E’ morto Franco Piperno, il più caro dei maestri

Franco Piperno in una lezione estemporanea di Fisica

E’ morto oggi Franco Piperno, il più caro e il più importante dei maestri di Josè e mio. Un compagno che è stato per sessant’anni, e lo resterà ancora, un punto di riferimento per la galassia operaista e autonoma. L’ho conosciuto per una comune disavventura, nei giorni del sequestro Moro, e avuto la gioia di condividere con lui uno dei giorni più straordinari e delle emozioni maggiori della mia vita. Ci conoscevamo appena ma la sua affettuosa generosità ha lasciato, anche in seguito, tracce profonde.

Dal ’68 a Potere operaio

Oreste Scalzone e Franco Piperno

Franco Piperno, calabrese, studia Fisica a Pisa, il primo polo universitario dove si diffondono le teorie operaiste di Raniero Panzieri e Mario Tronti. Nel ’68 è a Roma, già assistente universitario e intorno a lui si coagula un pezzo del neonato Movimento studentesco che avrà grande peso politico. Gli operaisti sono ben radicati a Lettere (con Oreste Scalzone e Luigi Rosati) ma anche a Ingegneria (con Lanfranco Pace) e daranno vita all’esperienza del settimanale “La classe“.

Questa componente sarà una delle più importanti nella fondazione di Potere operaio. Con i veneto-emiliani (di Toni Negri e Sergio Bologna) e i fiorentini (di Alberto Magnaghi e Michelangelo Caponnetto). Ben presto il gruppo sarà lacerato da uno scontro permanente. La narrazione giudiziaria lo ha fissato come battaglia tra leader: Piperno & Scalzone vs Negri. In realtà riproduceva la tensione permanente e la contraddizione che attraversa l’intera vicenda operaista tra organizzazione e spontaneità.

La rottura di Potop e il ritorno al Sud

Il tragico errore di Primavalle fa precipitare in modo irreparabile il confronto interno. Il convegno di Rosolina, nel giugno 1973 mette capo a una scissione del gruppo. Anche se era chiaro che quel gruppetto di militanti aveva agito contro l’organizzazione. Per lanciare la candidatura alla nascente colonna romana delle Brigate rosse. Negri coglie l’occasione per un duro attacco personale ai ‘romani’, che dal 1971 avevano conquistato la leadership su una linea “insurrezionale”. Far prevalere le esigenze dell’opportunità politica sul dovere etico della solidarietà militante colpirà duramente Piperno.
Intanto si è trasferito a Cosenza. Va a insegnare all’Università di Arcavacata. Il ritorno al Sud e ai suoi tempi e modi meridiani lo segnerà profondamente. Quel che resta di Potere operaio avvia il percorso di fondazione dei Comitati comunisti con gruppi di fuoriusciti di Lotta continua a Milano e a Sesto San Giovanni. Lui si defila da impegni organizzativi.

Franco Piperno e giorni di marzo

Sull’onda del movimento del ’77 è tra i promotori di “Metropoli”. Una rivista che doveva nascere come espressione dell’intera Autonomia e invece finirà schiacciata dall’ondata repressiva del 7 aprile. Inchiodata a un suo citatissimo e mal compreso aforisma sulla possibile formula alchemica della rivoluzione italiana

Coniugare la geometrica potenza dispiegata in via Fani con la terribile bellezza del 12 marzo


Intanto Piperno ha avuto modo di essere protagonista del più serio tentativo di salvare Aldo Moro e questa cosa gli procurerà al tempo stesso l’ostilità del partito della fermezza e delle Brigate rosse che lo considerano l’ispiratore della scissione di Valerio Morucci e Adriana Faranda, i leader della colonna romana che si oppongono all’esecuzione del leader dc.

Il 7 aprile e la galera

Latitante dopo il 7 aprile, riparerà in Francia e poi in Canada. E’ il primo, dalle colonne di l’Espresso, nella primavera del ’79, a lanciare la proposta di un’amnistia. Rientrato in Italia, si fa un po’ di carcere poi ritorna in Francia fino all’esito della vicenda giudiziaria (condanna a due anni) che evita ulteriore detenzione.

Il laboratorio cosentino con Franco Piperno

Eva Catizone e Nichi Vendola al corteo per Sud ribelle

Negli anni ’90 sposta la sua elaborazione sullo “spirito pubblico meridionale” e ha modo, grazie a quel genio situazionista di Giacomo Mancini, di coniugare teoria e prassi. Il vecchio leone socialista vince infatti le elezioni a sindaco contro il Pds e lo nomina in giunta, con la delega alla Cultura. Nel 2002, quando scatta a Cosenza il blitz giudiziario contro i no global di “Sud ribelle”, è da qualche mese sindaco Eva Catizone, che gli ha affidato anche la responsabilità della polizia locale:

Fu un’idea di Piperno cominciare il corteo da Vaglio Lise. Era l’unico ad avere esperienze in quel campo, così mi affidai a lui. Quel lungo tragitto avrebbe stancato i manifestanti abbassando il livello di tensione. Fece una certa impressione partire da un luogo che affacciava proprio sulla caserma dei carabinieri. Il corteo si muoveva pacifico e intanto da quei cancelli uscivano le forze dell’ordine in assetto antisommossa. Ricordo i fiori gettati dai balconi di piazza Europa, le signore su via della Repubblica che rifocillavano i manifestanti offrendo dolci e bibite. Era il modo della città di dire: non siamo come volete dipingerci.

Il planetario, l’ultimo sogno

Ci sono voluti altri quindici anni, e una giunta di centrodestra, perché finalmente si realizzasse il suo sogno di dotare Cosenza di un Planetario. Il professore Piperno è, infatti, tra le sue tante virtù, un appassionato e geniale divulgatore astronomico…

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 commento su “E’ morto Franco Piperno, il più caro dei maestri

  1. LEONARD PELTIER ESCE DAL CARCERE (AGLI ARRESTI DOMICILIARI) DOPO 49 ANNI

    Gianni Sartori

    Questione di pochi minuti e Leonard sarebbe rimasto a crepare in carcere. Poco prima dell’investitura di Donald Trump, Joe Biden ha compiuto una scelta se non esemplare per lo meno dignitosa.

    Commutando la pena all’ergastolo per l’ottantenne ex dirigente dell’AIM (American Indian Movement) e consentendogli gli arresti domiciliari.

    Afflitto da seri problemi di salute, per quanto non graziato, dopo 49 anni di carcere almeno potrà trascorrere il tempo che gli resta fuori dalle mura del carcere. Da Trump non avrebbe potuto aspettarsi nemmeno questo gesto minimo di compassione (se non di giustizia).

    Tra i principali esponenti del lungo assedio di Wounded Knee da parte dei nativi (1973), era stato accusato di aver preso parte all’uccisione di due agenti del FBI nella riserva di Pine Ridge nel 1975.

    Era il 27 febbraio del 1973 quando circa 200 militanti armati dell’AIM occupavano l’insediamento di Wounded Knee (luogo di un efferato massacro contro i Lakota Minneconjou nel 1890). Prendendo in un primo momento in ostaggio alcune persone (prontamente rilasciate) e chiedendo un’inchiesta sia sulla corrotta amministazione della riserva di Pine Ridge che sulla sistematica violazione dei trattati firmati dal governo statunitense con le popolazione native. Sul posto intervennero centinaia di poliziotii e circa duemila agenti del FBI, oltre a blindati ed elicotteri che posero il villaggio sotto assedio.

    Un po’ di Storia per comprendere la scelta del luogo, non certo casuale.

    Nel 1868 era stato firmato un accordo che “concedeva” ai Teton Sioux (termine di origine francese non gradito agli interessati, noti anche come Očhéthi Šakówiŋ o Lakota) una vasta riserva nelle Colline Nere (Pahá Sápa). Trattato infranto quanto prima, dopo la scoperta (forse solo un pretesto per occuparne ulteriormente le terre) di presunti giacimenti auriferi nella zona interessata. Nella disperata disgregazione culturale e sociale in cui versavano a causa delle innumerevoli sconfitte, i nativi si erano affidati a Wovoka, un “profeta” che annunciava, attraverso la “danza degli spiriti”, la resurrezzione dei guerrieri morti in battaglia e il ritorno delle mandrie dei bisonti. Ne seguì una crudele repressione in cui venne assassinato anche il capo tradizionale dei Lakota Hunkpapa Toro Seduto (Tatanka Yotanka, con Tȟašúŋke Witkó uno dei vincitori nella battaglia del Little Bighorn).

    Temendo di venir rinchiusi o uccisi, circa 400 indiani si rifugiarono nell’accampamento di Big Foot (Heȟáka Glešká) in un’altra riserva. Il 29 dicembre 1890 intervennero i vendicativi soldati del 7° cavalleria (quello di Custer, sconfitto e ucciso al Little Bighorn) e mentre si procedeva al disarmo dei fuggitivi un colpo partito forse casualmente (o forse no) scatenò il massacro. Ai fucili si aggiunsero le cannonate che bombardarono il villaggio massacrando donne e bambini. Le vittime accertate (indiani) furono circa 350.
    A questo episodio che segnava irrimediabilmente la fine della resistenza indiana (nel 1886 si erano arresi anche gli apache Geronimo e Mangus, il figlio di Mangas Coloradas) si vollero richiamare gli aderenti all’AIM quando occuparono Wounded Knee. Un’azione eclatante che veniva dopo l’occupazione di Alcatraz nel 1969, del monte Rushmore nel 1970 e dell’Ufficio degli affari indiani a Washington nel 1972.

    Nei giorni successivi, ai primi di marzo, molte persone raggiunsero gli occupanti (portando viveri e altri beni di prima necessità) e Wounded Knee venne dichiarato territorio indipendente. Vennero organizzate mense comunitarie, servizi sanitari e un piccolo ospedale. Nei settanta giorni dell’assedio si registrarono isolati colpi di fucile e almeno due militanti indigeni persero la vita. Tra la polizia alcuni feriti, di cui uno soltanto gravemente.

    Alla fine agli occupanti venne garantito che il governo avrebbe esaminato le loro richieste (in merito alla violazione dei trattati, alla corruzione del Consiglio tribale collaborazionista…), ma dovevano deporre le armi ed evacuare dal luogo. L’occupazione si concluse l’8 maggio 1973 quando, col favore delle tenebre, i militanti si dispersero senza farsi arrestare.

    In realtà le condizioni a Pine Ridge non cambiarono nei mesi e anni successivi e l’inchiesta stessa finì nel dimenticatoio. E naturalmente i trattati del 1868 non vennero mai rinegoziati come richiesto.

    Si scatenò invece una vera “guerra sporca” contro i militanti dell’AIM, molti dei quali vennero arrestati, assassinati (almeno sette in due anni) o morirono in incidenti sospetti (inevitabile l’analogia con quanto accadde alle Black Panthers). Tanto che alcuni preferirono fuggire altrove, per esempio in Canada.
    In questo clima di generale repressione, Peltier venne arrestato e condannato per l’omicidio di due agenti del FBI il 25 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge. Al processo i suoi avvocati subirono pesanti limitazioni e venne impedita la presentazione di testimoni a sua difesa. Ancora oggi oltre 140mila pagine del “dossier Peltier” rimangono inacessibili (anche agli avvocati) per ragioni di “sicurezza nazionale”.

    Gianni Sartori

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