Lotte alla Fiat e violenza br nella battaglia contrattuale 1972-73

Il 12 febbraio 1973 un commando brigatista impone la gogna al segretario provinciale della Cisnal di Torino. Bruno Labate è sequestrato, malmenato, rapato e abbandonato dopo quattro ore davanti ai cancelli di uno stabilimento Fiat. L’episodio si colloca all’interno di un duro ciclo di lotte operaie per la vertenza contrattuale dei metalmeccanici. Il sequestro lampo dimostra come la prima stagione della lotta armata brigatista aveva una forte interazione dialettica con le iniziative dei settori di avanguardia di massa della classe operaia del più grande polo industriale in Italia. In questa prima parte ricostruiamo i complessi “antefatti”.

Autunno 1972. Tempo di contratti per i metalmeccanici. La padronale Federmeccanica, forte della riedizione del centrismo (governo Andreotti), si prepara allo scontro con una piattaforma basata sulla regolamentazione del diritto di sciopero, la piena utilizzazione degli impianti ed il controllo fiscale dell’assenteismo, che prevede la collaborazione attiva da parte del sindacato.
Per conto suo la FLM, dopo essersi pronunciata in un convegno a Brescia contro il “massimalismo rivendicativo,” sottopone all’assemblea dei delegati a Genova una piattaforma che viene “approvata tra le sonore proteste” della sinistra sindacale.
È chiaro che lo spettro dell’autunno caldo è tale anche per i sindacati: il problema anche per loro è di ridurre al minimo le tensioni, i cortei e gli scioperi interni. La provocazione fascista delle bombe ai treni vede una debole risposta da parte del proletariato torinese: la partecipazione operaia è scarsa sia allo sciopero sia alla manifestazione cittadina del 28 ottobre “contro il fascismo.” La propaganda della CISNAL e del SIDA contro gli scioperi politici comincia a fare breccia.

Agnelli e Andreotti affilano le armi e quando, inaspettatamente, per la prima volta alla FIAT, un corteo interno di impiegati tenta di unirsi agli operai, viene fatta scattare la legge della rappresaglia: 5 lettere di licenziamento a operai e impiegati individuati grazie alle spie della centrale terroristica FIAT. Qualche giorno dopo Agnelli rilascia all”‘Espresso” la famosa intervista del profitto zero, nella quale viene trasparentemente disegnata un’alleanza di largo respiro tra le forze produttive (individuate nei padroni e nei sindacati) contro le rendite parassitarie. È in pratica un segnale: Agnelli scarica Andreotti e dà inizio al flirt con Amendola, che vedrà nel convegno del Mulino il punto di massimo sviluppo.
E’ questo il periodo in cui circolano, anche nell’ambito della “sinistra,” le mistificazioni sul nuovo modo di fare f automobile, e il vagheggiamento del miraggio delle isole di montaggio. È chiaro che lo scopo di Agnelli è quello di dividere e quindi indebolire la classe operaia. Un certo disorientamento si diffonde infatti tra i lavoratori FIAT, che subiscono le violenze dei fascisti e dei guardioni i quali continuano indisturbati la loro opera di provocazione. Il 17 novembre 1973 il vicecomandante dei guardioni si scaglia con l’automobile contro un picchetto: la polizia è’ prontissima nell’arrestare due operai colpevoli di aver accennato una reazione. Altri 4 compagni ricevono lettere di licenziamento.

Si assiste ad una spartizione dei compiti tra fascisti e polizia: il 22 novembre, per esempio, una squadra di fascisti tenta di sfondare il picchetto a Rivalta, mentre l’altro ingresso, a Mirafiori, è saldamente in mano alla polizia che lo presidia. Il CdF denuncia, in un comunicato, lo stadio a cui è giunta la penetrazione dei fascisti in fabbrica. Il 25 novembre, per la prima volta dopo sei mesi, la sinistra extraparlamentare organizza una manifestazione a Torino. Le parole d’ordine sono: “contro le 600 denunce, contro il governo Andreotti, contro il fascismo.” Polizia e CC la reprimono violentemente coordinando la loro azione con quella dei fascisti che hanno il compito di organizzare scontri e provocazioni: il consuntivo è 30 fermi e 11 arresti. È in questo contesto che alle 6,30 del 26 novembre le BR incendiano quasi contemporaneamente 9 automobili di altrettanti fascisti scelti tra quelli che operavano in fabbrica al servizio dei guardioni di Agnelli. Il giorno successivo viene distribuito a Rivalta il volantino che annuncia l’esemplare punizione. [In coda al volantino di rivendicazione un annuncio esemplare dello stile brigatista, ndb]

Nota: In seguito a questa azione è stata involontariamente danneggiata anche la 500 dell’operaio Pasquale Di Fede. Rassicuriamo il signor Di Fede che le Brigate Rosse risarciranno interamente il danno. Torino, 26 Novembre 1972.

L’episodio, trascurato da tutta la stampa, ha invece un’ enorme ripercussione in fabbrica. Colpendo la FIAT nell’anello piú debole, perché il più scoperto, della politica di Agnelli, le BR ne intendono palesare la sostanza terroristica. Nello stesso tempo, rifacendosi vivi dopo sei mesi di silenzio, in una città dove non erano mai stati presenti, danno una risposta a chi li riteneva spacciati. Più tardi così commenterà “Controinformazione”: “I fascisti che in quel periodo erano lo strumento principe della politica padronale, si sentivano scoperti malgrado l’ombra protettiva della FIAT. `Qualcuno’ strettamente collegato alla fabbrica, aveva cominciato a seguirli e a schedarli, ad uno ad uno, come essi avevano schedato gli operai piú combattivi, a seguirli ed annotarsi i loro indirizzi e i loro numeri di targa, come essi avevano pedinato le avanguardie di lotta. Poi, con tempestività e coordinamento cronometrici, li aveva colpiti […]. Per giorni e giorni, forse mesi, decine di fascisti erano stati osservati, vagliati, selezionati. Su ciascuno di essi era stato prodotto un `rapporto dettagliato’ che metteva in evidenza il curriculum politico (come mostravano i volantini diffusi).”

A questo punto si registra una inversione di tendenza nel “morale” degli operai: tre giorni dopo gli incendi, nel corso di uno sciopero, un corteo interno di 4.000 lavoratori percorre con le bandiere rosse tutti i reparti spazzando crumiri e fascisti. Il capofficina del montaggio, considerato responsabile di un licenziamento, viene scacciato dalla fabbrica, insieme a un altro capetto, con al collo una bandiera rossa. Col passare dei giorni i cortei interni, divenuti oramai una pratica usuale, cominciano a porsi come momenti di potere proletario in fabbrica. Si giunge al punto che i soliti combattivi cortei non trovano piú sulla loro strada né crumiri né capi, che prendono l’abitudine di dileguarsi appena vedono la malaparata.

La sconfitta di Agnelli è totale, anche se “l’Unità” continua a condannare “queste azioni estranee al movimento dei lavoratori.” La reazione, battuta in fabbrica, cerca la rivincita all’esterno. Il 9 dicembre la questura di Torino presenta decine di denunce contro 800 lavoratori: molti sono operai accusati di “sequestro di persona con l’aggravante di aver compiuto il reato in piú di 5.” Agnelli per conto suo non disarma: licenzia 5 compagni (due dei quali dirigenti del PCI), e ne minaccia altri 30. Motivi: “voluta lentezza,” “scarso rendimento,” “per aver istigato gli operai a suonare il clacson,” ecc. Il terrorismo di Agnelli fa breccia sul sindacato.
FIAT e FLM firmano un comunicato congiunto, il cosiddetto verbale di intesa, presto ribattezzato dagli operai verbale di resa: “Le parti si sono date atto di reciproca volontà di evitare ogni forma di degenerazione della vertenza aperta per il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici, e di non introdurre in un conflitto di questo rilievo elementi di drammatizzazione che farebbero sorgere nuovi ostacoli al raggiungimento d’una intesa […]. Nei confronti dei capi e dei dirigenti l’atteggiamento delle organizzazioni sindacali deve essere diretto a evitare ogni tipo di scontro […]. L’azione sindacale esclude ogni forma di violenza.” Per meglio mettere in atto i buoni propositi, l’FLM diffonde una nota in cui invita i propri attivisti ad impegnarsi per “isolare con fermezza ogni incitamento.”

La FIAT a sua volta riassume i licenziati, trasferendoli però in reparti “confino” dove è impossibile svolgere attività sindacale. In particolare uno di questi, dirigente del PCI, viene spedito in un magazzino all’interno del quale opera una cellula del MSI. Le decisioni del sindacato provocano gravi lacerazioni all’interno della base operaia: per questo motivo un comizio dell’FLM con Trentin, Benvenuto e Carniti viene annullato. Il Comitato di base della FIAT Mirafiori denuncia con violenza il carattere opportunista del verbale di intesa secondo il quale – si osserva – in cambio della pace sociale, Agnelli avrebbe assicurato a partiti e sindacati di affossare Andreotti e rilanciare il centrosinistra.
Anche LC ha parole di dura condanna per il compromesso raggiunto. Viceversa “l’Unità” e “il Manifesto” lo salutano come una grande vittoria che ha portato alla riassunzione dei licenziati. Mentre il sindacato risponde ai licenziamenti col compromesso, le BR continuano ad attaccare il “fascismo FIAT” nel suo anello piú debole, con l’obbiettivo immediato di contrastare il tentativo di imporre un ritorno alla pace sociale. Il giorno 17 dicembre, le BR offrono pertanto una replica dell’azione del mese precedente: sei auto di “sindacalisti gialli” vengono distrutte quasi contemporaneamente. In fabbrica un volantino diffonde la notizia (…)

Ma i fascisti, forti del patto FLM-Agnelli, rialzano la testa: le percentuali degli scioperanti diminuiscono, i cortei interni si fanno piú fiacchi. È a questo punto che getta tutto il suo peso sulla vertenza nientedimeno che il capo dello stato Leone, il quale nella tradizionale allocuzione di fine anno condanna l’assenteismo. L’ammonimento ha scarsa presa sugli operai. Piú sensibile si mostra la corporazione dei medici di Torino che emette prontamente una circolare in cui si invitano i medici della mutua a non concedere ai lavoratori giorni di libertà per malattia se non quando è impossibile farne a meno. L’11 gennaio alle 9 un nucleo, probabilmente costituitosi “spontaneamente,” attacca la sede della CISNAL, bastona un attivista fascista della FIAT, lo perquisisce e distrugge, dopo averlo requisito, il materiale informativo rinvenuto. Viene diramato da questo gruppo un comunicato: “L’iniziativa di questa mattina è una prosecuzione coerente dell’attività antifascista delle masse. I cortei in fabbrica fanno giustizia dei capi, dei crumiri, dei fascisti ed esprimono la volontà di togliere qualsiasi spazio ai nemici di classe. No al congresso fascista a Roma! No al governo Andreotti! Per il Comunismo.”

È questa la prima azione “armata” di una guerra che ormai, nonostante il “verbale di intesa,” diventa senza quartiere: il 17 gennaio 4 fascisti con spranghe e catene colpiscono gli operai fuori dai cancelli. Nel corso dell’azione i CC con insolita tempestività arrestano i 4 compagni aggrediti. Un delegato viene arrestato con l’accusa di aver favorito la fuga di un’ operaia rincorsa dai celerini. Il 22 gennaio la direzione invia 5 preavvisi di licenziamento. Lo stesso giorno, alla Lancia, truppe di celerini sfondano i picchetti sparando sugli operai: 4 feriti. Il 23 gennaio, a Milano la polizia carica e spara su un gruppo di studenti uccidendo Roberto Franceschi.

Il 27 gennaio a Torino le forze dell’ordine aprono di nuovo il fuoco sui compagni che protestano per l’assassinio di Franceschi: non muore nessuno, ma vengono spiccati 25 mandati di cattura contro i presunti partecipanti alla manifestazione; tra questi Guido Viale. È ormai chiaro che lo stato si prepara a gestire in prima persona la lotta, trasferendola dal terreno infido della fabbrica all’esterno, ed è altrettanto chiaro che ormai ha scelto la via dello scontro armato. Come rappresaglia a uno sciopero di 185.000 lavoratori, la FIAT sospende il 2 febbraio 5.000 operai. La risposta è un corteo interno di 20.000 compagni che a Mirafiori spazza e punisce crumiri e fascisti. Fioccano i licenziamenti con le motivazioni piú banali e provocatorie del tipo, per esempio, “per aver disturbato il lavoro.” Il 9 febbraio a Roma la piú grande manifestazione operaia dà la misura della contraddizione tra la combattività delle masse e l’incapacità della direzione sindacale a incanalarla verso obbiettivi vincenti.

Il sequestro Labate

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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