12 gennaio 1995: arrestata figlia di Malcom X. Voleva uccidere Farrakhan
Il 12 gennaio 1995 Qubilah Shabazz, figlia di Malcom X è arrestata con l’accusa di aver commissionato l’omicidio di Louis Farrakhan, il leader della Nazione dell’Islam, che ritiene il mandante dell’esecuzione del padre. Da quell’antico scontro che lacerò la comunità afroamericana, con i “razzisti neri” decisi a liquidare il progetto rivoluzionario di Malcom X, si arriva a una serie di giri di valzer. E la ricomposizione tra la famiglia del leader più amato dai neri d’America e la setta religiosa. Una vicenda che avrà comunque un finale tragico. Con il figlio di Qubilah affidato alla nonna che ammazza incendiandone la casa. La vicenda è ben ricostruita in un bel reportage del Foglio di cui pubblichiamo un ampio stralcio
Farrakhan a sorpresa difende Qubilah
Nel 1994, per la prima volta, Betty attacca apertamente la Nazione dell’Islam per l’omicidio del marito. Louis Farrakhan respinge le accuse e chiede agli americani di considerare l’atmosfera di ostilità razziale come principale causa di morte di Malcolm X. Nel gennaio dell’anno successivo, la figlia di Betty e Malcolm, Qubilah Shabazz, viene accusata dalle autorità di Minneapolis d’aver tentato di assoldare un killer per uccidere Farrakhan. Una vendetta per l’assassinio del padre. Il killer si rivela essere un informatore dei federali ma, tra la sorpresa generale, Farrakhan assume le difese di Qubilah, sostenendo che la donna sia stata manipolata dai federali per seminare tensioni nella Nazione dell’Islam e in genere nella comunità afroamericana. Nel maggio del 1995 Betty Shabazz acconsente a una pubblica riconciliazione con Farrakhan, stringendogli la mano sul palco dell’Apollo Theater di Harlem, nel corso di un evento organizzato dalla Nazione, come raccolta fondi per la difesa legale di Qubilah.
La campagna di odio della Nazione dell’Islam
Quella sera Farrakhan ammette per la prima volta il coinvolgimento della sua organizzazione nell’omicidio di Malcolm X, chiamando a corresponsabilità il governo e accusandolo d’aver strumentalizzato “l’ignoranza e il fanatismo nei ranghi della Nazione dell’islam e degli stessi seguaci di Malcolm” e di aver così creato “un clima che ha permesso che venisse ucciso”. Un tentativo di minimizzare il suo ruolo nell’assassinio che però mal si concilia coi tremendi attacchi che la Nazione dell’Islam aveva rivolto a Malcolm, allorché si era staccato per fondare la Oaau e la Mulsim Mosque Inc., nel tentativo di sensibilizzare i neri sulle responsabilità del governo nel sabotaggio della loro lotta di liberazione. Più delle tardive ammissioni di Farrakhan, merita attenzione ciò che egli stesso scrisse sul giornale della Nazione dell’Islam dieci settimane prima dell’uccisione di Malcolm X: “Solo coloro che vogliono finire all’inferno, o andare incontro alla rovina, possono dar retta a Malcolm”. Farrakhan e gli altri leader della Nazione nei loro discorsi aggredirono Malcolm.
Un tentativo di chiudere lo strappo
Nelle settimane precedenti all’assassinio, diversi componenti del suo team subirono aggressioni e alcuni vengono uccisi. Malcolm esce dalla Nazione dopo essere venuto a conoscenza dei costumi sessuali corrotti e degli interessi personali coltivati da Elijah Muhammad, capo della Nazione dell’islam. Subito dopo la morte di Malcolm, Muhammad lo apostrofa come un’ipocrita che ha avuto ciò che meritava. Le dichiarazioni di Farrakhan del ’95 vanno perciò lette come un tardivo tentativo d’agganciarsi all’aura che da anni circonda Malcolm X, in particolare tra i giovani. Le motivazioni sono chiare: nei suoi discorsi, Malcolm andava oltre i temi di rivendicazione razziale avanzati dalla Nazione, parlava dei popoli oppressi dentro e fuori gli Stati Uniti e invitava a quella partecipazione alla politica attiva da cui la Nazione si asteneva, in segno di rifiuto sociale. Un’imbarazzante ritrattazione, quella di Farrakhan, a prova della sua impotenza nel tentativo d’evitare che l’albatros – il cadavere di Malcolm X – soffochi il crescente oscurantismo della Nazione dell’islam.
La riconciliazione e la fine
Nell’ottobre del ’95, tuttavia, Betty Shabazz è tra gli oratori della Marcia di un milione di uomini organizzata da Farrakhan. Qubilah alla fine evita il carcere e accetta di sottoporsi a un trattamento psicologico e alla rieducazione per gli eccessi di droghe e alcol. Durante il ricovero, il figlio di Qubilah, il dodicenne che porta il nome del nonno Malcolm, va a vivere nell’appartamento di Betty, a Yonkers. Il finale di questa vicenda è fatale e abbacinante: a scriverlo è, ancora una volta, il fuoco. Il primo giugno del ’97 il piccolo Malcolm Shabazz dà alle fiamme l’appartamento della nonna. Betty soffre ustioni sull’ottanta per cento del corpo. Viene ripetutamente operata nel tentativo di salvarle la vita. Muore per le ferite il 23 giugno dello stesso anno.
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