Mario Moretti: sbagliammo a uccidere Guido Rossa

I manifesti funebri per Guido Rossa

Nel libro intervista con Rossana Rossanda e Carla Mosca, “Una storia italiana”, Mario Moretti esprime una netta lucida autocritica sull’omicidio di Guido Rossa, il quadro della controinformazione del Pci ucciso perché aveva denunciato il “postino” delle Br all’Italsider, Franco Berardi.

Chi decise di colpire Rossa?

La colonna genovese. Ma l’Esecutivo avrebbe potuto opporsi, e non lo fece. L’intento era ferirlo, non ucciderlo.

Perché invece fu ucciso?

Andarono per colpirlo mentre saliva in macchina, ci fu una specie di colluttazione, i compagni spararono e anziché ferirlo lo uccisero. La morte è sempre grave, stavolta è l’errore politico che induce a non controllare rigidamente l’uso delle armi. Del resto lo sbaglio stava a monte. Guido Rossa non bisognava neanche ferirlo. Una contraddizione interna al movimento operaio, o la risolvi politicamente o la sconfitta è di tutti, le armi non servono.

Ma perché lo fate, quell’errore?

Forse eravamo tratti in inganno dall’esito d’una azione precedente, quando avevamo ferito un altro esponente del Pci in fabbrica, Carlo Castellano, che era alla direzione del personale, la controparte storica degli operai. Quella volta toccò al Pci spiegare ai suoi iscritti com’è che si ritrovavano il partito in veste di padrone. Con Guido Rossa la situazione era completamente diversa.

Sentiste la reazione?

Pesantissima. Ma non avevamo bisogno di sentirla per sapere che avevamo sbagliato. Così ammisero tutti, non ci fu nessuno a dire che avevamo fatto bene. Non lo abbiamo mai detto, quando abbiamo dovuto uccidere. Ma quella volta alla gravità della scelta si aggiunse lo sbaglio proprio dove non si doveva assolutamente sbagliare. La contraddizione nella coscienza operaia era sotterranea, silenziosa. Ma c’era, e la proposta di delazione fatta dal Pci non passò neppure dopo Rossa, che pure gli operai non ci perdonarono.

Ne discuteste?

Fu una discussione drammatica. Ma semplice. Avevamo sbagliato.

E perché si uccise Berardi, che Rossa aveva denunciato?

Berardi era un metalmeccanico che lavorava in fonderia e distribuiva i nostri volantini e documenti. Per questo Rossa lo denuncia nell’ottobre del 1978. È una storia brutta e bella e terribile. Un compagno operaio dell’Italsider che denuncia un altro compagno operaio dell’Italsider. Li divide il contrasto acerrimo fra Pci e Br. Rossa risolve il suo problema mandando in galera Berardi. Ma qualche mese dopo che le Br uccidono Rossa, Berardi si uccide. Chissà se qualcuno di coloro che sedevano a Botteghe oscure ha colto la dimensione di quel che stava succedendo, quali lacerazioni passavano nel corpo operaio.

Ma anche questo, che definite un errore e che pagate caro, non è l’indizio che siete inchiodati in una situazione della quale non vedete lo sbocco? Percepite questo vicolo cieco?

La valutazione non fu univoca. Come vi ho detto, non c’eravamo aspettati la saldatura delle forze politiche, con un Pci totalmente integrato nel fronte comune con la Dc e senza neppure l’opposizione dell’anima operaia della base. Si sono ristrette le condizioni esterne sia per la guerriglia sia per il movimento di classe. Non tutti, credo, hanno avvertito le conseguenze che l’emergenza avrebbe avuto su ogni forma di conflitto. Così nel 1979 ci troviamo a dover venire a capo d’un punto: le Br non potranno più essere quello che erano state finora. Avevamo colpito davvero al cuore dello stato, al livello simbolico più alto ed eravamo diventati più grandi, forse, di quanto avessimo mai voluto essere. C’eravamo concepiti in altro modo, catalizzatori d’un processo, non i soli protagonisti.

E di qui?

La prima conseguenza è che qualsiasi nostra azione aveva perduto la natura di scontro limitato, di conflitto per arrivare a una mediazione: lo stato la assolutizza come richiesta di legittimazione, decide che o ci distrugge o sarà la sua débacle. È un pensiero debole che dispone di mezzi forti, roba più da generali che da eredi di Machiavelli. La seconda conseguenza è che la propaganda armata resta senza il suo cardine: se non apri un varco nel fronte avverso, i tuoi discorsi rimangono lettera morta. Il solo messaggio che puoi mandare è di distruzione, sta nei colpi che assesti all’apparato dello stato. Ma che senso aveva la nostra strategia se non avessimo potuto puntare su continue mediazioni tattiche, questo imponi, questo contratti, questo ottieni per coloro che rappresenti? Ci eravamo spinti a dire che la guerriglia urbana è la forma della politica rivoluzionaria del nostro tempo, ma per definizione politica è mediazione. E ora non riusciamo a farcela più. I compagni più esperti lo capiscono, le difficoltà che avemmo agli inizi erano niente a confronto di questa.

Non ne deduceste che, giusta o sbagliata che fosse, la vostra partita era perduta?

Ma eravamo più forti come struttura e capacità operativa. Eravamo il riferimento di avanguardie non da poco, il solo, non avevano altra parte cui guardare. Non potevamo che tentar di rilanciare, ma voleva dire trasformarci da avanguardia guerrigliera in partito, partito rivoluzionario. Un’impresa enorme e, oggi si può dire con certezza, del tutto fuori dalla nostra portata.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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