14 dicembre 1984, il giorno nero della guerriglia rossa: due morti, due feriti
Alla fine del 1984 la lotta armata è agli sgoccioli. Restano attivi in tutta Italia pochi decine di militanti delle Brigate rosse e qualche piccolo nucleo autonomo impegnato in attività di supporto. Eppure, per un’incredibile coincidenza, nello stesso giorno, il 14 dicembre 1984, due commandi entrano in azione per compiere rapine ed entrambe le azioni hanno esito disastroso e restano sul campo un morto e un ferito sia a Bologna sia a Roma. Un giorno maledetto, se si tiene conto che nel 1976 era morto in azione Martino Zicchitella e nel 1979 Roberto Pautasso
Bologna: uccisa Laura Bartolini
Dal sito Sebben che siamo donne
Il mare in tempesta scuote la vecchia barca in legno. Ondate gelide investono le quattro donne che sfidano la burrasca sedute sui copertoni. Direzione, l’isola Asinara. Un carcere infernale. Hanno ottenuto la piccola imbarcazione con una lunga trattativa. Erano rimaste bloccate a Porto Torres, per il guasto della motonave destinata ai familiari dei detenuti. Dopo aver attraversato l’Italia in treno per vedere i propri cari. Prigionieri politici. Le onde scuotono la barca, ci sono i primi malori. Laura canta, cerca di coinvolgere le altre. Quattro giorni di viaggio per due ore di colloquio. È l’11 ottobre 1980.
Laura Bartolini vive a Bologna, a meno di vent’anni già lavora. Dalla fine del 1974 gira le carceri d’Italia per incontrare il fratello, arrestato insieme ad altri giovani dell’area dell’Autonomia operaia. Prende contatti con l’Afadeco, l’Associazione familiari detenuti comunisti di Bologna. Madri, mogli, compagne, sorelle che attraversano l’Italia per un’ora di colloquio. Subiscono violenze, umiliazioni, perquisizioni intime. Imparano a resistere. Scontrarsi con la polizia. Una catena umana di solidarietà.
Laura ha un ruolo di collegamento fra i detenuti e i compagni all’esterno. Dal 1979 è un contatto delle Brigate rosse, ha rapporti con Barbagia rossa, gruppo armato che opera in Sardegna. Poi si avvicina a quella che la stampa chiama Cellula perfughese, o «banda dei sardi», che fa riferimento all’Autonomia operaia.
La mattina del 14 dicembre ’84 Laura e Lucia riescono a entrare in un laboratorio di gioielleria, in un palazzo vicino al centro di Bologna. Tirano fuori le pistole. Ferrari immobilizza Lucia, le spara due volte a bruciapelo. Ancora un colpo, e anche Laura cade. Un altro sparo a pochi centimetri dal petto la uccide. Lucia si salva. La comunicazione giudiziaria nei confronti del gioielliere non ha seguito.
Sui muri di Bologna compaiono un manifesto e alcune scritte. Laura è con noi. Pagherete caro, pagherete tutto.
P.S. Sulla morte di Laura la Repubblica ipotizza che sia stata uccisa a freddo dopo essere stata disarmata:
Anche la tragica rapina di Bologna, conclusasi con l’ uccisione di una rapinatrice, Laura Bartolini e il ferimento della complice, Lucia Franculacci, sarebbe opera di formazioni terroriste ma in questo caso gli investigatori sono molto cauti. Laura Bartolini, come è noto, era sorella di Claudio, condannato a 14 anni per l’ omicidio del brigadiere Lombardini (stessa vicenda per la quale è stato condannato Toni Negri); la giovane sembra fosse legata al gruppo dei detenuti di Palmi che parteciparono al delitto di Argelato. C’ è comunque da accertare le modalità della sua uccisione: il gioielliere, una volta disarmatala, l’ avrebbe trascinata dietro il bancone e poi, prendendo da un cassetto la pistola, le avrebbe sparato a bruciapelo.
La ferita: Lucia Franculacci
Già mentre le ambulanze partivano per l’ ospedale, gli uomini della Digos ripescavano negli archivi gli incartamenti del processo sul troncone bolognese di Prima Linea. A farli scattare era stato il cognome Franculacci, comparso più volte nell’ inchiesta prima di uscirne del tutto. Lucia e la sorella Pietrina prosciolte in istruttoria dall’ accusa dell’ associazione sovversiva; i due fratelli, Giancarlo e Salvatore, entrambi scagionati per insufficienza di prove.
Erano stati arrestati nel ‘ 78 in un blitz che doveva sgominare la cosiddetta “cellula perfughese”. Il gruppo sembrava essersi diviso fra episodi di delinquenza comune e politica. Rapine di pochi milioni in una cooperativa di facchini, attentati incendiari contro una scuola di dattilografia fino all’ assalto a una sede di un’ associazione di artigiani. Azioni compiute fra il novembre ‘ 77 e il maggio ‘ 78 rivendicate da sigle terroristiche come “Nuclei comunisti combattenti” e “Ronde proletarie”. L’ inchiesta però stabilì che la “cellula perfughese” non era un gruppo omogeneo.
Di Laura Bartolini, invece, gli inquirenti in questi anni non si sono mai interessati dal punto di vista giudiziario. Autonoma, in prima fila nelle manifestazioni degli anni di piombo, sembrava definitivamente uscita di scena. E’ ricomparsa ieri mattina nella sanguinosa rapina in un laboratorio al primo piano di un condominio di via Mazzini. Una rapina per autofinanziare la rinascita del partito armato? Gli inquirenti lo temono. Non a caso la collegano con un’ altro colpo avvenuto la settimana scorsa. Allora, nel mirino dei rapinatori finì un gioielliere a cui furono portati via preziosi per 80 milioni.
Roma, muore Antonio Gustini
Su Antonio Gustini c’è invece una bella testimonianza di Marco Clementi, lo storico che ha pubblicato una storia delle Brigate Rosse e ora sta lavorando alla trilogia con Paolo Persichetti ed Elisa Santalena di cui è uscito solo il primo volume.
Il primo nome ricordato oggi a Reggio Emilia durante i funerali di Prospero Gallinari è stato quello di Antonio Gustini, delle BR-Partito Comunista Combattente, morto durante uno scontro a fuoco nel dicembre 1984. Aveva 28 anni.
Conoscevo bene la sua famiglia. Tre fratelli, figli di un portiere di uno stabile, che con la portineria aveva avuto la casa. Vivevano a Roma, in zona Val Melaina. Ai suoi funerali c’erano solo gli amici dei fratelli e decine di poliziotti a fare foto e schedare. Uno dei fratelli, pochi anni dopo, entrò nel PCI (…)
Però del fratello conservava ogni ritaglio di giornale che lo riguardava.
Un giorno me li fece vedere. Stese sul tavolo la ricostruzione dell’assalto al portavalori, mi indicò la posizione di Antonio: era allo scoperto. In uno scontro a fuoco sarebbe stato un facile bersaglio. Perché?
Allora non seppi rispondere. Lo capii solo venti anni dopo. All’epoca le Br-PCC non erano più le Br, anche se i giornali non è che facessero questa distinzione (non la fanno neanche oggi). Era uno sparuto gruppo ridotto all’osso per militanza e finanziamenti. Quella rapina disperata, quell’esproprio, doveva servire a sostenere la lotta armata. Gli uomini però scarseggiavano e in quella rapina si mise in campo la poca forza di cui si disponeva. Senza un piano ragionato come in passato.
Per questo Antonio era lì. Allo scoperto. Come, del resto, tutti gli altri. (…)
Anche in questo caso per altre notizie ci appoggiamo a la Repubblica
La ferita: Cecilia Massari
E’ Cecilia Massara, 30 anni, nome di battaglia “Carla”, la brigatista rossa ferita e catturata nel corso dell’ assalto terrorista ad un furgone blindato dei “Metronotte”, avvenuto venerdì sera e in cui è rimasto ucciso un altro br, Antonio Gustini, 28 anni, da tempo ricercato. La giovane è accusata di numerosi omicidi: quello del capitano dei carabinieri Antonio Varisco, assassinato il 13 luglio 1979 a Roma, quello del giudice Girolamo Minervini, ucciso il 18 marzo 1980 su un autobus dell’ Atac, e quelli dei due agenti di Ps Pierino Ollanu e Antonio Mea colpiti a morte durante l’ assalto br al Comitato romano della Dc il 3 marzo del 1979.
Legata al brigatista rosso Bruno Seghetti, arrestato a Napoli, Cecilia Massara è stata incriminata anche per l’ incursione terroristica nell’ ufficio di collocamento romano di via Cesare Baronio, durante la quale venne ferito alle gambe il direttore. Il suo nome è comparso anche nell’ inchiesta “Moro Ter” e nelle indagini sull’ omicidio del direttore generale della Forza multinazionale di pace in Sinai, l’ ex generale Usa Leamon Hunt, avvenuto il 15 febbraio di quest’ anno.
La Massara aveva fatto parte, inoltre, del nucleo logistico delle Br, guidato da Prospero Gallinari e Anna Laura Braghetti, la brigatista nel cui appartamento sarebbe stato tenuto prigioniero Moro. La terrorista catturata venerdì era ricercata dal 1983, dopo che a Roma i carabinieri scopersero alcuni “covi”. Ieri, il giudice Sica ha tentato di interrogarla, ma la brigatista si è dichiarata “prigioniera politica militante delle Br”.
Il commando e l’azione
Il brigatista rimasto ucciso, invece, era entrato in clandestinità nell’ 82, dopo aver militato nella colonna umbra delle “Unità combattenti comuniste”. Gustini ha fatto parte della colonna logistica delle Br, poi della “Brigata ferrovieri” e solo recentemente, dicono gli investigatori, era entrato nel nucleo di fuoco delle Brigate rosse. Sulle indagini riguardanti la rapina ci sono poche novità: il commando, sostiene la Digos, era composto da almeno 6-7 terroristi (forse 9).
A sparare, però, sono stati in tre: la Massara, Gustini e il br che imbracciava il “Kalashnikov”. Quest’ ultimo sarebbe già stato identificato. Contro i metronotte, i terroristi avrebbero subito aperto il fuoco, colpendoli. Ma i vigili notturni, reagendo, hanno impedito che la rapina fosse compiuta ed hanno ucciso il terrorista e ferito la donna.
Nel furgone c’ erano circa 2 miliardi di lire. Le condizioni dei due metronotte, Carmelo Caruso e Carlo Lai sono state definite dai sanitari gravissime: Caruso è stato raggiunto da un proiettile al polmone destro e alla milza, che gli è stata asportata; Lai è rimasto ferito da tre pallottole: una lo ha centrato all’ altezza dell’ inguine fratturandogli il femore destro e perforando l’ arteria femorale, un’ altra lo ha ferito all’ addome e l’ ultima agli organi genitali.
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