Il golpe cileno e l’azzardo di Lc sull’uso operaio del Pci

Il golpe in Cile, l’11 settembre 1973, rappresenta un punto di rottura fondamentale nelle vicende politiche della sinistra italiana. Il Pci ne ricava la legittimazione per abbandonare la ricerca della maggioranza e teorizza esplicitamente l’alleanza con la Dc: nasce la stagione del compromesso storico. Nell’estrema sinistra la questione della “forza” diventa tema centrale. Particolarmente significativa è la svolta politica di Lotta continua che, chiusa la stagione estremista del “prendiamoci la città”, da una parte lancia una campagna di raccolta fondi per le “armi al Mir”, dall’altra adotta esplicitamente la parola d’ordine del “Pci al governo”. Luigi Bobbio, nel suo ‘Storia di Lotta continua’ ricostruisce così la svolta politica del gruppo.
Qui uno slideshow con una rassegna stampa del quotidiano sul golpe cileno.
L’ipotesi del “Pci al governo” viene, dunque, formulata dal gruppo dirigente di Lotta continua nei primi mesi del ’73; ma è con il colpo di stato in Cile (settembre ’73) che questa prospettiva si afferma pienamente tra i militanti che fino a quel momento l’avevano accolta con una certa diffidenza.
Di fronte alla tragedia cilena tutta la sinistra è obbligata a ripensare alla propria strategia. Ma i termini della riflessione sono immediatamente divergenti.
Da una parte c’è chi attribuisce la sconfitta di Unidad Popular a una mancanza di consenso: o nella sfera delle forze politiche (come avviene
per il Pci che esce da questa riflessione con la proposta del compromesso storico), o nella sfera sociale (come sostiene il Manifesto che insiste sul problema della disaggregazione dei ceti medi e della egemonia su di essi); dall’altra c’è chi l’attribuisce all’incapacità del governo Allende di affrontare il problema della violenza (quella dello stato, dei suoi apparati militari, dell’imperialismo).
La riflessione di Lotta continua si colloca tutta all’interno di questo secondo punto di vista: “il problema che ci consegna il Cile – commenta il quotidiano – è quello della direzione rivoluzionaria della forza armata proletaria”, “ il problema cioè di come sconfiggere l’inevitabile reazione armata dell’avversario sul suo stesso terreno, di come golpeare il golpe.
Ma il Cile – e qui sta l’elemento più importante della riflessione di Lotta continua – non si imita a riproporre questa antica verità circa la natura violenta’della macchina statale borghese: ma offre una preziosa indicazione politica sul modo di affrontarla: “L’originalità della lezione cilena – scrive ‘Lotta continua’ — sta nel fatto che per la prima volta in questo dopoguerra nell’occidente il proletariato ha saputo usare delle condizioni nuove della crisi imperialista, del suo carattere ‘prolungato’ per innestare un processo di iniziativa di massa, di autorganizzazione di massa, di armamento di massa. Il govemo di Unidad popular ha consentito lo sviluppo di questo processo rivoluzionario e al tempo stesso ne ha segnato il limite finale”.
Il Cile non è solo, quindi, un esempio negativo, di sconfitta, ma è anche un modello, positivo, di come si può innescare un processo di armamento delle masse nella nostra epoca; così come Marx aveva additato nella Comune di Parigi, malgrado la sconfitta sanguinosa, il punto più alto raggiunto dal proletariato nella sua epoca. Governo delle sinistre come terreno più favorevole per lo sviluppo dell’autonomia proletaria, responsabilità dell’avanguardia (in Cile il Mir) che deve saper prendere l’iniziativa per controbilanciare l’impotenza politica e militare del fronte riformista: questi sono i termini nuovi che il Cile consegna al proletariato dell’occidente. Si tratta di raccoglierli e svilupparli oltre il punto in cui il Cile ha tragicamente fallito.
Da questa analisi non viene solo rafforzata la prospettiva del “Pci al governo”, ma viene anche delineato in modo più netto il ruolo del partito rivoluzionario, la sua responsabilità storica. E Lotta continua decide di assumersela tutta sulle sue, tutto sommato gracili, spalle. Un peccato di presunzione, come sostengono molti nella sinistra? Può darsi, ma la sopravvalutazione di se stessi, non è che il riflesso di quella concezione idealistica dell’autonomia operaia secondo cui essa è in costante ascesa e non può essere piegata se non in una battaglia frontale e sanguinosa.
L’impeto con cui i compagni di Lotta continua si gettano nella campagna sul Cile non porta solo il segno di una fortissima solidarietà internazionalista, ma soprattutto la coscienza di essere in qualche modo i depositari delle nuove verità che la sconfitta cilena ha trasmesso. La campagna di
sottoscrizione “armi al Mir”, avversata da tutta la sinistra, ha un successo straordinario: in meno di tre mesi vengono raccolti e consegnati più di 80 milioni. Dopo il Cile la questione dei tempi della lotta di classe diventa decisiva nella coscienza dei compagni di Lotta continua.
L’attenzione per le manovre golpiste, per i meccanismi interni agli apparati militari, che Lotta continua aveva sempre avuto, acquista ora un peso centrale. Così come acquista un significato politico più pregnante il lavoro tra i “proletari in divisa” nelle caserme. Ritorna, con piena sovranità nel dibattito tra i compagni la questione della forza. Ma l’accento è nuovo: non si tratta più di esaltare i comportamenti violenti e illegali delle masse, di organizzare il ‘ colpo su colpo”, si tratta invece di capire come si può arrivare a un uso vincente della forza, di saldare la questione militare con la tattica e la politica. Non è insomma, un’ennesima svolta militarista, ma il tentativo di una riflessione più matura sui nessi tra consenso e violenza,
tra la lotta di massa oggi e la necessaria resa dei conti in un domani forse non troppo lontano.
Ci si può chiedere quanto di questa concezione sulla precipitazione (non rapida, ma ineluttabile) dello scontro si adatti alla situazione italiana. E l’interrogativo si può ribaltare su quello che è il presupposto fondamentale di tutta la costruzione tattica di questo periodo e cioè che il Pci al govemo sia fattore d ’instabilità e di crescita per il movimento di massa. È certo, comunque, che a partire da questo giudizio Lotta continua sviluppa un atteggiamento nuovo e più attento verso il Pci.
A causa di ciò molti nella sinistra accuseranno Lotta continua di tatticismo e di opportunismo. Ma se di tatticismo si tratta, esso non ha origine, come solitamente avviene, da una visione eccessivamente pessimistica dello scontro di classe, ma da una visione troppo ottimistica. Se vogliamo usare una terminologia un po’ consunta, non si tratta di una “deviazione di destra”, ma piuttosto di una
“deviazione di sinistra”.
Anche in questo caso la “scoperta della politica” avviene mediante la ripresa delle categorie elaborate dail’operaismo degli anni ’60: l’ipotesi trontiana di un “uso operaio del Pci”, rivive nell’ipotesi di Lotta continua di un Partito comunista “prigioniero e ostaggio delle masse”, come sempre più di frequente si ripete nell’organizzazione.
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