[Questo pezzo, pubblicato nell'inverno 1994, nella breve e sfortunata stagione del 'Mezzogiorno', mi assicurò la gratificazione di di un pezzo di Gramellini, inviato della Stampa per la campagna elettorale al Sud. L'allora giovane ma già brillantissimo notista si appassionò alla scissione 'elettorale' del “Giornale di Napoli”]
E' massiccio l'apporto degli addetti ai lavori nel mondo dell'informazione nella Invencibile armada nazional-berlusconiana: quattro le colonne, e nessuna “fabbricata” da Sua emittenza. Anzi, carriere contro, sia pure ondivaghe, con oscillazioni anche ampie nello spettro dell'arcobaleno politico, dal nero al verde al rosso e ritorno, ma con una comune caratteristica anatomica. Inquietante: un cuore che ha continuato a battere saldamente a destra.
Passiamoli in rassegna questi quattro cavalieri - integrati - dell'Apocalisse.
Per Gino Agnese la candidatura per Alleanza nazionale è due volte un ritorno a casa. Napoletano, leader della gioventù neofascista all'inizio degli anni Sessanta ben presto si trasferisce a Roma. Per fare il giornalista, come il suo camerata Arturo Diaconale, allora dirigente nazionale della Giovine Italia, oggi leader sindacale dei giornalisti “berlusconiani”, quelli che vogliono spaccare a tutti i costi la Federazione nazionale della stampa.
Agnese va a lavorare al “Tempo”, in quegli anni santuario della destra radicale. Maestro di un'intera generazione di giovani giornalisti è Pino Rauti, il leader di Ordine Nuovo, che ha trasportato nel dominio politico le teorie metastoriche di Julius Evola.
Agnese si lega a Giorgio Torchia, un esperto di geopolitica con buone frequentazioni con gli apparati di sicurezza della Difesa. I due partecipano insieme al convegno dell'Istituto Pollio dell'aprile 1965 sulla guerra rivoluzionaria. Al Parco dei Principi - è opinione indiscussa per i magistrati che indagano da trent'anni su stragi e trame eversive - viene battezzata la strategia della tensione. Tra i partecipanti ci sono gli avanguardisti Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, poi arrestato con l'anarchico Valpreda per la strage di Piazza Fontana.
Tra i relatori c'è Guido Giannettini, giornalista alle dipendenze del Sifar e poi del Sid: anche lui trascorrerà alcuni anni in carcere: sarà considerato l'agente di collegamento tra servizi segreti e Freda, il leader della cellula nera padovana. Con Giannettini e Torchia, Agnese è tra gli animatori dell'Agenzia Oltremare. Quando il 25 aprile 1974 la rivoluzione dei garofani porta i militari antifascisti al potere in Portogallo si scopre che l'agenzia aveva un organico rapporto di collaborazione con il Pide, i servizi segreti di Lisbona.
Gli anni Settanta vedono Agnese attraversato da una profonda crisi mistica: quando riappare sulla scena pubblica lega il suo nome a quello di Comunione e Liberazione ma mantiene i rapporti con la sua cordata giornalistica. Ora, è il caso di dire, un ritorno di fiamma.
Mimmo Falco è uno dei tanti epigoni di Sbardella. Neofascista in gioventù, prestato alla Dc, dopo una brillante carriera professionale torna nell'agone riscoprendo il primo amore. Studente nero in un liceo tipicamente rosso, il Genovesi, in anni di scontro frontale gode fama di moderato. Eppure anche lui vanta qualche trascorso di mazziere nelle fila della Giovane Italia: sale agli onori della cronaca per il pestaggio dello scrittore Giovanni Amodeo.
E' tra i transfughi di Democrazia nazionale e dopo il naufragio del tentativo di traghettamento al centro si accasa direttamente con la Dc.
Funzionario della Regione, trova spazio nell'entourage di Armando De Rosa, il potentissimo assessore (prima Sanità, poi Agricoltura) collettore di tangenti per il clan Gava, uomo forte del doroteismo campano agli inizi degli anni Ottanta. De Rosa ama circondarsi di giornalisti di destra e così Falco - alla scuola dei Bruzzano e dei Filosa, già capiservizio al “Roma” e all'epoca disoccupati - si scopre una insospettata passione per il giornalismo televisivo. La sua progressione di carriera è spettacolare: diviene ben presto direttore di Telelibera 63, all'epoca di proprietà esclusiva di Rocco di Torrepadula, dc doc. Dopo la rottura, con relativo contenzioso giudiziario, si trasferisce a Napoli tv. Anche qui un licenziamento ben presto rientrato. Il ritorno sulla scena politica con Alleanza nazionale - è il fondatore del nucleo promotore a Napoli - è di qualche mese fa.
Sul gonfalone di Andrea Torino spicca invece il colore azzurro della tradizione monarchica: dentista personale di Achille Lauro, deve le sue fortune al Comandante. Presidente del Sorrento calcio, porta con piglio manageriale la squadra in serie B poi è tra i primi a fiutare il grande affare delle tv private.
E' con il fratello Vittorio, console onorario di San Marino e figura dallo spiccato talento affaristico, il padre padrone di Canale 21, la più popolare tv privata della Campania negli anni 70.
E' dai suoi studi che il borbonico Angelo Manna - che non aveva ancora dichiarato le sue simpatie repubblichine - costruisce lo straordinario successo del Tormentone, che lo porterà a Montecitorio con più di 80mila preferenze per la lista del Msi.
Canale 21 è una tv ultrapopolare: cantanti napoletani, sceneggiate, spogliarelli notturni, i quiz di Mario Savino (un tipografo passato con migliore fortuna al mondo dello spettacolo) concorrono a portare alle stelle l'audience della televisione di Villa Lauro.
Il crollo della flotta del Comandante non trascina nella disgrazia il dentista passato all'etere. Dopo il crack, anzi, il trasferimento degli impianti sarà occasione per un nuovo formidabile affare.
Negli anni Ottanta Torino attraversa un periodo di grigiore, che si tinge di verde per un'abortita avventura elettorale nelle file dei repubblicani. Torna in auge alla fine degli anni Ottanta quando ormai la tv privata è diventata un affare di frequenze e ripetitori. E così piazza un affare miliardario fittando per una cifra enorme un metro quadrato di terreno alla Tv di Stato dell'Arabia saudita.
Via Scarfoglio ad Agnano, la nuova sede, rappresenta infatti il punto medio tra la Saxa rubra di Ryiad e gli uffici londinesi della tv degli emiri. E l'installazione di un ripetitore tv frutta a Torino più di un miliardo all'anno. Un altro affarone lo fa con Telemontecarlo, vendendo una frequenza. Nessuna frequentazione invece con l'impero del Cavaliere nero: niente acquisti di programmi dalla Finivest né rapporti di affari con Publitalia. Ora l'avventura elettorale, ancora tinta dell'azzurro di Alleanza nazionale.
Giornalista di razza - sto parlando del mio maestro nel mestiere e la cosa mi costa qualche imbarazzo - con nessuna propensione per gli affari è infine Emidio Novi, direttore del “Giornale di Napoli”, testata nella quale si è formata gran parte della nostra redazione. Pugliese, emigrato giovanissimo a Napoli, alla fine degli anni Sessanta è il leader di Università europea, il gruppo nazimaoista che sale agli onori della ribalta per l'incendio dell'ateneo federiciano.
Agli inizi degli anni Settanta è vicesegretario nazionale del Fronte della Gioventù: la sua carriera assai promettente è stroncata da un errore involontario. A una scuola quadri è più applaudito del segretario del partito, Almirante. Non glielo perdoneranno mai. Sono gli anni della rivolta di Reggio e degli scontri di Battipaglia. Novi, straordinarie qualità tribunizie, martella i suoi camerati: basta con l'ossessione dello scontro fisico, bisogna estendere la rivolta popolare del Mezzogiorno contro lo Stato, i padroni del Nord, i sindacati. E' l'idea forza che - rigenerata dall'ondata populista dei primi anni Novanta - anima ancora le sue martellanti campagne di stampa dalle colonne del “Giornale di Napoli”.
Assunto come funzionario alla Regione in quota Msi, comincia a collaborare col Roma: dopo tre anni di abusivato riceve la lettera di praticante dal direttore Buscaroli.
A metà degli anni Settanta rompe col Msi legalista e pantofolaio, invocando una strategia che privilegi la rivolta di piazza agli accordi di sottogoverno con la Dc. Con grande anticipazione sui tempi e qualche talento futurologico, è un accanito, fanatico interprete della logica delle tribù e dello spirito di scissione etnico come elemento catalizzatore del moderno conflitto sociale. Avvia un percorso di avvicinamento a sinistra senza rinnegare niente della sua cultura di destra radicale: è pannelliano e garantista all'inizio degli anni Ottanta, poi viene folgorato dal decisionismo craxiano, dal suo anticomunismo, dal rigurgito di fierezza nazionale di Sigonella.
Traumatizzato dai lunghi anni di disoccupazione e di ostracismo subiti per il suo peccato originale di leader neofascista, sviluppa una repulsione paranoica per il cattocomunismo, la sinistra dc, il protagonismo sindacale. Con stile tipicamente fascista, convinto ancora che l'onore si chiama fedeltà, dalle colonne del “Giornale di Napoli” difende con dedizione degna di migliore causa i suoi padroni & padrini (prima Conte, poi Serriello) travolti dagli scandali di Tangentopoli. Il crollo del regime lo esalta: dimentico della lunga frequentazione con una delle frazioni della partitocrazia onnivora si erge a paladino della grande epurazione. Si è sempre considerato un politico prestato al giornalismo: dalle colonne del suo quotidiano si è preparato per un anno al ritorno in campo. Comunque auguri.
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