paradisi doveva tenere, come in effetti tenne, i contatti con la famiglia del Grazioli. Quelli di Montespaccato dovevano custodire, come in effetti fecero, per qualche tempo l’ostaggio».

La nascita della banda

Promotore delle iniziative e anima della banda che stava nascendo era Franco Giuseppucci, «er negro» che da tempo si muoveva tra rapinatori e ricettatori della capitale, uno che intimidiva solo a guardarlo, occhi e sopracciglia spioventi, collo taurino. La prima denuncia a suo carico risaliva al 1974, per detenzione e porto illegale di pistola.

Nel 1976 i carabinieri della compagnia Trastevere scoprirono una roulotte, appartenente a Giuseppucci e parcheggiata al Gianicolo, piena di armi. «Er negro» fu arrestato, ma dopo qualche settimana uscì di galera: la roulotte aveva un vetro rotto e Giuseppucci sostenne che delle armi che c’erano dentro lui non sapeva niente, evidentemente ce le aveva messe qualcun altro, forse la persona che aveva rotto il vetro. Fu creduto e scarcerato.

Un’altra storia di armi

Un’altra storia di armi, poco tempo dopo, mise in contatto «er negro» con Abbatino e gli altri della Magliana che più tardi avrebbero sequestrato il duca Grazioli. Giuseppucci «lavorava» con Enrico De Pedis, chiamato «Renatino», uno di Testaccio che era già stato in carcere diverse volte per rapina. Mentre De Pedis si trovava in galera «er negro» doveva custodirgli i «ferri del mestiere», e dopo la scoperta della roulotte al Gianicolo teneva un borsone con pistole, fucili e munizioni nel suo «Maggiolone» Volkswagen.

Un giorno si fermò al bar davanti al cinema Vittoria, a Testaccio, per bere qualcosa, e lasciò l’auto con le chiavi inserite. «Er negro» non era certo l’unico malvivente in giro per il quartiere, e un malavitoso della zona, «Paperino», non si fece sfuggire l’occasione: adocchiata la Volkswagen con le chiavi nel quadro, salì a bordo e si dileguò. Appena si accorse del bottino che c’era su quella macchina «Paperino» provò a combinare quello che certamente sarebbe stato un affare, arrivò al Trullo e vendette le armi a un rapinatore che conosceva, al prezzo di due milioni.

Giuseppucci non ci mise molto a sapere che fine aveva fatto la sua macchina, e il giorno stesso si presentò dal rapinatore che aveva comprato pistole e fucili per riaverli indietro. Il nome di Enrico De Pedis, conosciuto anche al Trullo, fece sì che tutto si risolvesse senza incidenti, e che il «negro» si unisse al gruppo del rapinatore. Le deposizioni di Maurizio Abbatino, a quel tempo frequentatore dei rapinatori della Magliana, del Trullo e del Portuense, raccontano come nacque il nuovo sodalizio criminale

Il racconto del “sorcio”

[Racconta Fulvio Lucioli che] «a Roma era già operante un gruppo comprendente tra gli altri Giuseppucci e Abbatino, con i quali Toscano e Selis erano in rapporti di amicizia. Favorita da questi rapporti, vi fu una fusione tra il gruppo di Acilia e quello di Roma; Toscano, detenuto a Rebibbia, ne parlò con Lucioli, proponendogli di aderire alla nuova organizzazione che si occupava prevalentemente di rapine e traffico di stupefacenti, e riferendogli che, oltre a lui stesso, ne facevano già parte Giuseppucci e Selis come capi, e poi Abbatino, Colafigli, Mancone, Piconi, Danesi, Castelletti, Paradisi e Mastropietro. Lucioli accettò la proposta di Toscano, e sino alla scarcerazione ricevette tra le duecento e le trecentomila lire alla settimana, che venivano consegnate a sua madre da Abbatino, Piconi e altri.»

La banda ormai s’era allargata, e aveva deciso di avere campo libero su Roma. In pochi anni nuovi criminali, tutti ragazzi tra i venti e i trent’anni, entravano in scena. Erano «i romani», pronti a soppiantare le organizzazioni venute da fuori, come per esempio quella dei Marsigliesi, e a scendere in guerra contro chiunque si mettesse tra loro e il guadagno, il controllo del territorio e degli «affari», dalla droga alla gestione delle bische e delle scommesse clandestine. Uno dei soppiantati, Albert Bergamelli, gangster della generazione precedente ucciso nel carcere di Ascoli Piceno nell’agosto dell’83, membro del leggendario «clan delle 3 B» insieme a Jacques Berenguer e Maffeo Bellicini, li aveva bollati fin dalla loro apparizione con un certo disprezzo: «Sono solo dei borgatari, gente che agisce senza alcuna razionalità, senza una mente direttiva».

Fonte: Giovanni Bianconi, Ragazzi di malavita

Per approfondire

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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