Strage di Bologna: dal finto caso Di Vittorio al vero caso Fresu
Ho ricevuto qualche settimana fa da Anna Di Vittorio il testo di un ormai datato (giugno 2020) reportage per Reggio Report di Gabriele Paradisi e Gian Paolo Pelizzaro. Qui i due giornalisti investigativi ricostruiscono con dovizia di materiali il dispositivo che ha permesso di costruire il falso caso Di Vittorio:
così, quella circostanza vera e densa di sospetti poi intossicata dai convincimenti personali del carabiniere senza alcun riscontro oggettivo, finirà malamente all’orecchio di Enzo Raisi, allora deputato di Alleanza Nazionale di Bologna, il quale imbastì tutta una storia su Mauro Di Vittorio e sulla quale noi, insieme al collega François de Quengo de Tonquedec, ci siamo sempre e pubblicamente dissociati
I due reporter mettono poi in risalto come invece come sia finito occultato e rimosso il caso Fresu. Cioè la donna sicuramente morta nell’esplosione in stazione il cui cadavere non è mai stato ritrovato. Il tutto accompagnato da una lettera di ringraziamento, riprodotta anastaticamente. A seguire, quindi, pubblico la prima pagina del reportage, con il link al testo integrale, caricato in Pdf nell’archivio dell’AlterUgo
I misteri della strage: due stranieri all’obitorio di Bologna
cercavano qualcuno morto alla stazione
11 agosto 1980. Un uomo e una donna. Due giovani, due stranieri, di cui uno presumibilmente «arabo», entrano nell’obitorio dell’Istituto di Medicina Legale di Bologna alla ricerca del corpo di qualcuno. O di qualcuna.
Vengono visti arrivare, vengono subito notati, seguiti e accompagnati nella morgue dal personale dell’obitorio. I due non parlano italiano. Confabulano fra di loro in quella lingua incomprensibile. L’unico cadavere che si trovano davanti è quello di un povero giovane studente che ancora aspetta di essere riconosciuto dai parenti. Era la salma numero 33.
Sono trascorsi undici giorni dall’attentato alla stazione centrale di Bologna e all’Istituto di Medicina Legale la fatica è tanta. Per giorni il personale, gli assistenti, gli agenti di polizia giudiziaria, i medici hanno dovuto fronteggiare un’emergenza spaventosa e senza precedenti. Migliaia di persone si sono riversate nell’obitorio alla ricerca dei loro cari. Lo strazio dei riconoscimenti dei cadaveri, delle formalità, degli atti di morte, della vista dei corpi molti dei quali malridotti dall’esplosione o dal crollo dell’ala sinistra della stazione che ospitava le sale d’aspetto di prima e seconda classe e il ristorante, bar, tavola calda. Giorni di fatica, passione, abnegazione, dolore e sacrificio. I medici legali avevano lavorato giorno e notte per dare un senso a quell’inferno, cercando di registrare, catalogare, ordinare e stabilire la causa della morte di tutte quelle persone. Furono repertate anche decine di pezzi di corpi umani provenienti dall’ala della stazione distrutta dalla bomba.
Quella sola vittima non identificata all’obitorio
Quel giorno, il grosso del lavoro all’obitorio era in gran parte già stato fatto. Più o meno, tutte le vittime erano state identificate e riconosciute.
Tranne una. Si tratta di un giovane uomo col cranio fracassato e un biglietto della stazione Barbès-Rochechouart della metrò di Parigi in tasca. Si chiamava Mauro Di Vittorio, 24 anni di Roma, che per un tragico gioco del destino si trovò nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Venne, infatti, investito dall’esplosione e travolto dalle macerie. Finì così, di colpo e brutalmente, la sua sfortunata giovane vita. Era partito il 26 luglio, all’avventura, dicendo alla madre che sarebbe andato a Londra a lavorare. Invece trovò la morte di passaggio a Bologna. L’11 agosto 1980, la sua salma, la numero 33 appunto, era l’unica che nella morgue attendeva di essere riconosciuta. LEGGI TUTTO
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