Categories: conflitto sociale

Luglio ’60: irrompono sulla scena pubblica i “giovani dalle magliette a strisce”

Vennero chiamati così dai giornali i giovani che Montaldi considera i protagonisti degli scontri di Genova. E vennero chiamati allo stesso modo anche quelli delle altre città.

Questa sottolineatura dell’abbigliamento voleva forse significare nelle intenzioni dei giornalisti la loro estraneità alla classe operaia. Oppure l’impossibilità di definirli, di leggere da dove venivano.

Nei lunghi anni cinquanta non era successo apparentemente nulla a livello sociale. Si era però formata una generazione, nata per la gran parte in tempo di guerra. Esprimeva, sia pure attraverso settori minoritari, un evidente disagio e insofferenza per la rigida canalizzazione della vita quotidiana.

E anche se, dovendo fare scelte politiche, l’unica forza di riferimento poteva essere il P.C.I., in realtà nell’utilizzazione del tempo vissuto i quindici/ventenni della metà degli anni cinquanta manifestavano insofferenza. Nei confronti sia della troppo rigida morale operaia, sia della produzione culturale ufficiale. Anche democratica (film, musica, riviste eccetera).

La massiccia importazione di film americani, pur servendo a una parziale “colonizzazione” sui modelli affascinanti dell'”american way of life”, aveva però sedimentato immaginari di società diverse e di vissuti generazionali affascinanti.

La prospettiva della fabbrica diventava sempre più insopportabile. Al Nord la disoccupazione era drasticamente diminuita Nel nuovo assetto produttivo industriale l’introduzione massiccia della catena di montaggio richiedeva enormi quote di forza lavoro.

Era avvenuto in realtà un sisma sotterraneo che aveva sconvolto la fabbrica, la manodopera, la sua età, la sua provenienza, le sue mansioni. Era iniziata la seconda (questa volta enorme) migrazione dal Sud al Nord. Una seconda generazione operaia si formava nei tessuti metropolitani.

Una generazione di origine meridionale sradicata dalla propria cultura contadina, spesso con la memoria delle grandi sconfitte del dopoguerra. Una generazione priva di quella della Resistenza partigiana, abituata a considerare il lavoro “fatica” e non emancipazione.

Collocata al livello più basso della struttura produttiva, non ricavava nessuna gratificazione dal “ruolo operaio”. Viveva per la gran parte, e spesso per scelta, nei vasti hinterland metropolitani, le famose “Coree”, tentando di trasformarne l’habitat. Si appropriava di orti, dipingeva gli esterni di bianco o di giallo, coltivava il basilico e il rosmarino sui davanzali. Rompeva e apriva contraddizioni nel tessuto sociale locale e innescava frequentemente comportamenti razzisti nei propri confronti (soprattutto a Torino).

I giovani del Nord avevano colto il cambiamento a livello spontaneo. Nella loro continua fuga dalla prospettiva della fabbrica, avevano maturato la convinzione che tutto poteva essere cambiato e messo in discussione.

Il governo Tambroni si presentava come un’operazione di tregua sociale e di ridisciplinamento dopo le lotte del 1959. Nell’immaginario giovanile veniva letto come un ulteriore atto autoritario. Non ancora solidali e uniti con le nuove leve di immigrazione, i giovani settentrionali avevano però già fornito segnali significativi. A Torino, per esempio, gruppi di studenti cattolici si erano schierati con i picchetti operai sventolando il Vangelo sotto gli occhi dei celerini.

Un film come “La dolce vita” di Fellini aveva magistralmente mostrato il volto “corrotto” della borghesia, “Il selvaggio” con Marlon Brando un possibile stereotipo di trasgressione, la musica rock di Elvis Presley i ritmi del cambiamento del corpo e della sessualità. Finite le “bande” di amici nate nel quartiere disintegrato dalla speculazione immobiliare, nasce per la prima volta a Milano una “banda” di livello cittadino: i terribili e fugaci “teddy boys”

FONTE: NANNI BALESTRINI-PRIMO MORONI L’orda d’oro

Ugo Maria Tassinari

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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