30 marzo 1987, muore Giacomo “Lupo” Cattaneo, partigiano brigatista

"Lupo" Cattaneo punta la pistola in faccia a Idalgo Macchiarini

Ci sono epoche in cui la vita di un uomo vale più della vita di tutti quelli che l’hanno preceduto e di quelli che, per ignoranza o viltà, non hanno voluto condividerla. La vita del comunista rivoluzionario Giacomo Cattaneo è una di queste.

Si conclude con toni solenni il capitolo che Manolo Morlacchi in “La fuga in avanti” ha dedicato a “Lupo” Cattaneo, uno dei pochi partigiani che entra nelle Brigate rosse all’inizio degli anni 70. I legami tra le due famiglie, come si vedrà nel racconto, sono intensi. Lo conferma il fatto che la prefazione del volume della Cox18 Books, la casa editrice del Conchetta, è firmata da Cecco Cattaneo, il figlio di “Lupo”. Anche lui per due volte venne arrestato e scarcerato come fiancheggiatore delle Brigate Rosse

Un ricordo lontano

Esistono persone che per me sono poco più che un lontano ricordo, persone con le quali ho passato alcuni momenti dei miei primi anni di vita e che poi, per mille vicissitudini, non ho più incontrato. Ma il loro ricordo, seppur lontano, è rimasto indelebile. Una di queste persone è senza dubbio Giacomo Cattaneo.

Giacomo Cattaneo è stato uno dei due o tre ex partigiani che, agli albori della lotta armata, entrarono a far parte delle Brigate Rosse. Era originario del lodigiano; viveva a Santo Stefano, che allora si trovava ancora in provincia di Milano. In quella zona, come al Giambellino, numerosi erano i compagni che militavano fuori dalle sezioni del Pci. Giacomo nel Partito comunista aveva militato a lungo. Era stato partigiano e aveva combattuto nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Dopo la guerra si era iscritto al Partito e aveva iniziato la sua lunga militanza. Nel 1967 lasciò il Pci e non vi fece più ritorno.

Tra Giambellino e Lodigiano

Alcuni compagni lodigiani lavoravano all’“Unità”; fu proprio in quella sede che conobbero i miei zii, Adriano e Antonio. Fecero amicizia. I lodigiani scoprirono quello che stava accadendo al Giambellino: la rottura con il Pci, la nascita del gruppo “Luglio ’60”, il viaggio in Cina da Mao ecc. La realtà che sembrava sorgere al Giambellino riproduceva le stesse dinamiche umane e politiche vissute anche in un piccolo centro come Santo Stefano. Non ci volle molto tempo affinché i due gruppi iniziassero a frequentarsi: la famiglia Cattaneo e la famiglia Morlacchi presero a vedersi con regolarità durante i fine settimana, i miei genitori si legarono molto a Giacomo e alla sua famiglia. Nutrivano un profondo rispetto e una fiducia incondizionata per quell’uomo. Tutti insieme spesso partivamo la domenica per passare la giornata in qualche trattoria del piacentino.

Le tavolate nel Piacentino

A Tollara, vicino all’aeroporto militare di San Giorgio Piacentino, c’era una trattoria che ancora oggi è aperta; divenne un ritrovo abituale. Le tavolate erano animate, il vino e le discussioni scorrevano abbondanti. La strada del ritorno era sempre più tortuosa di quella dell’andata: curve, campi, alberi, trattori comparivano come d’improvviso quando si trattava di fare il percorso verso casa alla sera.

Una volta capitò che la macchina di mio padre forasse una gomma. Per non so quale ragione, Pierino non volle rendere partecipi del problema gli altri passeggeri. Giunti al ristorante invitò tutti a entrare e prendere posto, spiegando che si sarebbe assentato per qualche minuto. Passò del tempo prima che qualcuno si domandasse che fine avesse fatto. Ormai esausto, Pierino era al parcheggio che cercava con tutte le sue forze di bloccare la sua enorme Volvo che scendeva lungo il vialetto: aveva avuto la bella pensata di sollevare la macchina con il cric in discesa, senza prima bloccare le ruote con il freno a mano.

Il sequestro Macchiarini

Giacomo Cattaneo, detto “Lupo”, partecipò ad alcune delle prime azioni brigatiste. Fu tra i protagonisti del sequestro Macchiarini, per il quale finì in galera e non ne venne mai più fuori completamente. Nel corso di quel sequestro lampo, l’ingegner Macchiarini venne fotografato con una pistola puntata alla guancia, lo sguardo terrorizzato. I negativi di quelle fotografie, in cui compariva anche la figura del “Lupo”, finirono nelle mani della polizia dopo che venne scoperto il “covo” di via Boiardo. Il 13 maggio 1972, alla casa di Santo Stefano Lodigiano arrivarono i carabinieri che, con modi gentili, arrestarono Giacomo, suo figlio Cecco e mia madre, che proprio in quei giorni si trovava lì. “Lupo” rimase in carcere per dieci giorni, poi venne liberato. Passò un mese e i carabinieri tornarono. Questa volta i modi furono meno gentili.

Il secondo arresto

Alcuni compagni si erano accorti della presenza di posti di blocco sospetti sul ponte che portava a Santo Stefano. Quella sera mi trovavo a casa Cattaneo: dopo l’arresto di mia madre, avvenuto qualche giorno prima, ero rimasto a vivere da loro. Mio padre era clandestino, mia madre era a San Vittore e non era la prima volta che mi lasciavano con “Lupo” e i suoi figli: Graziella, Nuccia, Poldo, Cecco. Era come se fossi a casa mia.

Le volanti dei carabinieri arrivarono a forte velocità. Il rumore della frenata fu sentito da tutti. Il primo militare che fece irruzione in casa inciampò nel battente della porta e il suo mitra cadde di peso sul tavolo. Io mi trovavo in braccio al “Lupo”; entrarono gli altri carabinieri e mi strapparono dalle sue braccia per immobilizzarlo. Scoppiai in lacrime. Nuccia e Graziella iniziarono a urlare e inveire. Fu il caos. Nella casa c’era anche Giorgio, un nostro amico.

Il maresciallo Pagnozzi

Vide che sulla poltrona c’era la pistola giocattolo che qualcuno mi aveva regalato. Cercando di mantenere la calma e di non essere notato, si sedette sul gioco e rimase immobile nella speranza che i carabinieri non gli chiedessero di alzarsi: temeva che, vedendo nascosta sotto il sedere un’arma, i militari potessero perdere la testa come già era successo e come succederà altre volte. Arrivò anche lo zio di Graziella, che aveva un gesso che gli copriva, oltre il braccio, anche la spalla. Quando giunse alla casa, temette che nel buio i carabinieri confondessero la sua ingessatura per un mitra o chissà cos’altro, e urlò ai militari di non sparare, che non nascondeva nessuna arma.

Capo dell’operazione era il maresciallo Pagnozzi, implicato nella vicenda dell’uccisione di Pinelli. La casa venne messa a soqquadro, ma non venne trovato nulla: il “Lupo” aveva nascosto tutto per bene. Lo portarono via comunque. Quando passò davanti ai suoi figli, Graziella lo salutò: «Ciao papà. Ci vediamo presto!». Pagnozzi, gelido, la guardò e rispose: «Tuo padre lo rivedrai tra vent’anni!».

La foto, l’ammissione

Una volta in carcere, il magistrato fece vedere a “Lupo” le foto dove si distingueva la sua sagoma. Schiacciato dall’evidenza, si riconobbe. Graziella prese i contatti con l’Organizzazione chiedendo quali fossero, a quel punto, le indicazioni e come ci si dovesse comportare di fronte alle “autorità”. Nelle Br nessuno voleva ammettere di aver fatto una simile cazzata: fotografare un prigioniero inquadrando anche un guerrigliero. Fu una delle prime occasioni in cui si arrivò a sospettare la presenza di infiltrati all’interno dell’Organizzazione.

Venne fatto sapere a Graziella che “Lupo” doveva ritrattare, ma “Lupo” non ne voleva sapere. Aveva visto le foto. Sapeva che qualcuno aveva sbagliato e non era un pivello: sapeva a cosa andava incontro a causa di quell’errore. Alla fine disse a sua figlia che accettava le indicazioni dell’Organizzazione a condizione che venisse accertata l’esistenza o meno di quelle foto. Tutti, però, continuavano a negare.

Nessuno voleva prendersi la responsabilità di quanto era successo. Sarebbe stato come dire: «Sì, siamo stati dei coglioni e tuo padre è in galera per questa ragione». Graziella insistette a tal punto che, alla fine, la verità venne a galla: le foto esistevano. “Lupo” non cambiò per il resto della sua vita il giudizio su alcuni di quei compagni con cui aveva condiviso una “fiammata” rivoluzionaria.

L’appello di Soccorso rosso

Rimase in carcere per circa un anno. Venne selvaggiamente pestato e, anche a seguito delle lesioni riportate, si ammalò. Dovette essere operato, gli asportarono mezzo polmone. Il Soccorso Rosso Mlitante organizzò una campagna in suo favore:

PER LA LIBERAZIONE DEL COMPAGNO GIACOMO CATTANEO

Dal giugno ’72 il compagno Giacomo Cattaneo, che giovanissimo aveva militato nella Resistenza antifascista come partigiano di “Giustizia e Libertà”, è sequestrato in un carcere dello Stato italiano. È imputato di “costituzione di bande armate”, e in particolare di avere preso parte al sequestro di un dirigente della Sit-Siemens. Il suo arresto, che seguì a tutto un periodo di provocazioni della polizia nei suoi confronti, cioè nei confronti di un militante particolarmente attivo nel lodigiano, risale al periodo della grossolana montatura poliziesca sulle “Brigate Rosse”, il periodo che seguì la morte del compagno Feltrinelli e in cui polizia e magistratura si scatenarono in una vera e propria caccia al rosso.

Oggi, a distanza di alcuni mesi da quel periodo, la svolta a destra del governo si è ulteriormente accentuata. Il processo di fascistizzazione dello Stato, accompagnato da assassinii e operazioni antioperaie, va avanti. Il caso del compagno Cattaneo quindi non è e non resterà isolato. Attraverso montature come quella che lo colpisce passa tut- ta una linea politica della borghesia italiana, linea di attacco antiope- raio che solo la lotta di massa cosciente e organizzata potrà mandare in pezzi.

Il compagno Cattaneo è sequestrato. Rinchiuso in cella di isolamento per lunghi periodi, si è gravemente ammalato ai polmoni. L’hanno fatto ammalare gettandogli addosso secchiate d’acqua gelata e lasciandolo per giorni interi in queste condizioni. Tanto che oggi il compagno è ricoverato nell’infermeria di San Vittore. Non solo. Per disposizione del ministero di Grazia e Giustizia (disposizione illegale anche dal punto di vista del regolamento carcerario fascista) gli vengono bloccati i vaglia di “soccorso rosso” che molti compagni gli inviano! Questo per rendergli ancora più pesante la persecuzione di cui è vittima.
Dobbiamo strapparlo dalle mani dei suoi persecutori!

Vincere questa battaglia, imponendo la sua scarcerazione, significherà avere realizzato un momento importante di lotta contro lo “Stato della strage”, per la nostra liberazione dall’oppressione della borghesia e del suo Stato!
LIBERIAMO CATTANEO E TUTTI I COMPAGNI INCARCERATI!

Il processo doppione

I suoi processi furono una farsa, non tanto per l’accusa e le prove a suo carico quanto per l’esito finale, che ha del grottesco: venne giudicato sia presso il tribunale di Torino sia presso quello di Milano, per il medesimo reato, e anche la condanna venne duplicata. Quattro anni a Torino e quattro a Milano, otto anni di galera in tutto. “Lupo” provò a sollevare la questione, ma un giudice accorto gli fece presente che non era il caso di andare in giro a raccontare la vicenda dei suoi due processi: avrebbe rischiato una nuova denuncia per oltraggio e un’ulteriore condanna.

Gli arresti a ripetizione

Anche a causa delle sue pessime condizioni di salute, venne poi scarcerato. Tra il 1982 e il 1983 venne nuovamente arrestato nell’ambito della nuova maxi inchiesta che lo vedeva indagato, insieme a centinaia di altri militanti, con l’accusa di «insurrezione armata con tro i poteri dello Stato». Rilasciato qualche mese dopo, lo arrestarono per l’ultima volta verso la fine del 1984.

Venne trattenuto nel carcere di Lodi fino a quando un capitano dei carabinieri, che odiava particolarmente i comunisti, gli comunicò il suo prossimo trasferimento presso un carcere distante centinaia di chilometri da casa. “Lupo” prese un pacchetto di sigarette e si mangiò l’intero contenuto. Il capitano andò su tutte le furie e minacciò pesantemente “Lupo”, ma dovette trasferirlo in ospedale. Alcuni mesi dopo venne rilasciato definitivamente. Il suo fisico era ormai provato. Nel 1986 ebbe il primo infarto, poi le sue condizioni peggiorarono rapidamente. Morì il 30 marzo 1987, a cinquantotto anni.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “30 marzo 1987, muore Giacomo “Lupo” Cattaneo, partigiano brigatista

  1. Moretti “dimenticò” le foto e i negativi che doveva bruciare. Far fuori i capi storici e far diventare le BR un burattino di Simioni era il suo gioco maledetto.

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