La piazza leghista chiama allo strappo ma Salvini punta sull’unità del centrodestra
Salvini ci vuole credere e lancia il sasso (dai microfoni dell’Annunziata) ma l’unità del centrodestra a partire dalla definizione del programma e non dalla scelta del leader non funziona. In piazza a Bologna c’erano solo i suoi supporter: con le casse vuote e il partito allo sbando Berlusconi non può più contare su truppe cammellate per gli showdown. E si è sentito con chiarezza: un’insofferenza montante che si è ben presto trasformata in esplicita ostilità. Il leader del Carroccio sta tentando una difficile alchimia, tra mantenere gli equilibri del partito di governo (che amministra metà del Nord in stretta sintonia con Forza Italia, nella convinzione di riuscire ad assorbire quel che resta del berlusconismo) e lasciare briglia sciolta al movimento di lotta (che lo chiama allo strappo e al coraggio della sfida solitaria). Sono due bacini elettorali in parte contigui ma con un discreto tasso di incompatibilità: del 30 e rotti per cento, somma aritmetica delle tre forze, quanto resterebbe in un’unificazione forzata dalle forche caudine dell’Italicum?Quando Matteo Renzi ha scelto di pompare il “ruspante” giovanotto, concedendogli più tempo in tv di quanto fosse riservato a lui stesso, premier e leader del partito di maggioranza, aveva scommesso sul consolidamento di un’opposizione “naturalmente” minoritaria e quindi funzionale al suo disegno egemonico. Sottovalutando però la capacità di tenuta del grillismo da una parte e dall’altra della vastità della diffusione di umori e temi antipolitici e ultrapopulisti nell’elettorato. In uno spareggio Renzi-Cinque stelle su chi confluirebbero i voti dei nuovi elettori leghisti?
E così oggi Matteo replica a Silvio che dà del nazista a Grillo (e conferma una logica da “unità nazionale contro i barbari”, tipo progetto Marchini su Roma) con un’esplicita apertura di credito ai pentastellati. A giusta ragione: il suo pacchetto elettorale originale, comune ai nuovi populisti che sono maggioranza già in due paesi (Polonia e Ungheria) e avanza impetuosamente in diversi altri (dalla Francia all’Austria) ha molti più punti in comune con il M5S che con la minestra riscaldata di una “rivoluzione liberale” rivelatasi del tutto subalterna, nei passaggi decisivi, ai poteri forti. dal governo Monti al patto del Nazareno passando per la legge Fornero e il fiscal compact… Ma le sirene del realismo politico sembrano invece attrarlo irresistibilmente nella palude in cui finirebbe per affogare.
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