[Commento a una strage di camorra]
C'è un filo rosso che lega la furiosa rivolta etnica di Los Angeles contro l'aberrante sentenza che ha prosciolto i poliziotti bianchi autori del feroce pestaggio di un automobilista nero e la strage di Acerra. Ed è l'impazzimento di qualsiasi codice di regolazione del conflitto: l'incapacità cioè delle agenzie del controllo sociale di ridurre a un tasso di violenza tollerabile per l'intera società la complessa fenomenologia del crimine organizzato e della devianza. E al tempo stesso l'avvitarsi di questi fenomeni in una escalation senza limiti.
La maggior parte delle vittime di Los Angeles, quasi la totalità dei danni materiali sono all'interno della comunità afro-americana: la furia della rivolta si è scatenata, come un virus informatico, con violenza autodistruttiva.
La vendetta trasversale di Acerra esprime compiutamente il dilagare di una violenza cieca e incontrollata che suscita l'orrore degli stessi uomini che vivevano della camorra e nella camorra come in una seconda pelle, un' organizzazione sociale con un forte sentimento dell'appartenenza e dell'identità, con i suoi codici, le sue reti di solidarietà, gli spazi del sacro e della sospensione.
Qualche tempo fa - subito dopo la strage dell'autostrada alla barriera di Afragola - giunse in redazione un telegramma di Peppe Misso, boss della Sanità, marito di una delle vittime. Con grande fermezza e pudore invocava silenzio sulla sua tragedia. Le nostre parole - a suo giudizio, cito approssimativamente e a memoria - finivano per esaltare la duplice infamia di chi aveva ucciso una donna innocente e moglie di un detenuto. Una donna che quindi avrebbe dovuto godere di una duplice immunità. Non fu così, non sarà più così.
Non siamo certo animati da nostalgie borboniche per la bella e Onorata società del tempo che fu. Sappiamo benissimo che sono inarrestabili la tendenza all'implosione della società criminale, il dilagare del modello della guerra di tutti contro tutti nella forma della guerra giusta che ha al suo capolinea lo sterminio, il genocidio come unica modalità di essere del conflitto criminale. Eppure avvertiamo con raccapriccio - nell'orrore per tutte le vittime innocenti: ma esistono poi veramente vittime colpevoli - che nella ferocia dei killer di Acerra si invera la lezione del "professor" Cutolo. Don Raffaele, uno che ha indubbia competenza, in una recente intervista televisiva, dati statistici alla mano, sottolineava - pro domo sua - come l'impennata geometrica del numero degli omicidi in Campania all'inizio degli anni '80 fosse direttamente collegato alla situazione di vuoto di potere che si era venuta a creare con il suo arresto.
Nell'impazzimento della guerra per bande tra i clan di Acerra e di San Felice a Cancello concorrono elementi arcaici e moderni: la sacralità della vendetta di sangue, certo, che però diventa sacrilega nell'atroce sfregio contro il feto nella pancia della madre da una parte; l'evidente centralità del conflitto economico - per il controllo degli appalti nell'area, per mettere le mani sull'interporto, il moderno mercato della frutta dei Pascaloni degli anni '90 - dall'altra.
E sullo sfondo, irrefrenabile come l'angelo della storia di Benjamin, avanza sul proscenio, nei lividi bagliori di questo atroce fine millennio, l'Apocalisse prossima ventura.
GIORNALE DI NAPOLI 3 MAGGIO 1992
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