Torino, 12 marzo 1977. Prima linea uccide il brigadiere Ciotta

Giuseppe Ciotta, 30 anni, poliziotto, è nato ad Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, dove ha lasciato tutta la famiglia, e lavora a Torino dal 1972. Qui ha sposato Michelina, compaesana e amica fin dall’infanzia. Nel 1975, poi, è nata Nunzia. Giuseppe lavora all’Ufficio politico della Questura, diretto da Filippo Fiorello. Da qualche tempo è addetto alla sorveglianza esterna del Liceo Galileo Ferraris, dell’Istituto tecnico Sommelier e del Politecnico, racchiusi in pochi isolati tra corso Duca degli Abruzzi e corso Montevecchio, alla Crocetta.

Gli studenti lo conoscono bene e con lui hanno un buon rapporto. Lo ricorda bene Silvio Viale, allora studente del «Galfer» e militante di Lotta continua: «Ciotta lo conoscevamo, era uno di quelli dell’Ufficio politico che frequentavano le scuole, con il buon senso tipico di chi interveniva con la giusta misura quando c’era una scazzottata o qualcosa del genere. Il suo era un lavoro di prevenzione, perché il Movimento lo conosceva molto bene». Lavoro di prevenzione, scazzottate «o qualcosa del genere». Capita, in quegli anni.

Il Galileo Ferraris è uno dei licei più politicizzati della città. In biblioteca lavora un ragaz zo silenzioso, di qualche anno più anziano degli studenti, che piace molto alle fanciulle. Si chiama Marco Donat-Cattin e ha un padre importante, forse ingombrante. In quinta, invece, c’è un ragazzo che un padre vero non l’ha mai avuto ma anche lui piace molto alla ragazze. Si chiama Alberto Bonvicini, 18 anni appena e una storia già adulta alle spalle. Alberto Bonvicini è di Lotta continua, che al «Galfer» è la maggioranza e trova tra i banchi molti componenti del suo celebre servizio d’ordine. Tra questi c’è un brunetto irrequieto con gli occhiali che si chiama Roberto Sandalo. A quel tempo qualcuno già lo chiama «Roby il pazzo». Di sicuro lo saprà anche Giuseppe Ciotta; Roby, infatti, è una testa calda, tenerlo sott’occhio è il suo mestiere. Qualche volta Ciotta, a bordo della sua 500 rossa, accompagna perfino Sandalo a casa.

Sabato 12 marzo del 1977 è una giornata grigia. Il cielo su Torino promette pioggia, la terra risponde con un brontolio di tuono. Non è un sabato qualunque, non è la solita manifestazione del sabato. Il giorno prima, a Bologna, è morto Francesco Lorusso, 26 anni, militante di Lotta continua, ucciso da un proiettile alla schiena sparato ad altezza uomo dalla polizia. In piazza ci saranno tutti, si teme che la guerriglia urbana di Bologna si scateni in tutta Italia.

Ciotta, che conosce così bene il Movimento, non può mancare. Ma quella mattina, alla manifestazione, Giuseppe non arriverà mai. Esce di casa alle 8 e attraversa via Gorizia per raggiungere la 500 rossa, parcheggiata dall’altra parte della strada. Michelina, come sempre, si affaccia alla finestra. Non fa in tempo a salutarlo che, da una 128 verde parcheggiata sotto casa, un uomo a volto scoperto si dirige verso la 500.

È un attimo: l’uomo, Enrico Galmozzi, uno dei fondatori di Prima Linea a Torino, estrae una pistola, frantuma il finestrino con il calcio dell’arma prima di esplodere tre colpi in rapida successione. Tutto sotto gli occhi di Michelina. Giuseppe ha un proiettile nel torace, non arriverà vivo alle Molinette. Tra i primi a giungere sul posto, come purtroppo spesso accadrà negli anni successivi, il sindaco Diego Novelli: «Nemmeno mezz’ora dopo ero lì sul posto. C’era ancora il cadavere coperto, salii in casa della signora Ciotta, e ricordo la bambina, Nunzia, sul letto che piangeva».

Giuseppe Ciotta è la prima vittima di un attentato in stile brigatista a Torino. Sono vittime coloro che soccombono a una violenza, sono vittime coloro che assistono o che di quella violenza patiscono le conseguenze. La violenza cieca è un confronto impari, un gesto di sopraffazione estrema, che sgomenta. E lo sgomento non invecchia, come il dolore. Non è invecchiato Giuseppe, non è invecchiato il dolore di Michelina. Sono passati più di trent’anni, ma non le va di parlare di quel giorno lontano che non è mai finito. E che forse mai finirà.

La notizia raggiunge il corteo: «Molti erano andati a Roma per la manifestazione nazionale – ricorda Silvio Viale – e ci trovammo in 3-4.000, per lo più giovanissimi di 14-15 anni. Non appena si diffonde la notizia dell’omicidio arriva il commissario a dirmi ‘Viale mi raccomando che oggi non controlliamo i nostri’… Gli rispondo di stare tranquillo, che ce ne saremmo andati in fretta, tempo di un breve comizio di fronte alla Prefettura in piazza Castello e via. Quel giorno capimmo di essere di fronte a uno spartiacque. Nessuno di noi condivise quell’omicidio, ma fu l’inizio di una drammatica divaricazione».

Giuseppe Ciotta muore a caso. O meglio, viene scelto proprio perché conosciuto da qualcuno. Lo racconterà anni dopo il primo grande pentito di Prima Linea Roberto Sandalo, Roby il pazzo, che con Ciotta tornava addirittura a casa. E lo racconterà anche Marco Donat-Cattin, il bibliotecario del «Galfer», figlio del vicesegretario della Democrazia cristiana, che di Pl, a Torino, sarà il leader. Nel primo pomeriggio un uomo dallo spiccato accento piemontese telefona alla redazione torinese dell’Ansa per rivendicare l’omicidio. Una conversazione surreale, agghiacciante, disarmante.

  • Sì?
  • Buongiorno. Senta, l’esecuzione del carabiniere di questa mattina è stata fatta dalle Brigate combattenti.
  • Sì…
  • La preghiamo di non fare confusione con Brigate rosse o analoghi…
  • Sì, ma non è un carabiniere…
  • Sì, quell’agente dell’Sds…
  • Non è dell’Sds, è semplicemente dell’Ufficio politico, non aveva compiti di servizio di sicurezza.
  • A noi risultava diversamente, comunque è sempre nemico della classe. Seguirà un comunicato, segni bene Brigate combattenti…
  • Brigate combattenti.
  • Buongiorno…

Il «comunicato», ritrovato poche ore dopo in un cestino di fronte ai padiglioni di Torino Esposizioni in corso Massimo D’Azeglio, non è da meno: «Questa mattina il brigadiere delle squadre speciali dell’antiterrorismo Giuseppe Ciotta non è sceso in piazza a prestare come al solito la propria opera di killer di Stato. È stato fermato prima. Compagni, è in opera da parte dei corpi separati dello Stato, della polizia e di C.C., delle bande armate di Kossiga un vero e proprio progetto di annientamento delle avanguardie e degli strati di massa che si pongono in maniera militante e combattente contro la tregua e il governo dell’astensione. Se a Bologna hanno sparato i C.C., in piazza Indipendenza sono state le squadre speciali; l’elenco dei nostri morti si fa troppo lungo… è ora che i nemici comincino a pagare davvero. Compagni, non è più tempo di azioni esemplari e di propaganda: la dichiarazione di guerra dello Stato va raccolta. Sul terreno della guerra di classe dispiegata si devono verificare oggi, subito, le formazioni combattenti: chi sottrae a questa pratica la propria organizzazione non ha diritto di parola nell’area combattente… contro i C.C. di Dalla Chiesa, contro le bande armate di Kossiga. Organizzare e praticare la guerra di classe dispiegata».

Gli uomini delle Brigate rosse alla sbarra a Torino, e le nuove leve giunte a sostituirli, ora hanno dei concorrenti. Non militanti clandestini e militaristi, ma giovani, a volte giovanissimi, spesso conosciuti nel Movimento, spregiudicati e ottusamente criminali. Nei loro covi conservano pochi libri, come il Grande Atlante delle armi leggere e Tecnologia delle armi da fuoco portatili, oltre naturalmente all’amatissimo Senza tregua di Giovanni Pesce, del quale cercano di scimmiottare le gesta.

«Brigate combattenti» è l’alba di Prima Linea: «È un mondo molto giovanile – racconta Ettore Boffano, che da cronista seguirà i processi all’inizio degli anni Ottanta – figlio dei gruppi extraparlamentari, in particolare di Lotta continua. Quando Lc si scioglie, e si scioglie anche il suo servizio d’ordine, una parte di quel servizio d’ordine approda lentamente alla formazione di Prima Linea, attraverso le Ronde proletarie prima e un gruppo che non a caso si chiama ‘Senza tregua’ poi. Rispetto alle Brigate rosse c’è un salto generazionale. Parliamo di giovani di 18, 20 anni che hanno militato nella sinistra extraparlamentare e che hanno una cultura molto movimentista, non militarista: grande dibattito, grande discussione, ma anche rozzezze, semplificazioni. Le Br hanno una presunta grande elaborazione politico-culturale. In Prima Linea hanno voglia di fare la rivoluzione in maniera così, un po’ velleitaria. Qualcuno scriverà anche che forse il loro vero modello è Tex Willer: spara spara».

«Ricordiamo i tanti anni di mestiere – scrive Luciano Curino sulla Stampa del 13 marzo 1977 – e non troviamo un’altra giornata fosca come questa. Fino a ieri la città non era stata toccata dalla peggiore forma di violenza: l’assassinio premeditato da criminali fanatici ed eseguito a sangue freddo da un carnefice». Risparmiata dalle bombe fasciste, evitato il sangue tribale della piazza politica, anche a Torino l’età si fa di piombo

S. Caselli – D. Valentini, Anni spietati, Laterza, 2012

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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