24 gennaio 1979. Le Br uccidono Guido Rossa
L’omicidio di Guido Rossa segna un punto di rottura nel rapporto tra Brigate Rosse e movimento operaio organizzato. Le conseguenze sono assai negative per la formazione combattente. Le Br avevano sempre mantenuto un rapporto di simbiosi ambigua con la base del Pci in fabbrica. Il quadro comunista della Cgil è l’unico che ha avuto il coraggio di denunciare il postino delle Br nell’Italsider di Genova, Franco Berardi.
Un compagno fragile. Dieci mesi dopo l’omicidio si toglie la vita. La ricostruzione dell’agguato in Wikipedia enfatizza il contrasto tra Riccardo Dura – che trasformò in corso di azione la gambizzazione in omicidio – e le Br. La congettura parte da una testimonianza di quasi 30 anni dopo. Vincenzo Guagliardo, il compagno del nucleo storico che sparò alle gambe di Rossa, accetta di parlare alla figlia della vittima. In realtà il fatto che Dura sia stato in seguito promosso nell’esecutivo brigatista, massimo organo dirigente, dimostra che il problema non sussisteva.
La denuncia di Guido Rossa e l’agguato
La denuncia di Rossa contro un brigatista rosso è la prima che avviene dalla loro formazione. Rischia perciò di costituire un pericoloso precedente per cui le BR decidono di reagire. La prima ipotesi è quella di catturarlo e lasciarlo incatenato ai cancelli della fabbrica. Come nei primi sequestri blitz (Bruno Labate della Cisnal a Torino). Con appeso un cartello infamante, in una sorta di gogna intimidatrice. Tuttavia questa ipotesi di azione la scartano, giudicandola irrealizzabile. Si decide quindi la gambizzazione, pratica frequente a quel tempo.
Il 24 gennaio 1979 alle 6:35 del mattino, Guido Rossa esce dalla sua casa in via Ischia 4 a Genova per recarsi al lavoro con la sua Fiat 850. Ad attenderlo su un furgone Fiat 238 parcheggiato dietro c’è un commando. Lo compongono Riccardo Dura, Vincenzo Guagliardo e Lorenzo Carpi. I brigatisti gli sparano uccidendolo. È la prima volta che le Brigate Rosse decidono di colpire un sindacalista organico alla sinistra italiana. L’omicidio innescherà una forte reazione da parte di partiti e sindacati e della società civile, in particolare quella legata al partito comunista. Sempre a Genova era stato gambizzato un dirigente dell’Ansaldo Nucleare iscritto al Pci, ma in quel caso le Br avevano colpito il suo ruolo professionale non l’appartenenza politica.
I funerali e la sfida di Pertini
Al funerale, cui partecipano 250 000 persone, presenzia il Presidente della Repubblica Sandro Pertini in un’atmosfera molto tesa. Dopo la cerimonia Pertini chiede di incontrare i “camalli” (gli scaricatori del porto di Genova). Racconta Antonio Ghirelli, all’epoca portavoce del Quirinale, che il Presidente era stato avvisato che in quell’ambiente c’era chi simpatizzava con le Brigate Rosse, ma che Pertini rispose che “proprio per quello li voleva incontrare”. Il Presidente entrò in un grande garage pieno di gente, “saltò letteralmente sulla pedana” e con voce ferma disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le Brigate Rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!”. Ci fu un momento di silenzio, poi un lungo applauso. La salma di Rossa venne infine tumulata presso il cimitero monumentale di Staglieno.
L’omicidio di Rossa segna una svolta nella storia delle Brigate Rosse, che da quel momento non riusciranno più a trovare le stesse aperture nei confronti dell’organizzazione interna del proletariato di fabbrica. In effetti, proprio per la delicatezza dell’obiettivo, si è ritenuto probabile che le BR avessero intenzione di punire Rossa, ma senza ucciderlo. La vittima, probabilmente, doveva essere solo gambizzata.
La testimonianza di Guagliardo
Tale ipotesi sembra essere confermata dalle perizie e dalle successive testimonianze. Vincenzo Guagliardo, il componente del commando che esplode tre colpi calibro 7,65 alle gambe con una Beretta 81, ha raccontato che a gambizzazione avvenuta Riccardo Dura, capo della colonna genovese delle BR, dopo essersi allontanato, era tornato indietro per esplodere l’ultimo colpo, quello che aveva ucciso Guido Rossa. L’autopsia rivela infatti che su Rossa furono esplosi quattro colpi alle gambe e uno solo mortale al cuore. Guagliardo aggiunge che il giorno dopo il delitto i membri dell’organizzazione chiesero spiegazioni sull’accaduto. Al che Dura giustificò l’omicidio affermando che le spie andavano uccise.
Il supposto contrasto tra Br e Dura
Sempre secondo Guagliardo le BR valutarono seriamente l’espulsione di Dura, rinunciandovi però per non provocare fratture all’interno dell’organizzazione. Dura, che sarà poi ammazzato dai carabinieri nel blitz di via Fracchia, continuò quindi la sua militanza nelle BR, partecipando ad altre azioni ed entrando nel Comitato Esecutivo. La ricostruzione dei fatti di Guagliardo suggerisce che la causa dell’omicidio di Guido Rossa sarebbe da ricercare nell’iniziativa individuale del capo dei componenti del commando e non in una volontà politica delle BR di eliminare il sindacalista. La colonna genovese delle BR si assunse comunque l’intera responsabilità dell’omicidio. Nel 2008 la figlia della vittima Sabina, deputata eletta nel Partito Democratico, si è espressa contro la decisione del giudice di sorveglianza di Roma di negare la libertà condizionale a Vincenzo Guagliardo, che lei aveva incontrato.
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