La lezione di Moro e di Don Raffaele

[Una riflessione a caldo sui provvedimenti emergenziali adottati dopo la strage di via D'Amelio]


strage_via_dAmelioNon abbiamo formule magiche o ricette pronto uso come i professionisti dell'antimafia ma non ci vuole la zingara per sapere che l'efficacia operativa dei provvedimenti adottati (deportazione nelle isole minori dei detenuti, invio delle truppe al fronte) va misurata in numeri algebrici. Trasformare il carcere dolce dell'Ucciardone nella pena afflittiva della segregazione di Pianosa sarà una punizione per i boss ma non destruttura certo i piani delle cosche di Cosa Nostra.
La militarizzazione del territorio è già stata sperimentata con il sequestro Moro: come ebbe modo di notare Sciascia si riuscì a sfidare la legge dei grandi numeri. Diciotto milioni di persone controllate: non un solo brigatista fu identificato ed arrestato. Lo stato d'assedio a Roma non impedì il trasporto del suo cadavere nel cuore politico della capitale, a mezza strada tra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù.
Prontamente è scattato il riflesso condizionato, di fronte all'esplosione della questione criminale dell'Agro, che porta a invocare provvedimenti eccezionali, a importare le tecniche "dure" adottate contro la mafia , anche se manifestamente prive di efficacia.
La detenzione stessa dei boss - è paradossalmente, ma è così - è essa stessa generatrice di conflitti: si pensi alla drammatica esplosione nel circondario Nord di Napoli dopo l'arresto di Mallardo e Licciardi, la feroce faida tra i Ruocco e i Di Girolamo a Mugnano, lo sterminio dei Prestieri a Secondigliano.
Si aprono spazi, sorgono velleità di ascesa nel Gotha del crimine organizzato, si violano gli equilibri che non si sentono più garantiti. Lo spiegava con il suo stile allusivo don Raffaele Cutolo a un intervistatore, citando le statistiche sugli omicidi durante il periodo della sua latitanza dopo la fuga da Aversa, invocando paradossalmente i meriti di un uomo di pace.
Deportare Giggino Venosa non disinnescherà la guerra tra i casalesi e i sanciprianesi. Una faida che ha superato il punto di non ritorno ed ha ormai al suo capolinea lo sterminio del clan perdente.
Certo, dalla periferia del malessere monta rabbiosa una domanda di ordine e di sicurezza, un bisogno forte di rompere la spirale della violenza e della prevaricazione: ma non si può risolvere la drammatica situazione dell'ordine pubblico in Terra di Lavoro con provvedimenti che mirano soltanto a soddisfare i borbottii che montano dalle viscere della società ma che non incidono minimamente nella metastasi purulenta che con vertiginosa velocità consuma il tessuto sociale ed urbano dell'Agro.
IL GIORNALE DI NAPOLI 9 AGOSTO 1992

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