17 maggio 1973: l’anarchico Gianfranco Bertoli fa strage in Questura a Milano
E’ trascorso un anno dall’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, assassinato davanti alla sua abitazione. Nel cortile della questura di Milano, in via Fatebenefratelli, si è da poco conclusa una cerimonia in ricordo del funzionario. Vi ha partecipato il ministro dell’Interno Mariano Rumor. L’auto blu sta uscendo dal portone centrale. Un ordigno, scagliato da qualcuno nascosto tra la folla assiepata davanti all’edificio, semina il terrore: 4 morti e 52 feriti.
Uno spettacolo allucinante.
L’attentatore viene subito individuato. Gli agenti sottraggono a un tentativo di linciaggio e arrestano Gianfranco Bertoli. E’ un anarchico individualista veneziano, un dropout seguace delle teorie di Stirner. Per la gioia di pistaroli e negazionisti della “violenza rivoluzionaria” (quanti danni ha fatto quella terribile scemenza dell’: “un compagno non può averlo fatto”) risulta aver avuto contatti con alcuni neofascisti veneti. Sarà poi accusato di aver avuto rapporti con il Sifar, il servizio segreto militare dell’epoca. Bertoli, appena giunto in Italia, dopo un lungo soggiorno in un kibbutz in Israele, sarà condannato all’ergastolo con sentenza definitiva.
Il sostegno di Bonanno
In carcere, con il sostegno di Luciano Lanza e dei compagni del Centro studi libertari di Milano comincia a collaborare, con articoli apprezzati, ad A-Rivista anarchica. Le voci sulla collaborazione con i servizi (contro cui giungerà a tentare il suicidio con l’eroina) portano a una rottura. Continuerà invece a difenderlo Alfredo Mario Bonanno, il leader della corrente insurrezionalista, che alcuni anni dopo la morte di Bertoli, passato dall’alcolismo di gioventù alla tossicodipendenza, pubblicherà il loro intenso carteggio.
Il flop del processo a Ordine Nuovo
La vicenda della strage di via Fatebenfratelli avrà un imprevisto sviluppo processuale nella seconda metà degli anni Novanta. Finiscono alla sbarra per essere condannati in primo grado e poi assolti alcuni ordinovisti veneti, assieme ad un ufficiale con passioni golpiste. Amos Spiazzi si farà qualche anno di carcere per essere poi assolto per la Rosa dei Venti. Tra gli imputati anche un alto responsabile dei servizi segreti militari, il generale Maletti.
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