7.11.79: i lanciamissili palestinesi e i 3 Volsci arrestati
Il 7 Novembre 1979 un esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), “Fausto” contatta telefonicamente Giorgio Baumgartner, militante del Collettivo Policlinico. Il medico della Clinica ortopedica universitaria lo conosce bene. Con “Fausto” ha collaborato in più occasioni. Hanno raccolto medicinali da inviare nei campi profughi palestinesi, da sempre bersaglio delle rappresaglie aeree israeliane.
Stavolta, Giorgio deve recuperare d’urgenza una grossa cassa depositata lungo la Roma – Pescara e trasportarla a Ortona, provincia di Chieti. Decide di farsi aiutare da altri due compagni dei collettivi di via dei Volsci, Daniele Pifano e Luciano Nieri. I tre imboccano il casello autostradale intorno alle 21,30. Giorgio guida un camper piuttosto malandato insieme a Luciano.
Nella fretta ha dimenticato a casa tutti i documenti, patente compresa, Daniele li segue in una Fiat 500. L’assoluta disorganizzazione conferma il carattere del tutto improvvisato e occasionale del trasporto.
Catturati per sbaglio
La cassa è recuperata in autostrada e portata nella piazza di Ortona dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio. Nella stessa piazza pochi giorni prima, era stata rapinata una banca. Per questo motivo un metronotte, insospettito dalla presenza dei tre, avvisa i carabinieri. La pattuglia può fermare i tre poco prima dello scambio. La perquisizione dei due veicoli non ha dato risultati ma Giorgio è sprovvisto di documenti.
Il nome di Pifano, comunicato in centrale, fa scattare un controllo più accurato. A questo punto trovano nel camper la cassa contenente due lanciamissili SA-7 Strela. Scattano gli arresti anche per Saleh Abu Anzeh. E’ il militante dell’FPLP incaricato di gestire il recupero dei lanciamissili.
La canea dei complottisti
Tutti gli organi di stampa e i soliti politicanti si scatenano, complici servizi segreti e l’antiterrorismo di Dalla Chiesa. Per primo il presidente del Consiglio Francesco Cossiga. Può finalmente avallare il teorema del definitivo passaggio di Autonomia Operaia alla lotta armata. Le ipotesi più bizzarre si susseguirono senza sosta nei giorni successivi agli arresti. Secondo alcuni i missili servivano per attentare alla vita del papa. Secondo altri per colpire l’aereo di Kossiga. Altri ancora pensavano a un assalto a una base Nato o a un carcere speciale.
La realtà, come sempre, è lontana dalle ingegnose ipotesi dei media e dalle congetture fantapolitiche di chi intendeva screditare la lotta politica di un intero movimento. Certo, trovarsi tra le mani tre esponenti di spicco di Via dei Volsci che trasportavano missili terra-aria faceva comodo a tutti. L’ipocrisia del potere può tollerare che certi traffici li compiano partiti o sindacati o chiunque altro non pratichi l’internazionalismo proletario, la solidarietà dei movimenti rivoluzionari a favore dei popoli oppressi e soprattutto lo riveli apertamente con la propria militanza politica.
Ancora più imbarazzanti le prese di posizione dell’area anarco-sindacalista romana, a metà fra il sarcasmo e la stizza. Avevano diffuso un volantino in cui accusavano, senza mezzi termini, il collettivo di Via dei Volsci di essere “amico di Mosca” (a causa dei due missili di fabbricazione sovietica). Poi arrivò la pubblica smentita nel mezzo del processo ai quattro imputati, iniziato ufficialmente il 14 gennaio 1980 dopo svariati rinvii.
Il processo, la condanna
L’avvocato Mauro Mellini presentò la smentita ufficiale dell’FPLP alle innumerevoli ipotesi avanzate dopo il 7 novembre. Il comunicato assicurava la proprietà sui missili del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Si trattava di missili inefficienti, in quanto rotti. Non avevano mai previsto il loro utilizzo in territorio italiano così come non avevano richiesto la presenza di Pifano e Nieri. L’FPLP aveva contattato esplicitamente solo Giorgio Baumgartner così come aveva recapitato queste informazioni al governo Italiano pochi giorni dopo l’accaduto. Si chiedeva infine l’immediata liberazione dei quattro detenuti.
Al termine della requisitoria, il Pm Abrigati richiese 10 anni di reclusione per ogni imputato, per introduzione nel territorio nazionale e detenzione e trasporto di armi ma non ottenne la condanna per il primo reato, il più grave. La sentenza, emessa il 25 gennaio, con un’insolita efficienza della macchina giudiziaria italiana, condannò tutti e quattro gli imputati a 7 anni di reclusione. Tanta severità provocò più di una polemica in ambienti giudiziari. Il capo d’accusa solitamente non prevedeva più di cinque anni [la pena effettivamente stabilita in Appello, ndb].
FONTE: Infoaut
Se non sbaglio si parlò di un quinto elemento, non ricordo il nome, o sbaglio?
Io non ho mai letto di un quinto elemento. Ma da qui a dire che si sbaglia ce ne vuole. La materia è iinfinita …
KHALIDA JARRAR ANCORA IN DETENZIONE AMMINISTRATIVA
Gianni Sartori
Risaliva giusto a un anno fa (26 dicembre 2023) l’ennesimo arresto di Khalida Jarrar, militante del FPLP, ricercatrice all’Istituto Muwatin dell’Università di Birzeit, impegnata nella difesa dei diritti umani, femminista, ex membro del Consiglio legislativo palestinese.
Posta in detenzione amministrativa (senza accuse né processo, un’eredità del mandato britannico), tale condizione veniva rinnovata per altri sei mesi il 24 giugno 2024. Una sorte comune a quella di altri 3432 prigionieri palestinesi. Su un totale di circa 10mila, tra cui donne e bambini palestinesi detenuti (senza tener conto delle migliaia di abitanti di Gaza rinchiusi nei campi).
All’epoca i suoi avvocati denunciavano che Khalida Jarrar era stata tenuta in isolamento per sette giorni consecutivi. Sottoposta a severe restrizioni, presumibilmente anche a veri e propri abusi, nonostante il suo precario stato di salute.
Il 12 agosto 2024 gli agenti assaltavano, letteralmente, la sua cella nella prigione di Damon (dove sono state rinchiuse in pessime condizioni oltre un’ottantina di detenute palestinesi, molte in detenzione amministrativa come Layan kayed, Dania Hanatsheh, Shata Jaraba…o condannate a lunghe pene detentive come Shatela Abu Ayad e Nawal Fatiha) prelevandola con la forza e costringendola in un’altra, sporca e infestata di parassiti. Inoltre veniva privata degli indispensabili occhiali.
Tenuta per molte ore nel Bosta (il veicolo per i trasferimenti dei detenuti), senza essere interrogata, prima di essere trasferita nel carcere di Neve Tirza, solitamente destinato ai detenuti in isolamento. Senza poter incontrare il suo avvocato, in una cellula di due metri per 1,5 con l’unico spazio disponibile occupato da un materasso. Senza finestre e senza prodotti per l’igiene personale, vestiti e cibo adeguati.
In questi giorni (24 dicembre 2024) la detenzione amministrativa di Khalida Jarrar è stata ulteriormente prolungata almeno fino al 22 gennaio (ma non si esclude un ulteriore supplemento di pena).
Gianni Sartori