L’Assemblea di Roma. Il cappello dell’Autonomia sul Settantasette

Dalla pagina facebook Il Settantasette la testimonianza di un militante del Movimento, “Pos Poni” che ha suscitato più di una reazione stizzita. Io c’ero, con i miei compagni del Collettivo autonomo universitario di Napoli. Intervenni anche in una commissione e votammo la mozione presentata da Scalzone. Più che Oreste – i compagni all’epoca mi sfottevano assai per l’evidente somiglianza fisica: e divenni “Scalzoncino” – ci fomentò assai l’intervento di Luigi Rosati. Io l’ho raccontata altrimenti un anno fa ma non c’è dubbio che la testimonianza non è soltanto sincera ma anche autentica

26/27 Febbraio 1977. Assemblea Nazionale del Movimento Universitario. L’aula di Economia e Commercio è stracolma di studenti universitari, lavoratori, precari, disoccupati. La disposizione dell’assemblea, fin dalla prima mattina, fa capire che la battaglia per l’egemonia si farà ancora più intensa. I militanti dell’Autonomia occupano le prime file dell’aula e installano i loro esponenti più decisi alla «presidenza». Il foglio degli interventi è scomparso. (Nun ve inventate niente, lo dico ai pochi reduci sopravvissuti, ero presente). Vengono riprese le iscrizioni. Contemporaneamente all’inizio della discussione, però, comincia a coagularsi l’insofferenza generale verso l’andamento delle cose. Molti cominciano a riunirsi in altre aule e gli annunci di riunioni separate si moltiplicano. In particolare, si riuniscono a parte le femministe.

Una buona parte dei presenti, comunque, continua gli andirivieni tra l’atrio della facoltà e l’aula magna stracolma. La discussione, intanto, comincia a centrarsi sulla necessità o meno di una conclusione «politica» dell’assemblea, ossia sulla possibilità o meno di votare una mozione programmatica finale. Proprio l’Autonomia che, nei giorni precedenti a Roma, si era battuta contro le «mozioni», in quanto fonti di burocratizzazione e di egemonismo, si rivela la più tenace sostenitrice di una mozione politica conclusiva. La ragione è evidente. Contando sulla presenza nell’aula magna della totalità dei propri militanti, sulla debolezza rivelata dagli altri gruppi e sulla dispersione della maggioranza organizzata solo nelle strutture, ancora troppo fluide, di movimento, l’Autonomia vuole sancire il peso del proprio ruolo con una vittoria assembleare.

Si capisce facilmente dagli interventi che si susseguono che, con la mozione, l’Autonomia vuole far passare la propria egemonia sul movimento e la costituzione del movimento antagonista come «alternativa globale» al PCI e ai Sindacati, punto di riferimento anche per gli operai, cui si chiede il distacco definitivo dal sindacato. In particolare, poi (ed è questo il punto più dolente, l’elemento che rende insanabili fin d’ora i contrasti) in alcuni interventi di esponenti dell’autonomia di Città del Nord, si vuole mettere in luce “l’inevitabile continuità” tra il movimento e l’attività dei gruppi armati clandestini di cui, pur criticando blandamente alcune iniziative, si afferma la complementarità con l’azione del movimento. Quasi tutti gli interventi fatti da militanti non legati all’Autonomia insistono invece sull’inutilità di una conclusione programmatica, data la scarsezza di dibattito e la non rappresentatività formale di qualsiasi votazione (nell’aula magna non vi è neanche la metà dei presenti a Economia e tra essi preponderante è la presenza dell’Autonomia).

A scuotere questa discussione viene, alla ripresa dei lavori nel pomeriggio, l’intervento collettivo delle femministe che dichiarano, tra interruzioni e qualche insulto, di abbandonare un’assemblea nella quale non si riconoscono, visti i «giochi di potere» da «politicanti maschilisti» e la sopraffazione fisica e verbale che vi regna. Le accuse sono un po’ indistinte, rivolgendosi indiscriminatamente contro una generica «logica maschilista» e non individuando le precise responsabilità alla base dell’andamento assembleare. Però, gli urli e i commenti di replica (tra cui spicca il tristemente consueto «bocchinare! Mi dispiace ma è così l’ho detto c’ero) che vengono dai settori dell’Autonomia, improntati come sono a una truculenta arroganza e violenza verbale, non agevolano certo le possibilità di dialogo e buona parte delle femministe abbandona l’aula. Fa seguito un analogo intervento dei cosiddetti «indiani metropolitani» i quali dichiarano anch’essi di volersi riunire in un’altra sede e invitano i loro compagni ad abbandonare l’aula.

Tutto ciò, però, incoraggia ancor più l’area dell’Autonomia che, cominciandosi a sentire padrona del campo, intensifica le aggressioni verbali e fisiche nei confronti di chiunque si opponga in qualsiasi modo. Mentre l’assemblea continua in queste condizioni nell’aula magna, altre riunioni prendono l’avvio. Innanzitutto quella proposta dagli «indiani» alla quale partecipano, oltre alla cosiddetta «area creativa», varie centinaia di militanti del movimento romano e del Comitato di Lettere in primo luogo. Qui la discussione è calma e pacata, il clima è disteso, persino piacevole; il distacco dalle posizioni politiche e dalla pratica degli autonomi appare enorme. In un’altra aula si riuniscono i rappresentanti di varie sedi; scontenti dell’andamento caotico e rissoso della discussione, dell’organizzazione dei lavori e dell’impossibilità per molti di coloro che sono venuti da fuori di accedere all’aula magna stracolma, essi propongono che non si arrivi ad alcuna votazione su elementi programmatici.

Ma contemporaneamente, sia gli esponenti dell’Autonomia (soprattutto romana, milanese e padovana) sia quelli degli altri gruppi (Pdup, LC, Ao, Mls) si riuniscono al fine di trovare una qualche intesa per arrivare a votazioni su mozioni conclusive. I più decisi appaiono gli autonomi che hanno già preparato una mozione e intendono farla votare. Gli altri gruppi si mettono prima d’accordo su una seconda mozione; poi, all’ultimo momento, Lotta continua (nelle vesti di alcuni responsabili del gruppo redazionale del giornale) cambierà idea, toglierà il proprio appoggio alla mozione e tenterà di modificare, forse sotto la pressione di una parte della propria «base» restante, quella dell’Autonomia.

L’assemblea centrale, intanto, si avvia verso una caotica conclusione. Gli autonomi fanno capire di essere decisissimi ad arrivare a una rapida conclusione tramite votazioni su mozioni programmatiche. Saltano le iscrizioni a parlare e alcuni rappresentanti dell’Autonomia intervengono addirittura per la terza volta (vedi Scalzone: allora parlava a nome dei Comitati Comunisti Milanesi. Dai prova a negare vecchio Maestro; lo so lo so ma cosa voglio son passati più di quarant’anni). Chi vuole contrastare la manovra non ha praticamente accesso al tavolo della presidenza, letteralmente presidiato. Contemporaneamente, saputo dell’imminente votazione, dall’assemblea dove si erano radunati gli «indiani» e una parte del movimento romano esce una specie di corteo, a cui si uniscono anche alcuni collettivi femministi.

Gli autonomi diranno poi che un gruppo del Manifesto-Pdup intendeva strumentalizzare il malcontento di questi settori per boicottare l’assemblea centrale, in cui il peso del Pdup era risultato pressoché nullo. Ma in realtà, al di là delle intenzioni strumentali di alcuni, il corteo esprime una forte e sincera carica di indignazione nei confronti della pratica dell’Autonomia. Un migliaio di persone, circa, preme alle porte dell’aula magna, volendo entrare per proporre che non vi sia alcuna votazione. Ma gli autonomi (fratelli, compagni, militanti, per molti di noi stretti da un vincolo affettivo) si schierano in massa davanti alle porte e impediscono con la forza di entrare. I tempi della votazione vengono accelerati. La mozione contrapposta inizialmente a quella dell’Autonomia viene addirittura ritirata: comunque, essendo il frutto di un compromesso improvvisato tra i dirigenti di vari gruppi, era confusa e piuttosto insignificante.

I tentativi di alcuni esponenti dei gruppi (soprattutto LC) di apportare emendamenti sostanziali alla mozione dell’Autonomia non danno risultati. Viene dunque letta quest’ultima mozione che, oltre a esaltare il carattere eversivo e autosufficiente del movimento e a riprendere alcuni vecchi spunti del disciolto gruppo «Potere Operaio», sottolinea piuttosto pesantemente l’affinità che ci sarebbe tra la lotta del movimento e quella dei gruppi armati clandestini. Vi si parla di solidarietà, appoggio e mobilitazione in favore dei «comunisti combattenti prigionieri» nelle carceri borghesi.

Proprio quest’ultimo è il passo della mozione, per il resto assai farraginosa, retorica e trionfalistica, che più viene sottolineato dagli scroscianti applausi degli autonomi. Nell’aula partono anche slogan inneggianti alla lotta armata clandestina e alle Brigate rosse. Mentre la maggioranza dell’assemblea assiste allibita (ve l’ho detto c’ero inutile negare) la mozione, messa in votazione, riceve alcune centinaia di voti. La gran parte dei presenti, un po’ disorientata, un po’ impaurita e soprattutto impossibilitata a esprimersi su altre mozioni, non vota niente. Infine viene confermata la proposta, già fatta in precedenza dal movimento romano, di svolgere una manifestazione nazionale a Roma. (Mentre vado verso Chimica, cerco una persona che conosco io) sento dietro di me gli slogan “….non più parole, ma piogge di piombo!” e poi “Le piogge di Marzo saranno di piombo.”

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

2 Comments on “L’Assemblea di Roma. Il cappello dell’Autonomia sul Settantasette

  1. Per gli strani scherzi del destino proprio oggi mi sono capitate sotto gli occhi foto di quel 77 e mi sono messo a cercarne altre e così sono capitato qui…
    hai proprio ragione, c’ero anche io. c’ero all’assemlea a economia, c’ero alla riunione ristretta alla casa dello studente…eccetera
    ero uno dell’autonomia che più o meno si coordinava con rosati e g. davoli, ma noi eravamo di un’altra zona.
    inutile dire che finimmo tutti dentro… gli anni dopo.
    ciao

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