Il ’77 romano: parlano Vincenzo Miliucci e Franco Piccioni
Al 2 febbraio 1977, agli scontri di piazza Indipendenza, alla foto di Paolo e Daddo abbiamo dedicato ampio spazio. Oggi arricchiamo la storia con due testimonianze tratte dal prezioso “Una sparatoria tranquilla“, una storia orale del ’77 romano curata di Claudio Del Bello per Odradek edizioni in occasione del ventennale. Quelle del leader del Collettivo Politico Enel e di “Via dei Volsci”, Vincenzo Miliucci e del leader della colonna romana delle Brigate Rosse, Franco Piccioni
Vincenzo Miliucci
– Via dei Volsci
Arriva il ’77, quest’anno difficile per il compromesso storico, l’abolizione delle festività… ma all’università non c’è un movimento caratterizzato… Ci sono i compagni di via dei Volsci, quello che rimane della sinistra extraparlamentare, quelli del P.C.I…. ma non c’è ancora un movimento all’università, anche se gli studenti erano in stato di agitazione per via del numero chiuso e la controriforma Malfatti…
La banda Alibrandi
Arriva la banda di Alibrandi alla Minerva con una decina di fascisti, individua dei compagni, li rincorre estraggono le armi e sparano… e colpiscono il compagno Guido Bellachioma, che cade, e rimane in coma per una quindicina di giorni, col cranio perforato da una pallottola sparata da Alibrandi. I fascisti vengono respinti… scappano… si forma immediatamente il Comitato di agitazione.
Il 2 febbraio scendono in piazza 5.000 persone… escono dall’Università, tentano di assaltare il covo del M.S.I. di via Sommacampagna famigerato per le spedizioni squadriste all’Università e, a piazza Indipendenza, la polizia spara e colpisce due compagni che vengono mutilati: Leonardo Fortuna ha un braccio di ridotta motilità e Paolo Tomassini è tuttora claudicante…
D -… ma sparano anche i compagni. Un agente rimane seriamente ferito…
Miliucci – Non vorrei semplificare, ma i compagni, posti a copertura di un corteo che si muove contro fascisti armati che il giorno prima hanno sparato per ammazzarti reagiscono istintivamente per legittima difesa all’abuso delle armi da parte della polizia di Cossiga – mi raccomando il K quando sbobini. Di fatto nessuna inchiesta porterà mai alla sbarra gli sbirri per abuso di armi la legge Reale nel ’75 fu inventata apposta – Paolo e Daddo si fecero lunghissimi anni di galera, furono condannati, si portano per tutta la vita quelle ferite…
Il quartiere San Lorenzo
Il 2 febbraio il movimento si mette in moto… si vede che era il momento, che c’era questa sensibilità… Si usa lo spazio dell’Università, ma si usano anche le sedi del movimento antagonista… via dei Volsci… Ci sono anche le sedi delle case occupate a San Lorenzo. Il territorio intorno all’Università era sotto il “controllo” dei Comitati autonomi operai. Da una parte il quartiere San Lorenzo, con la sua lunga tradizione di resistenza popolare e antifascista, già luogo di tutte le sedi degli extraparlamentari – Voce operaia, Nuclei comunisti rivoluzionari, Lotta continua, Lotta comunista. Quello che passerà alla storia come il “Collettivo di via dei Volsci” era già in San Lorenzo la forza riconosciuta e “protetta” dal quartiere per essere alla testa dei bisogni popolari – casa, bollette, asili nido – in grado di punire i balordi che tentano lo spaccio d’eroina, di respingere le provocazioni poliziesche.
Una zona franca
Una “zona franca” in cui anche il sindaco non è il benvenuto, nonostante il P.C.I. nel ’76 prenda la maggioranza dei voti. Nel ’77 San Lorenzo ospita due radio del movimento, Radio città futura e Radio onda rossa; il raid assassino dei fascisti a Radio città futura infine non va in porto anche per il timore del linciaggio sul posto. Dall’altra parte dell’Università c’è il Policlinico Umberto Primo, sede della più lunga e autonoma lotta vincente dei lavoratori ospedalieri, che si sono già assunti la protezione dell’Università dallo squadrismo fascista. L’auletta del Policlinico è la sede del “Soviet” romano, in cui vive la politica nell’espressione più compiuta della democrazia diretta.
Francesco Piccioni – Brigate rosse
Il movimento per noi non era impresentabile. Era, grosso modo, nelle mani sbagliate. Un movimento non è mai senza confini. E’ un arcipelago di forze, che in parte sono organizzate e in parte no, che si coagula… Nel movimento ci stanno le “vecchie puttane” e i giovani che fanno per la prima volta politica. Quindi non è squadrabile con questo tipo di accetta. Per noi brigatisti, allora, il movimento è una composizione particolare di forze in cui pesano di più alcune forze organizzate. Pesano perché possono presentarsi in un certo modo, pesano perché hanno teorie che esaltano la spontaneità e la labilità dei rapporti organizzativi o politici.
Le forze organizzate
Non è quindi un problema di impresentabilità del movimento in quanto tale. Certo, noi brigatisti non è che stravedessimo per gli Indiani e la loro dimensione sostanzialmente apolitica. Però ci rendevamo conto che il movimento era egemonizzato di fatto da alcune componenti. In parte l’Autonomia operaia organizzata, che però era a sua volta un arcipelago di forze. Una cosa è via dei Volsci, e il Collettivo del Policlinico e dell’ENEL, altra cosa erano i Comitati comunisti rivoluzionari [rectius: i Comitati comunisti romani, che facevano capo a Luigi Rosati e Giancarlo Davoli, i Co.Co.Ri, era la sigla di Scalzone e Piero Del Giudice dopo la nascita di Prima Linea, ndb] che facevano un riferimento vago a quelli di Scalzone, che aveva invece una influenza più diretta sui Comitati comunisti di Milano. E così via, per frammenti sempre più piccoli.
Gli ex militanti di Potop e Lc
C’era una forte capacità di orientamento – non dico teorico, ma di “vulgata” teorica, di costruzione del “senso comune” – da parte di certi ex militanti di Potere operaio, inizialmente. Paolo e Daddo, per esempio, erano ex-militanti di Potere operaio. Altri che hanno avuto un ruolo nelle prime assemblee venivano da Potere operaio e da Lotta continua, che a quel tempo stavano mutando pelle. Sia Potere operaio che Lotta continua erano stati sciolti; c’erano frammenti della struttura organizzativa dei gruppi, e frammenti radicali di quei gruppi, che non accettavano lo scioglimento, che dicevano “va bene, l’organizzazione si è sciolta però noi dobbiamo ricostruire organizzazione”. Quindi per noi il movimento non aveva un unico volto.
Anche io partecipavo all’Assemblea
Ognuno vi portava una sua linea. E questa veniva giocata nelle assemblee. Nei comportamenti in piazza. Nelle forme di conflitto fuori della piazza. Nel ’77 avvengono una serie di azioni politico-militari nel territorio romano che fanno capo a vari nuclei organizzati. In senso politico, sono quasi tutti configurabili come “autonomi”. Però in buona parte non coincidono con quella che poi diventerà la faccia “ufficiale” o, meglio, mediatica dell’autonomia. Cioè via dei Volsci. Anche molti di noi erano conosciuti come “autonomi”. Il comitato per l’autoriduzione di Torre Spaccata faceva parte dell‘Assemblea autonoma romana delle realtà autorganizzate del ’75-’76. Io andavo alle assemblee del Comitato. Sono stato anche fermato nella sede di via dei Volsci durante una delle riunioni del Coordinamento. Insieme ad altri compagni che in seguito avrebbero fatto parte delle Brigate rosse, ma che erano “autonomi”.
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