27.10 Morire in piazza. Milano ’62: Giovanni Ardizzone Pisa ’67: Cesare Pardini
Milano: Giovanni Ardizzone
Giovanni Ardizzone era il suo nome, ucciso in piazza per difendere Cuba…..
Milano, 27 ottobre 1962 – Giovanni Ardizzone nacque nel 1941 a Castano Primo, a nord di Milano; era figlio unico di una famiglia titolare di una farmacia. Quando fu ucciso aveva 21 anni, era iscritto al secondo anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano, e frequentava il collegio universitario Fulvio Testi, alle porte della città operaia di Sesto San Giovanni, alla periferia nord della città.
La grande manifestazione per Cuba
Nell’ambiente studentesco e proletario apprese a conoscere e condividere gli ideali del movimento operaio ed arrivò ad essere un attivo militante comunista. Come in tante altre città italiane, sabato 27 ottobre 1962, in piena “crisi dei missili”, la Camera del Lavoro di Milano organizzò una grande manifestazione pacifista e di protesta contro l’aggressione imperialista degli Stati Uniti a Cuba. Dopo il discorso del segretario della CGIL, si formò un corteo che sfilò nelle vie del centro storico milanese. I manifestanti alzavano cartelli e striscioni, scandivano parole d’ordine e canzoni politiche: “Indipendenza per Cuba”, “Cuba sì, yankee no”, “Pace, Pace”, “Disarmo”, “Fuori le basi nordamericane”… Dopo l’arrivo del corteo in piazza del Duomo, il Comando della Polizia dette l’ordine di disperdere i manifestanti pacifisti.
I caroselli del Terzo Celere
Il Terzo Battaglione della Celere, corpo speciale di intervento anti-manifestazioni, giunto appositamente da Padova, iniziò i caroselli con le jeep. Le camionette cariche di poliziotti si gettarono deliberatamente contro la testa del corteo, investendo lo studente Giovanni Ardizzone (davanti alla Antica Loggia dei Mercanti, di fronte al Duomo di Milano) e poco dopo altri due manifestanti: il muratore Nicola Giardino di 38 anni, e l’operaio Luigi Scalmana, di 57 anni.
La folla in Piazza del Duomo
Giovanni Ardizzone morì nello stesso pomeriggio in ospedale; gli altri due feriti restarono in fin di vita per alcuni giorni, poi si salvarono. La popolazione milanese reagì all’aggressione poliziesca con lanci di pietre e bastoni, obbligando varie volte le jeep a ritirarsi. Durante gli scontri e specialmente nella caccia all’uomo attuata dalla polizia nelle vie adiacenti, ci furono altri feriti e arrestati.
Nella notte tra il sabato e la domenica, gruppi di manifestanti giunsero alla spicciolata nel luogo dove era stato ucciso Giovanni Ardizzone, e dettero vita a un sit-in-non-stop. Domenica 28 ottobre 1962 una moltitudine sempre più impressionante di persone si concentrò in Piazza Duomo e dintorni, depositando fiori e cartelli che denunciavano gli autori dell’assassinio. Assurdamente, il ministero dell’interno e la stampa governativa e padronale cercarono di nascondere e mistificare l’assassinio, facendolo passare come “banale incidente stradale”.
Lo sciopero, il corteo, i funerali
Lunedì 29 ottobre 1962 gli operai delle fabbriche milanesi entrarono in sciopero e furono sospese le lezioni nelle università e nelle scuole superiori al fine di potere partecipare alla protesta collettiva contro l’assassinio di Giovanni Ardizzone. Nella notte tra lunedì e martedì un’immensa manifestazione collocò il ritratto del giovane caduto e molte corone di fiori nel vicino Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza, dove continuò il pellegrinaggio della popolazione milanese e lombarda.
Una grande partecipazione vi fu pure al funerale di Giovanni Ardizzone, nel suo paese natale, Castano Primo, dove giunsero per l’estremo saluto oltre 5 mila persone. Anche in molte altre città italiane, dove nei giorni precedenti furono realizzate manifestazioni contro l’aggressione imperialista Usa a Cuba, ci furono scioperi nelle scuole superiori e nei posti di lavoro, e il popolo italiano scese ancora per le strade protestando contro l’assassinio dello studente di medicina ucciso a soli 21 anni per la libertà di Cuba e della Rivoluzione Cubana…
A Cuba Giovanni Ardizzone è molto amato e ricordato: a lui da molto tempo è dedicata la Facoltà Universitaria di Medicina ospitata presso l’ospedale dell’Isola della Gioventù, e una sua foto è esposta nell’aula magna di Nueva Gerona.(GM – Granma Int.)
Pisa, 1969: Cesare Pardini
Per la dirigenza comunista divenne sempre piú complicato tenere sotto controllo i fermenti che stavano montando dentro e fuori del partito. La situazione sfuggì di mano al PCI a fine ottobre del 1969: all’università di Pisa scoppiarono alcuni incidenti tra gli studenti greci esuli e la Lega nazionale, un’organizzazione di estrema destra vicina al regime dei colonnelli . Com’era successo in tante altre occasioni, la tensione esplose quando intervennero i militanti del Partito comunista e quelli del Movimento sociale.
La reazione per gli studenti greci feriti
Dopo l’ennesimo tafferuglio, durante il quale alcuni studenti greci vennero feriti, una manifestazione spontanea – cui si unirono anche le autorità cittadine – si diresse sotto la sede della locale federazione del MSI, dove si verificarono gravi incidenti, protrattisi tutta la notte, tra i manifestanti e le forze dell’ordine schierate a difesa della sede stessa.
La polizia spara ad altezza d’uomo
L’indomani, un’altra manifestazione antifascista, cui parteciparono anche i gruppi della sinistra extraparlamentare, degenerò nuovamente in scontri. Negli incidenti perse la vita, colpito a morte da un candelotto sparato ad altezza d’uomo dalla polizia, Cesare Pardini, un ragazzo che, spaventato, aveva deciso di tornare a casa.
Ma il Pci se la prende con gli estremisti
I fatti di Pisa suscitarono grande impressione nel Partito comunista, in particolar modo per il comportamento della polizia, che fu accusata di aver condotto un’aggressione premeditata e coordinata con l’estrema destra. La preoccupazione più grande, tuttavia, venne espressa nei confronti della piazza, dove ormai l’iniziativa violenta e organizzata dei gruppi extraparlamentari aveva preso il sopravvento. Un durissimo comunicato dell’ufficio politico del PCI condannò infatti le «posizioni settarie e avventuristiche», e le «forme di azione che portano a cadere nella provocatoria trappola padronale e reazionaria».
FONTE: Guido Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa
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