In morte di Ciro Esposito: due o tre cose su cui riflettere, un dubbio da coltivare

Aderisco alla campagna non violenta del Napolista #NapoliRomainpace ma qualcosa sulla coazione a ripetere della stampa italiana nella tragedia di Ciro Esposito ho il bisogno di dirla. Era già successo il giorno della vergogna, quel maledetto 3 maggio. Per la prima volta negli scontri tra ultras compariva un’arma da fuoco e la canea di regime era pronta ad azzannare quella carogna di Genny. Ieri manco si era consumata l’agonia di Ciro e pronto l’Huffington Post gettava la croce su Napoli.

La civiltà di Napoli, l’ottusità del governo

Sono bastati uno striscione e due twitter lanciati da un singolo utente con un hashtag che non ha avuto presa per lanciare l’allarme sulla tremenda vendetta cercata dai napoletani. Invece alla risposta civile di una città straziata che si è stretta composta intorno a una famiglia  impeccabile nel dolore e nella responsabilità civile fa da contrappasso l’ottusa risposta repressiva del governo che si annuncia a lanciare una nuova stretta repressiva, con la misura del Daspo di gruppo dall’evidente profilo incostituzionale. 

Un delitto politico

Sono stato il primo a ricordare i precedenti di ultrà politicizzato di Daniele De Santis, il suo essere interno alla fascisteria giallorossa, l’intimità personale con alcuni dei nomi più noti della leadership nera della piazza romana più facinorosa, da Boccacci a Castellino. Eppure è di tutta evidenza che parlare di “delitto fascista” tout cour, come se si trattasse del risultato di una logica di “guerra per bande politiche” è semplicistico. La radicalizzazione dello scontro tribale attraversa gli schieramenti politici. I colori dello scontro restano il giallorosso contro l’azzurro e non il nero contro il rosso. E’ un caso che la vittima sia risultato avere legami personali e familiari con la sinistra e con gli ambienti dei movimenti sociali e di lotta della periferia settentrionale di Napoli.

Proprio i Mastiffs, il gruppo ultrà capeggiato da Genny ‘a carogna, infatti, si sono distinti in una serie di pratiche di controllo del territorio nel centro storico di Napoli, con pestaggi di gay e di stranieri, altrove tipici delle ciurme skinheads. Non sono quindi d’accordo con la “gabbia ideologica” in cui Alessio Postiglione cerca di costringere il “delitto della Coppa Italia” ma trovo francamente insensato che un politico di lungo corso come Marcello Taglialatela, e di lunghissima frequentazione in curva, chieda conto al sindaco di Napoli delle analisi socio-culturali di un suo staffista che scrive in un proprio blog e non in un organo dell’amministrazione.

Prima di chiedere la testa del giovane blogger, quindi, per aver espresso delle opinioni politiche, il parlamentare dei Fratelli d’Italia farebbe bene a ricordare che Daniele De Santis, il “criminale disadattato” autore di un “folle gesto” a cui non bisogna attribuire alcuna valenza politica, pochi anni fa è stata ritenuto degno di candidarsi nella coalizione che ha portato in Campidoglio Gianni Alemanno, che con Taglialatela milita da 40 anni, prima nella corrente rautiana e poi nella destra sociale.

Un dubbio giudiziario

L’anticipazione del Corriere del Mezzogiorno sugli esiti dell’autopsia di Ciro stravolge la ricostruzione prevalente della tragedia di Tor di Quinto che vede De Santis sparare sui napoletani che lo circondano per sottrarsi a un pestaggio dopo che era rimasto attardato e isolato rispetto agli autori dell’assalto al pullman dei tifosi azzurri provenienti da Bologna:

Ciro è morto per un colpo di pistola sparato ad altezza d’uomo che lo ha raggiunto alla schiena. È quanto stabilito dall’autopsia eseguita dal medico legale Costantino Cialella. Sia la vittima che la persona che ha sparato erano in posizione eretta.

L’unica modalità logica per questa dinamica è che a sparare sia stato un altro, dubbio a questo punto lecito nonostante la determinazione dei testimoni ad accusare De Santis, in cui soccorso già s’era ‘espresso’ la prova balistica.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 commento su “In morte di Ciro Esposito: due o tre cose su cui riflettere, un dubbio da coltivare

  1. Concordo con un aspetto evdenziato dal post , ovvero il tribalismo. Il tifo calcistico ha il potere di scatenare istinti tribali di difesa di un territorio (vero , ma molto spesso presunto) da nemici che si identificno con la squadra avversaria. Siamo ad uno stadio che precede il fascismo stesso ovvero quando il proprio orizzzonte termina con il nome del rione o del quartiere di appartenanza. Scrivo questo perchè abitando a Verona, osservo questo atteggiamnto nella tifoseria dell’Hellas nei confronti del Chievo Verona ovvero due club calcistici situati in zone deverse dela stessa città-

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