Le due vite di Enzo Fontana, dalla lotta armata alla scrittura

Enzo Fontana

Il 19 febbraio 1977 Enzo Fontana uccide un agente della Stradale, Dino Ghedini. Dall’inferno del carcere all’inferno di Dante: la sua evasione la trova nella letteratura. Per poi scomparire di nuovo, sottraendosi al successo letterario

Aprire questo libro per me è stato doloroso. L’ho letto d’un fiato e mi ha tolto il sonno, anche questa notte in cui ho ritrovato la forza per scriverne. È stato come riaprire una ferita, come viaggiare sulla macchina del tempo e ritrovarmi nella Milano degli anni ’70, “nel fiore dei miei peccati”. Non farò il benché minimo tentativo di fingermi uno scrittore o un critico al di sopra delle parti, semplicemente perché da ragazzo stavo dalla stessa parte di Walter Alasia, dalla stessa parte della barricata, intendo dire, anche se non nello stesso gruppo.

Dalla parte dei dannati della Terra

Noi si scelse, eccome, la parte per cui batterci. Era la parte dei “dannati della terra”, come scriveva il terzomondista Franz Fanon, o degli “ultimi”, come più saggiamente dice anche il più terzomondista dei successori del Pescatore del Mar di Galilea (papa Francesco, che propone però ben altri mezzi per curare i mali del mondo, e raccoglie comunque gli sputi e l’odio “urbi et orbi” di tutti i fascisti, razzisti, suprematisti, nonché le lodi di tanti ipocriti, anche sinistri, ai quali dei poveri non gliene frega niente, il che è peggio).

Era la parte degli operai, degli sfruttati, a cominciare dalla parte più sfruttata dell’umanità, la parte femminile. Insomma, noi si fece una scelta di campo. Dico questo per fare subito chiarezza, non certo con un fine apologetico, affinché nessuno possa dire, se non in malafede: “Certo, di buone intenzioni sono piene le fosse…”

Enzo Fontana, il combattente

C’è tutta la storia complicata e intrigante di Enzo Fontana in questo passo della sua recensione (“Persi nel Labirinto siamo diventati il Minotauro“) al libro (“Il tempo di vivere con te“) che lo scrittore Giuseppe Culicchia ha dedicato al cugino “grande”, Walter Alasia, appunto. Il brigatista di Sesto San Giovanni che ammazza due poliziotti e finisce ucciso anche lui.

Nella sua prima vita Enzo Fontana è stato un militante di Potere operaio e poi dei Gap di Feltrinelli. Impegnato sul fronte della logistica e del supporto ai latitanti della lotta armata. Il 12 dicembre 1972 la polizia ticinese lo fermò mentre si trovava in un’auto con targhe ticinesi e lo espulse per irregolarità riscontrate nei suoi documenti. Avrebbe trasportato in Italia – secondo Carlo Fioroni – il materiale bellico rubato da militanti ticinesi in uno stabile dell’esercito confederato a Ponte Brolla (Locarno) il 16 novembre 1972.

L’omicidio del ’77

enzo fontana

Quattro anni dopo Enzo Fontana è catturato in seguito all’uccisione di un brigadiere e al ferimento di un appuntato a Settimo Milanese nel corso di un controllo. La pistola utilizzata fu rinvenuta in una cassetta di sicurezza di una banca a Lugano. E’ la prima vittima della violenza politica nel ’77 il brigadiere della polizia stradale Dino Ghedini.

La sera del 19 febbraio nell’hinterland milanese, ferma per un controllo una Simca guidata da Enzo Fontana. Sta per perquisire l’auto, Ghedini, quando il giovane estrae una pistola uccidendolo sul colpo. Ferito gravemente l’appuntato Adriano Comizzoli, Arrestato, Fontana si dichiara prigioniero politico. Sul sedile posteriore trasportava documenti delle Brigate rosse. Verrà condannato a 26 anni di reclusione 

Dall’arresto al successo letterario

In carcere, Fontana prenderà due lauree, scrivendo nel 1988, insieme ad altri detenuti politici (Giorgio Semeria, Francesco Bellosi, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli e Vincenzo Scaccia) il testo teatrale Labirinto, messo in scena al Teatro Pier Lombardo di Milano. Il 3 aprile del 1990, mentre si trovava in semi-libertà, è riarrestato a Rovello Porro (CO), unitamente a Giorgio Giudici, per un tentato furto. L’episodio impressionerà Giorgio Bocca che lo racconta così in Il provinciale:

L’altro ieri ho saputo che Enzo Fontana è stato arrestato dai carabinieri di Varese. Aveva ottenuto da poco la libertà vigilata, ma non trovava lavoro. Così si è messo a contrabbandare armi ed è di nuovo dentro. Un ragazzo di grande talento letterario, ha scritto pagine bellissime sul labirinto, una metafora del terrorismo, la sua tragica ricerca del Minotauro, divoratore di carne umana, in cui il terrorismo si specchia e si riconosce.

Enzo Fontana: Dante mi è padre

Nel 1996 – racconta Davide Steccanella – pubblica Tra la perduta gente con Mondadori. «Nel supercarcere dell’Asinara la Commedia mi veniva concessa a brani, qualche pagina alla volta, strappata qua e là secondo gli umori del direttore Cardullo”, dirà in un’intervista del 1996 al Corriere della Sera, aggiungendo: «Dante mi è padre. Quella sua vita, così tormentata, faticosa, somiglia per tanti versi alla mia. Considerato traditore, condannato prima all’esilio, poi alla morte. Certo, lo so bene: lui era innocente, io no. Ma la sofferenza è la stessa che accomuna tutti coloro che cadono in disgrazia. Approfittando di una licenza sono andato a Ravenna, sulla sua tomba. Mi ha accompagnato il direttore della Classense, Donatino Domini. Era l’una di pomeriggio, tranne noi non c’era nessuno. Uno strano silenzio, un irreale senso di pace. Mi è parso che in quel sepolcro ci fossero le ossa della poesia». Alla domanda su dove si sentisse più a suo agio tra Inferno, Purgatorio e Paradiso, ha risposto: «All’inferno per la compagnia e in paradiso per il clima. L’inferno non è poi difficile da concepire: basta guardarsi attorno e dentro, nel profondo. La selva oscura in cui tutti ci perdiamo altro non è che la nostra condizione umana».

Nel 1999, la Presidenza del Consiglio dei ministri gli conferisce per meriti letterari “un premio alla cultura”.

Un’idea forte della letteratura

Della sua qualità letteraria, dalle pagine di Pangea, ci rende conto il giornalista e scrittore Davide Brullo, uno dei pochi che esercita ancora il piacere della stroncatura

Il successo è proprio una puttana. In una biografia ancora reperibile in rete, questo covo di porcate e di déjà vù, è detto “scrittore di successo”. Oggi, in realtà, se dico Enzo Fontana pochi alzano la mano, sanno chi è. Enzo Fontana ha fatto la guerra, la guerra civile degli anni Settanta. “Diciottenne, prese la strada della rivolta armata”, dice un’altra, devota didascalia. Per questo, l’hanno messo in carcere. Milanese, classe 1952, nel 1996 pubblica per Mondadori Tra la perduta gente, un romanzo sulla vita di Dante, che diventa, come si dice, un ‘caso editoriale’. Fontana pubblica una manciata di altri libri, tra cui L’ultimo viaggio di Ulisse (Laterza, 1999) e Il fuoco nuovo (Marietti, 2006, sulla calata in Messico di Cortés e l’incontro con Montezuma), che ne fanno uno degli scrittori contemporanei più importanti degli ultimi due decenni. Poi scompare.

Enzo Fontana fa parlare i testi

Oggi, in questo Paese di irreparabili lacchè, è pressoché introvabile, i suoi libri non si ristampano più. Nel 1996, sulla ‘cresta dell’onda’, Fontana compila, per l’editore Guaraldi, una specie di canone dei suoi classici. Il libro si chiama Mia linfa mio fuoco e ha diversi pregi. Intanto. Fontana non ‘commenta’ i testi, se non sommariamente, come fanno gli attuali scrittori appesi al trombone della propria insipienza. Non parla lui, fa parlare i testi. E sono testi, come è lui, conturbanti, che torturano: da Jack London (Il vagabondo delle stelle) a John Steinbeck, dal Qoèlet al Faust, dai Lusiadi del portoghese Luis de Camões (“per giorni e notti mi aprì orizzonti oceanici”) al Cántico spiritual di Giovanni della Croce. Soprattutto, Fontana ha una idea fieramente forte di letteratura, mica roba da intellettuali intorno al tè (…).

“Io ho trovato la mia consolazione, se non la salvezza, nella poesia. Per salvarmi mi sono creato un mondo dove il tempo non è scandito dall’aprirsi e dal chiudersi dei cancelli di ferro, dal tintinnare delle chiavi in mano al capoposto, dal mestolo che il detenuto picchia contro il carrello del vitto, dall’ora d’aria, dalla parola d’ordine urlata a squarciagola dalle sentinelle sul muro di cinta, dalla luce accesa in cella ogni due ore nel cuore della notte, dalla battitura delle sbarre alle finestre che le guardie compiono due volte al giorno… mi sono isolato in un mondo dove il tempo è scandito dalle cose che scrivo e dalla lettura dei buoni libri: Omero, Virgilio, Shakespeare, Cervantes, Goethe, Tolstoj… La Commedia e la Bibbia, più di qualunque altra opera, mi hanno consolato”. La letteratura non è consolatoria – facile moina per lettori beoti – ma consola, conforta, fa forti nel covo del proprio niente. La letteratura è questa: una cella fuori dal tempo, una prigionia, l’evasione, l’invasione delle parole. Qualcosa che precede tutte le morti.

La lotta e l’amore: dialogo con Enzo Fontana

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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