1 ottobre 1975: il Grapo uccide 4 poliziotti il giorno del Caudillo
Stamane tre poliziotti sono stati uccisi a Madrid, quasi nello stesso minuto, a sangue freddo, senza una parola o un gesto. E’ un atto inequivocabile di terrorismo politico — forse sfida forse provocazione — appena tre ore prima che Franco, con voce tremante, celebrasse il suo giorno di festa davanti a una plaza de Oriente colorata di folla e bandiere.
Doveva essere una giornata destinata a segnare una svolta nella grave crisi di regime; oggi, invece, si sono riaperti tutti i drammatici interrogativi dell’ultima settimana, e le previsioni si fanno fosche, nel timore che la catena di follia e sangue apra la spirale di un futuro non più controllabile. Sabato scorso nessuno aveva certezza di quanto profonda fosse la crisi di questo potere che domina la Spagna da quarant’anni; oggi, tutti sanno che le lotte di palazzo dilaniano un corpo già privo di vita, c’è un vuoto di iniziativa che cinque fucilazioni e un’adunata oceanica non riescono più a nascondere [il 27 settembre 1975 il regime fucila 5 oppositori: tre marxisti leninisti del Frap, 2 indipendentisti dell’Eta, ndb].
Gli attacchi dei «commandos» terroristi sono stati fulminei, tra le 9,25 e le 9,30. Due, o al massimo tre uomini, si sono avvicinati ai loro «obbiettivi» con indifferenza, senza farsi notare da nessuno; veri professionisti, hanno colpito freddamente, poi si sono allontanati di corsa perdendosi tra la folla. Ci sono le ricostruzioni fatte dalla polizia, ma sono generiche, scarsamente utilizzabili; tutti giovani, tutti uomini, bruni di carnagione, di statura media, nessun segno particolare. Milioni di spagnoli sono così.
L’unica traccia è una targa d’auto, una R12 con matricola M-3588-S, color verde, sulla quale sarebbero fuggiti gli autori di un attentato. La si ricerca in tutta Madrid. La città fin da stamattina è percorsa da «gipponi» con poliziotti che tengono la mitraglietta in mano.
Il primo a cadere è stato ; Antonio Fernandez Ferreiro, 22 anni, arruolato appena da aprile nella Fuerza de Policia Armada. Ieri aveva il suo primo servizio di guardia, nella succursale del Banco Espanol de credito, che si trova in Calle Marques de Corbera. Due giovani sono entrati in banca leggendo un giornale, all’improvviso hanno buttato a terra i fogli e hanno sparato cinque colpi sul poliziotto: lo hanno preso in pieno, quasi senza che se ne accorgesse, mentre era seduto a sfogliare un quotidiano.
Quasi contemporaneamente, in Calle Valmojado, due uomini scesi da una «127» sono entrati nella succursale del Banco Occidental, e hanno sparato due colpi contro l’agente Joaquin Alonso Bajo, 32 anni, sposato, con una bimba di un anno e mezzo. L’uomo e stato colpito alle spalle, era appoggiato al banco, chiacchierava con un impiegato.
Il terzo poliziotto ucciso è Agustin Gines Navarro, 27 ;anni, sposato, padre di una bimba di due anni, di guardia al Banesto dell’Avenida Mediterraneo. Anche qui due giovani, uno con la pistola e l’altro con un grande martello in mano; tre colpi, poi una fuga velocissima verso l’auto che li attendeva accanto al marciapiede: s’è persa nel traffico della Plaza Conde de Casal, nessuno ne ha visto il colore o il tipo. Si sa soltanto che i ragazzi erano giovanissimi.
Un altro attentato è stato compiuto in Calle Agustin de Foxa, non lontano da Plaza de Castilla, nella sede di un Monte dei pegni: due giovani (sono quelli della R 12) hanno aperto la porta di vetro del Banco e hanno scaricato all’interno alcune raffiche di mitra; tutti pensavano a una rapina e si sono buttati a terra; ma i colpi erano diretti verso il poliziotto Miguel Castilla Martin, raggiunto in più parti del corpo è ora in fin di vita [e infatti è morto il giorno dopo, ndb].
Dichiarazioni ufficiali della polizia madrilena dicono: « Sono atti senz’altro di natura politica e terroristica». E fin qui non c’è dubbio (l’attacco di lunedì a una banca di Barcellona, con un poliziotto ucciso, era invece una rapina «classica»; magari inserita in un clima teso, ma nulla consentiva di indicarla come «atto politico»). Questa è un’azione coordinata, messa in atto per uccidere e provocare conseguenze politiche.
Potrebbero essere gli estremisti di sinistra o i guerriglieri dell’Età: avevano minacciato di vendicare i loro compagni fucilati sabato, hanno tutto l’interesse a far esplodere la situazione, creando un clima di conflitti insanabili nel quale cercare, poi, gl’occasione rivoluzionaria». Ma restano molte perplessità, legate alla capacità di questi due gruppi — Età e Frap — di formare oggi quattro commandos di «professionisti» | dopo che la polizia del regime ha praticamente sgominato le loro reti arrestando, nelle ultime settimane, più di duecento militanti.
Potrebbero essere gli estremisti di destra, favorevoli a creare un clima da guerra civile e a scatenare la «caccia al rosso» dietro la protezione di un nuovo governo di emergenza, duro, autoritario, ferocemente repressivo. E’ già il clima che si creò nell’autunno del ’73 [in realtà era l’inverno: l’attentato è del 20 dicembre, ndb] dopo l’attentato a Carrero Bianco: bande di falangisti mobilitati da Blas Pinar avevano iniziato la loro «vendetta», furono fermate solo dalla decisa resistenza del generale Diez Alegria, allora comandante di stato maggiore e i molto sospettoso del ruolo e degli interessi di Pinar.
Ci sia o no una «pista nera» spagnola, è certo, comunque, che questi ultimi quattro attentati daranno appoggio a quanti chiedono una politica più dura. Arias Navarro, nel tentativo di conservare il suo governo, potrebbe accelerare il consejos de guerra e ordinare nuove condanne a morte. L’avv. Juan Bandres, uno dei più noti difensori dell’Eta, è in volo per Madrid, secondo un’informazione che abbiamo avuto dal paese basco.
Nelle province del Nord, finito lo sciopero di due giorni, continuano le proteste per le fucilazioni. Ci sono incidenti a Pamplona, Oviedo, Algorta; a San Sebastian da stanotte bruciano pile di pneumatici e il grande deposito di una cartiera. Qui a Madrid, 12 esponenti democristiani — il partito è clandestino — hanno reso pubblica una dichiarazione di condanna della violenza; firmano, tra gli altri, Ruiz Jimenez, Gii Robles e il segretario politico Vicente Duro.
Anche l’arcivescovo di Madrid, accusato ingiustamente di tiepidezza in passato, ha inviato prontamente una nota da Roma, in cui «condanna energicamente questi attentati» e «supplica in nome di Dio che venga sospeso ogni atto di violenza». E’ anche una risposta politica all’attacco che ieri sera Navarro ha mosso al Papa (accusato di «ingerenze non richieste, mascherale da paterna preoccupazione»). Oggi, a mezzogiorno e mezzo, la Spagna del regime aveva convocato la sua adunata generale nella grande Plaza de Oriente.
La manifestazione, nata su pressione dell’aula «ultra» come «risposta patriottica» all’Europa, è stata fatta propria, in qualche modo, da tutto il franchismo. Le incertezze, però, erano tante. Non si aveva misura della risposta che avrebbe dato il Paese dopo i gravi traumi delle ultime settimane, si contava solo sulla forza antica che ha il richiamo al nazionalismo offeso. L’adunata è riuscita perfettamente, al regime. C’era sempre l’equivoco peronista del caudillismo, e la mobilitazione «ordinata dall’alto». Disposizioni sono state date in tutti i posti di lavoro, per mandare la gente in piazza a gridare «Arriba Franco». Ma la partecipazione è apparsa in molti spontanea, intensa.
Erano giovani e vecchi, in prevalenza di ceto medio; un milione, dice l’agenzia ufficiale. Ne avremo visti circa duecentomila. La nota prevalente era comunque, la hispanìdad. C’erano anche le bandiere falangiste, il gioco delle frecce, le camicie azzurre. Ma su tutto c’erano le bandiere spagnole e gli striscioni di dignità nazionale offesa. E’ apparso in divisa di gran gala e aiutato a salire su una pedana, nel balcone principale del Palacìo de Oriente, la reggia. Franco aveva alla sua destra una sorridente dona Carmen in fitto colloquio con Arias Navarro. Alla sinistra, la principessa Sofia e Juan Carlos.
Ha parlato meno di cinque minuti, leggendo con voce tremante poco comprensibile (in tv, lo speaker ha dovuto rileggere le poche parole), interrotto spesso da ovazioni e sbandierio di fazzoletti. Ha accusato l’Europa d’essere vittima d’una «corporazione massonica complice della sovversione comunista terroristica», e ha esaltato il valore d’essere spagnolo oggi. Null’altro. Grandi applausi, un abbraccio al principe sempre decorativo e sempre silenzioso, un ritorno di due o tre volte sulla scena, e poi tutta la piazza che cantava l’inno Cara al sol con il braccio levato nel saluto fascista.
La grande marea di gente ha defluito con allegria sotto il sole, mentre la «Rolls Royce» nera si portava via Franco e il principe. Si formavano gruppi e piccoli cortei che, com’è tradizione nelle adunate di regime, fanno poi una sorta di «via crucis» recandosi a salutare (e cantare Cara al sol col braccio levato) alcuni uffici pubblici e le sedi della gendarmeria.
Il caso vuole che la vecchia ambasciata d’Italia (oggi vi lavora l’istituto culturale) sia di fronte alla Capitania general: fermandosi a salutare il comandante della piazza, i cortei non mancavano di esprimere la loro riprovazione sonora verso il nostro Paese. C’è stato anche un tentativo d’assalto. L’attacco è stato ripetuto all’ambasciata di Francia e a quella di Portogallo. Qui si sono raccolte 5 mila persone, scandendo slogan contro Lisbona e tradendo il vecchio grido cileno (poi della rivoluzione portoghese): Espana unida jamas sera vencida.
In mattinata, Franco aveva ricevuto l’omaggio della rappresentanza diplomatica per la celebrazione del Dia del Caudillo. Ma i saloni del palazzo reale hanno raccolto meno gente del solito. L’Europa era tutta assente, solo il nunzio apostolico ha voluto presenziare. L’atmosfera non doveva essere molto allegra. I giornali di stasera segnalano che il Cile dà la sua solidarietà a Franco.
Mimmo Candito, inviato della Stampa
2 ottobre 1975
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