Giuseppe Memeo, il “ragazzo della P38”: una vita in una foto

giuseppe memeo

Giuseppe Memeo detto “Terrone” è “il ragazzo della P38”. La persona effigiata nella celebre foto di Paolo Pedrizzetti del giovane a gambe larghe che platealmente punta la pistola per sparare il 14 maggio 1977 a via De Amicis. In realtà era una calibro 22 long rifle. “Terrone” aveva solo 18 anni e mezzo. Oggi compie 65 anni. E’ infatti nato l’11 ottobre 1958, a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza. Un paese balzato a notorietà perché pochi anni dopo Lina Wertmuller vi ha girato numerose scene dei Basilischi.

Dopo i fatti di De Amicis “Terrone” entrerà nei Proletari Armati per il Comunismo (PAC) insieme a Gabriele Grimaldi. Si renderà responsabile dell’omicidio Torregiani. Dopo la fine dei PAC entrerà in Prima Linea, per venire definitivamente arrestato alla fine del 1980.

La storia di questa foto

La storia di quella foto, e del libro che Sergio Bianchi le ha dedicato, ce la racconta Stefano Nazzi sulle pagine del Post:
La sera del 13 maggio a Milano ci fu una riunione dei rappresentanti di quello che venne poi definito il movimento del ’77. Bisognava organizzare un corteo per l’uccisione di Giorgiana Masi e che protestasse contro l’arresto di due avvocati di Soccorso Rosso, Nanni Cappelli e Sergio Spazzali. Si discusse, la maggioranza decise che il giorno dopo non avrebbe dovuto accadere nulla.

“Romana fuori”

Non tutti erano d’accordo. Un mese prima, il 12 marzo, alcuni spezzoni di un corteo avevano assaltato la sede dell’Assolombarda, in via Pantano: i magistrati accertarono contro il palazzo degli industriali furono sparati colpi da 300 armi diverse.
Le immagini di “Storia di una foto” raccontano quello che accadde il 14 maggio. C’è la trascrizione di una registrazione radiofonica. Il corteo arriva da via Olona, gira verso via Carducci. Si sente qualcuno che urla «Romana fuori». È il collettivo Romana-Vittoria, sono quelli che hanno deciso di attaccare la polizia.

Sono una quarantina, escono dal corteo, corrono in via De Amicis, la polizia è quasi all’incrocio con via Ausonio. Saltano fuori le pistole, i manifestanti si muovono sui due lati di via De Amicis, dietro gli alberi a sinistra, a destra superano il numero civico 59, sparano in tanti. Quello nella foto più famosa è Giuseppe Memeo, gli amici lo chiamano “terrone” perché ha un accento meridionale forte, che non si cancella. Nel 1979 entrerà nei Pac, quelli di Cesare Battisti. Dal Brasile il giallista ha scritto una lettera ai giornalisti scaricando tutte le colpe di quell’omicidio su Memeo e su altri. Memeo rispose: «Per quei fatti ho pagato, non ho barattato la mia libertà con quella di altri».

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Le altre foto, gli altri spari

In altre foto pubblicate dall’Espresso ci sono Walter Grecchi, Massimo Sandrini e Maurizio Azzolini: erano studenti dell’Istituto Cattaneo di piazza Vetra, li arrestarono qualche mese dopo, durante una lezione in classe. Sparavano Mario Ferrandi, Enrico Pasini Gatti, Giancarlo De Silvestri, Luca Colombo. In una sequenza di immagini, Memeo corre verso la fotografa Paola Saracini, le punta la pistola alla testa, la fa inginocchiare e si fa consegnare il rullino. Ma altri stanno fotografando, nascosti dietro gli alberi.

Un manifestante spara contro un fotografo, il proiettile si conficca nel muro. Un passante, Maurizio Golinelli, viene ferito da un colpo a un occhio. Un’altra passante, Patrizia Roveri, è colpita da un pallino di fucile. Due agenti sono feriti, un altro, Antonio Custra, è a terra, un proiettile calibro 7,65 ha perforato la visiera protettiva e gli si è conficcato in faccia. Morirà il giorno dopo.

Raccontano che i poliziotti della caserma Sant’Ambrogio, poco distante da via De Amicis, nella notte tra 14 e 15 maggio volessero uscire per farsi giustizia, esasperati e colmi di rabbia. La situazione fu gestita con fatica. Il giudice Guido Salvini stabilì, anni dopo, che a sparare il colpo di 7,65 che uccise Custra fu Mario Ferrandi.

La calma ritirata di Barbone

C’è una fotografia ripresa pochi minuti dopo la sparatoria in via Carducci. Scappando, i manifestanti hanno dato fuoco al Pantea, una discoteca allora piuttosto famosa. C’è un ragazzo che corre, un altro, con un berrettino in testa, cammina tranquillo. È Marco Barbone, la sua è una ritirata calma e arrogante. Nella mano destra ha un fucile con il manico segato. È stato suo probabilmente il colpo che ferito a un occhio Maurizio Golinelli. Barbone compare anche in altre fotografie, sul lato sinistro di via De Amicis.

Due anni dopo Barbone fondò a Milano la Brigata XXVIII marzo: con Paolo Morandini, Daniele Laus, Manfredi De Stefano, Francesco Giordano e Mario Marano, il 28 maggio 1980 uccise Walter Tobagi. La storia è nota: Barbone fu arrestato nell’ottobre del 1980, si pentì e collaborò con i magistrati. Vene condannato a otto anni e sei mesi ma in base alla legge sui pentiti venne scarcerato. Oggi lavora per la Compagnia delle Opere, legata a Comunione e Liberazione.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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