La fabbrica dell’emergenza

[Una riflessione storica, sempre datata alla primavera del 1990, sui temi dell'emergenza giudiziaria come fabbrica della legittimazione] 

La necessità fa la legge. La massima è vecchia. E la sua pratica - in Italia - è dura a morire. Veleggiamo oramai tranquillamente verso i 20 anni di governo dell'emergenza continuando a saltare di tigre in tigre e spesso trascinandoci addosso gli effetti cinici e perversi della cavalcata precedente.
Ultimo esempio è la proclamazione di una emergenza criminalità organizzata senza un adeguato supporto di dati o di avvenimenti che giustificassero questa affermazione e la relativa reintroduzione di una vasta gamma di provvedimenti illiberali assolutamente ininfluenti rispetto al fenomeno presunto (l'impunità di killer mafiosi e narcotrafficanti non dipende certo dalla legge Gozzini che ha dato invece per comune parere degli addetti ai lavori ottima prova).
Certo è mutata la natura del fenomeno da effetto della crisi di legittimità dello Stato-piano e quindi risposta del sistema dei partiti a un conflitto sociale radicale ingovernabile a manifestazione di una insuperabile usura e obsolescenza di una macchina istituzionale che anche in assenza di conflitti reali continua a produrre nemici immaginari per legittimare la propria riproduzione allargata. Il meccanismo no.
La svolta è collocabile tra la fine del 1973 e 1974. Il manifesto fallimento delle politiche riformiste del centro-sinistra e il suo avvitamento a fronte di un'insorgenza di un conflitto sociale radicale che dalle fabbriche dell'autunno caldo dilaga nel territorio, dai quartieri alle carceri dalle caserme alla fabbrica sommersa, mette mano a un colossale fenomeno di ristrutturazione. La manovra è a tenaglia: la crisi del Kippur (la decisione dei paesi arabi di usare terroristicamente i prezzi del petrolio per costringere un Occidente refrattario e energeticamente dipendente a piegare alla ragione uno Stato di Israele militarmente irriducibile) nel nome delle ferree leggi del mercato legittima un attacco frontale alla composizione di una classe operaia della grande industria che è all'attacco da anni (ricordate: allora gli stessi sindacati sostenevano che il salario era una variabile indipendente) i cui costi sono accollati allo Stato con un ricorso generalizzato alla cassa integrazione che mette in ginocchio i reparti più combattivi della classe. 
Sul terreno politico il passaggio fondamentale è appunto la cooptazione del partito della classe operaia nel governo dell'emergenza. Lo impone la necessità di legittimare questo attacco frontale indispensabile per ricostruire margini di profitto e sistema del comando di fabbrica. Lo consente la svolta politica internazionale in atto dal 1972 il disgelo con Cina e Urss la nascita della Trilateral la decisione - che puntuale si verificherà nel giro di un paio di anni - del governo invisibile di liquidare gli ormai impresentabili regimi autoritari mediterranei e che metterà mano nel 1975 alla conferenza di Helsinki.
Il terreno specifico per l' introduzione del Pci nell'anticamera dei bottoni è l'emergenza antifascista. 
Quando ormai Andreotti che aveva in precedenza presieduto un governo di centro-destra sovente puntellato dai voti missini aveva già deciso di abbandonare al proprio destino le sacche di resistenza alla svolta le frazioni e gli uomini degli apparati militari e di Polizia più disposti e decisi a un interventismo che non aveva mai messo mano a reali operazioni golpiste contentandosi di funzionare come strumento di pressione e di ricatto nei giochi del Palazzo arrivano le stragi del 1974. Con un solo colpo si regolano conti all'interno del Palazzo (la carriera di Taviani legato irreparabilmente al partigiano bianco Fumagalli protagonista dell'ambigua avventura eversiva del MAR ne uscirà sostanzialmente stroncata) si liquidano quei settori autonomi di fascisteria militante irriducibile al controllo degli apparati di sicurezza e si creano le condizioni psicologiche nell'opinione pubblica per invocare l'union sacrée.
Nasce così quel mostro di austerity e di consociazione che punta a liquidare definitivamente - in nome dell'emergenza il conflitto. e che otterrà invece il perverso effetto cancerogeno di rappresentarlo mistificatoriamente nella forma perversa dell'invenzione successiva di nemici assoluti da liquidare di volta in volta in nome appunto di un'emergenza che si trasmuta arricchendosi di volta in volta del bagaglio precedentemente elaborato. Si succederanno così in bell'ordine terrorismo P2 mafia e camorra, fenomeni questi ultimi intimamente connessi al funzionamento stesso delle macchine politiche. 
Non si discute qui e ora se e in che misura questi fenomeni abbiano rappresentato un pericolo reale perla democrazia italiana. Si richiama semplicemente l'attenzione sulla genesi di un meccanismo la nascita della cultura e della pratica dell'emergenza che ha sicuramente prodotto perversi effetti per finalità politiche evidentemente interne al sistema. E la formazione di una lobby di politici con la vocazione dei poliziotti di magistrati con la vocazione - ma non il disinteresse e lo spirito di servizio impersonale - di Torquemada (che pur di salvare le anime degli inquisiti era disposto a massacrarne i corpi) e di imbrattacarte di contorno che con devozione degna di migliore causa hanno allegramente trasmigrato di emergenza in emergenza sempre pronti a riciclarsi portandosi con assoluta levità un bagaglio greve fatto di strumenti e di modelli assolutamente intercambiabili (i pool i pentiti gli esperti...). Su questi nobili professionisti (di buone intenzioni è lastricata la strada dell'inferno) ha messo una pietra tombale Leonardo Sciascia. Ma il mostro dell'emergenza - nonostante gli appelli inascoltati di Cossiga per un ritorno alla norma del diritto - è ancora vivo e vegeto. Nonostante che quel conflitto operaio e proletario che lo aveva generato sia ormai sepolto. Nonostante che il sistema politico si sia dato un assetto instabile ma sostanzialmente incontestato. La necessità di un sistema adeguato alla gestione di una società in cui il conflitto si muta ma non scompare ed esprime le reali emergenze da governare (ambiente immigrazione...) ne impone comunque la liquidazione.

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